Le
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ULTIMO ATTO
Il botto fu
forte. Tanto che tutte le
finestre che davano sulla strada
si aprirono quasi
contemporaneamente, tutti
affacciati a vedere cosa fosse
successo. Una Smart contro un
Suv, proprio nella curva dove
non si vede arrivare l’altra
auto. La Smart
era
irriconoscibile, per fortuna
entrambi i conducenti erano
illesi e intenti a litigare.
Eppure tutti sanno, in paese,
che via XX Settembre, meglio
conosciuta come “lo stretto
della piazza”, si deve
percorrere lentamente, essendo a
senso unico alternato e con una
curva cieca. La spiegazione
sembrò subito trovata: il
conducente della Smart era
forestiero.
Catricalà, intervenuto
tempestivamente, dopo aver
ascoltato le versioni dei due
conducenti che, naturalmente,
non coincidevano
in niente, era intento a fare i
rilievi del caso per far luce
sull’accaduto. Dai primi esami,
vista la lunga traccia di
frenata della Smart, che
procedeva in discesa, risultava
che quest’ultima andasse
particolarmente veloce, tanto da
non fare in tempo a fermarsi
prima dell’impatto; mentre il
Suv, che procedeva in salita e
lentamente, vista la strada
stretta, era già fermo.
“Sig. Roccella, perche andava
cosi veloce in un centro abitato
e con vie cosi strette?” chiese
Catricalà al conducente della
Smart.
Particolarmente
nervoso,
Roccella, non riusciva a
rispondere con frasi finite, si
esprimeva con particolare
confusione, come se a
preoccuparlo fosse altro.
Infatti si agitò particolarmente
quando vide il collega di
Catricalà avvicinarsi al cofano
della Smart per aprirlo.
“Che fa? E’ proprietà privata!”
si affrettò a dire.
“Stia calmo – disse Catricalà –
stiamo solo facendo il nostro
lavoro”, e fece cenno al collega
per autorizzarlo ad aprire il
cofano.
In quel preciso istante,
Roccella,
incominciò a correre imboccando
il vicolo di via Roma. Catricalà
ed il suo collega, dopo un
attimo di sorpresa, iniziarono a
inseguirlo. Roccella correva
come un pazzo e non conoscendo
le strade del paese, continuava
a rallentare ad ogni bivio
cercando di capire quale strada
fosse più utile alla fuga,
questo dava un leggero vantaggio
agli inseguitori, ma era anche
molto veloce e quindi lo
annullava quasi subito. Percorse
via Roma in salita, quindi,
giunto ad un bivio con quattro
possibilità di fuga, decise di
prendere via Vescovado, il
vicolo che continuava
a salire,
sperando nello sfiancamento
degli inseguitori. Catricalà,
anche lui giunto
al bivio, conoscendo le
strade, indicò al collega di
prendere via Castello, con un pò
di fortuna se lo sarebbe trovato
davanti. Durante l’inseguimento,
con il poco fiato che gli
rimaneva,
Catricalà
tentò di avvisare via radio i
Carabinieri. Non era facile però
riuscire a farsi capire con il
fiatone, era un continuo
ripetere le stesse parole e
questo non faceva altro che
acuire la perdita di respiro,
“devo smetterla con le
soppressate” pensò,
e decise di lasciar perdere,
almeno per
ora.
Ormai l’aveva perso di vista,
arrivato a metà via vescovado,
una discesina sulla destra
portava in via grecìa, mentre
proseguendo la strada sarebbe
arrivato al castello dove aveva
mandato il collega. Cosi pensò
che se Roccella avesse
continuato
in salita, ci avrebbe pensato il
socio e optò, anche per ragioni
fisiche, per la discesina, nel
caso avesse
fatto quella
scelta. Giunto in via
grecìa sperava in qualcuno che
l'avesse
visto, si guardò in
torno
e l’unica persona che vide fu la
signora Lucrezia, una signora
sessantenne che, per sfortuna di
Catricalà, era cieca dall’età di
venti.
“Maledizione - esclamò Catricalà
- oggi non me
ne va bene una!”.
Ma si sbagliava perché alle
domande, Za Lucreza, cosi
chiamata in modo affettuoso,
rispose con una precisione da
far invidia a qualsiasi persona
con 10 decimi di vista.
“Pepè, l’ho sentito arrivare
correndo, si è fermato un attimo
all’altezza del vicolo che
scende in via murato, ma non
l’ha preso, ha proseguito,
invece, in salita”.
“Caspita – pensò Catricalà -
sarà il caso di avvisare l’INPS
per rivedere la pensione”.
Era sfinito, ma doveva
continuare a correre, quindi
continuò a salire fino a
giungere davanti alla Chiesa di
San Michele Arcangelo. Avrebbe
volentieri chiesto un aiuto
“supremo” per avere più
resistenza fisica.
Intanto di Roccella nemmeno
l’ombra. Ormai era arrivato
all’entrata del Castello, provò
a chiamare il collega via radio
ma non ricevette risposta. Se il
fuggitivo avesse preso la via
che in quel punto cominciava a
scendere, sicuramente sarebbe
andato incontro al collega, e se
quest’ultimo non l’aveva
avvisato voleva dire che invece
si era, quasi sicuramente,
infilato nel castello.
Ebbe conferma di ciò da un
signore seduto su una panchina,
disse che la stessa domanda
gliel’aveva fatta un altro
vigile e poi si era infilato nel
castello.
“Ormai lo prendiamo – pensò
Catricalà – da qui non può
scappare”.
Arrivato nello spiazzo
antistante il Mastio si fermò
cercando di udire qualche passo,
ma tutto era avvolto nel
silenzio assoluto. Decise di
dirigersi verso la statua di San
Tommaso, posizionata all’angolo
più lontano, una volta aggirata
rabbrividì,
il collega era
a terra
in una pozza di sangue, colpito
più volte al ventre e con il
viso sfigurato. Completamente
nel panico si abbassò per
verificare quali fossero le sue
condizioni, e nella disperazione
constatò che era morto. Solo in
quel momento, tra le lacrime, si
rese conto della stupidaggine
che aveva commesso, nel decidere
di inseguire uno sconosciuto,
rivelatosi un pazzo, e senza
avvisare i carabinieri. Il
collega era morto ed era tutta
colpa sua.
Si alzò provando un misto di
disperazione, rabbia e paura.
Aveva affrontato una situazione
molto più grande
di lui, peccando di
presunzione e stupidità. Prese
la radio per chiamare aiuto ma
appena si girò si ritrovò
davanti Roccella con in mano un
coltello insanguinato. Diede a
Catricalà solo il tempo di
guardarlo negli occhi per un
attimo, dopodiché lo colpì con
due fendenti al petto, in rapida
successione, di cui uno diritto
al cuore. Catricalà non provò
dolore, sentì solo che le gambe
non lo reggevano più, si
inginocchiò, rimase in quella
posizione per qualche
interminabile secondo, poi cadde
all’indietro. Ancora cosciente,
in quella posizione, aveva di
fronte a se un cielo
straordinariamente azzurro. Si
era sempre chiesto se fosse vera
la storia che quando si sta per
morire si vede scorrere tutta la
vita vissuta.
La risposta fu no!
Si muore e basta!
In quel preciso istante si
svegliò in un bagno di sudore,
ansimante e tremante.
“Maledetta peperonata!” esclamò
mentre si recava in cucina a
prendere un digestivo.
N.B.
La storia, i nomi e i personaggi
sono interamente INVENTATI!
7 aprile
2008
mini; giallo; camilleri;
montalbano; maigret; simenon; un
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