Le
inchieste di Pepè Catricalà
Ausiliario del
traffico
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LA TARGA
E’ come stare all’inferno!
Andare in giro, alle due di
pomeriggio, in un giorno
d’agosto calabrese vuol dire,
letteralmente, farsi una
passeggiata all’inferno. Di
conseguenza, Giuseppe Catricalà,
per gli amici Pepè, se ne andava
disperatamente in cerca di
ombra, proprio come fanno i
cantonieri lungo le strade o i
forestali nelle campagne. Non
che gli facesse piacere
andarsene in giro con quella
calura, ma stava lavorando e non
poteva fare altrimenti: il
dovere prima di tutto per Pepè
Catricalà! Ausiliario del
traffico. E poi a Pepè piaceva
il suo lavoro,
ma non voleva fare certo
l’Ausiliario per tutta la vita,
un giorno, forse, sarebbe
diventato Vigile a tutti gli
effetti.
Finalmente
trovò l’agognata ombra sotto un
portico di piazza San Tommaso
d'Aquino,
entrò e si sedette su degli
scalini un pò nascosti rispetto
all’entrata; in pratica, vedeva
bene chi entrava senza esser
visto. Fu a quel punto che notò
qualcosa di strano: un ragazzo,
con una targa d’auto in mano,
entrava nel porticato, la
infilava in uno
dei tanti buchi del muro e poi
usciva. Catricalà, incuriosito,
aspettò qualche minuto, e quando
si decise ad andare a
controllare, fu preceduto da un
altro ragazzo che entrò a mani
vuote e se ne uscì dopo aver
prelevato la targa. La cosa lo
insospettì molto ma, per
adesso, non
era possibile
fare niente,
non poteva certo fermare quei
ragazzi senza un valido motivo,
anche perché la targa l’aveva
vista da lontano e quindi poteva
essersi sbagliato.
Il giorno
dopo, alla stessa ora, Catricalà
si infilò nel portico e si
nascose. Voleva cercare di
capire cos’era successo, se si
fosse sbagliato oppure no.
Attese
pazientemente per più di un’ora,
ma dei due ragazzi nemmeno
l’ombra,
quindi se ne andò pensando che
forse s’era sbagliato. Ma si
fidava del suo istinto e quello
che aveva visto non lo
convinceva. Decise, allora, di
ritornare a controllare ancora
per qualche giorno e finalmente,
tre giorni dopo, la sua pazienza
fu premiata perché successe la
stessa cosa ma, stavolta, chi
nascondeva la targa era il
ragazzo che, la volta
precedente, l’aveva prelevata.
Senza esitare, appena il ragazzo
uscì, si precipitò al buco, si
accertò che quella fosse una
targa d’auto, annotò il numero,
la rimise a posto e tornò a
nascondersi. Dopo alcuni minuti,
come da copione, entrò l’altro
ragazzo e prelevò la targa. La
cosa si faceva interessante per
Catricalà, che decise di
seguirlo. Il ragazzo aveva sui
venticinque anni, ben vestito,
griffato da capo a piedi, con
sulle spalle uno zainetto dove
aveva infilato la targa. Il
pedinamento durò poco, per
fortuna - il caldo era sempre
insopportabile - perché il
giovane si fermò al Bar
Atteritano
e si sedette ad un tavolo con
altri ragazzi.
Catricalà
era un habitué di quel Bar
perché conosceva benissimo il
proprietario, Raffaele
Atteritano,
suo amico d’infanzia. Fu a lui
che si rivolse per avere
informazioni su quel giovane.
“Chi,
Antonio Mellace?
Certo che lo conosco, passa più
tempo qui che all’università,
dove è fuori corso da anni e
anni.” rispose da dietro il
bancone
Atteritano.
“Mellace?
Parente dell’Ingegnere omonimo?”
chiese Catricalà
“Il Figlio!
E’ per questo che a quasi
trent’anni può permettersi di
fare il figo in giro con belle
macchine, belle donne e senza
lavorare.” aggiunse
Atteritano, con un tono
che voleva dire: lo prenderei a
calci in culo tutto il giorno!
Se c’era
una cosa che dava fastidio a
Raffaele
Atteritano erano i figli
di papà che se la godevano, non
perché lui avesse sani principi,
ma solo perché non poteva fare
altrettanto. Insomma della
"sana"
invidia! Catricalà conosceva
questa debolezza dell’amico, del
resto come dargli torto! Quindi,
decise che le informazioni che
gli aveva dato potevano bastare,
salutò e se ne andò.
Nel
tragitto che lo separava dal
comando dei vigili, Catricalà
continuò a pensare a cosa
potesse servire quella targa
d’auto ad un “figlio di papà”
come Antonio
Mellace, uno di quei
ragazzi che se la godono fin da
piccoli, con tutto quello che
vogliono a disposizione,
basta chiedere e paparino
esaudisce.
Una volta,
preso da autolesionismo, aveva
guardato una di quelle
trasmissioni pomeridiane in cui
si discuteva di psicologia
adolescenziale, con uno di
quei psicologi onnipresente in
TV. Giustificavano le cazzate
dei figli di papà con la solita,
immancabile e immarcescibile
scusa della mancanza
d’affetto. Se a combinarla
grossa sono i figli dei
poveracci, invece, la colpa,
come sempre, è solo loro, perché
sono dei criminali incalliti.
Arrivato al
comando, Catricalà mise a posto
le sue cose e se ne andò a casa.
Il giorno
seguente, appena in servizio, si
mise al terminale del comando
per controllare a chi fosse
intestata la famigerata targa.
La risposta diede,
inaspettatamente, la soluzione a
tutte le domande che si era
fatto il giorno prima. La targa
apparteneva ad un certo Riccardo
Marchese, proprietario di una
Citroen C3, il quale ne aveva
denunciato il furto due giorni
prima. Fin qui niente di strano,
visto che era certo del fatto
che fosse una targa rubata. La
soluzione, invece, stava nelle
notizie che seguivano, e cioè
che i Carabinieri, la sera
prima, intorno alla mezzanotte,
avevano intercettato due auto
che gareggiavano sulla strada
statale 106, una delle due aveva
la targa incriminata, ma erano
riusciti a fuggire. Tutto era
chiaro, un gruppo di ragazzi
della buona borghesia,
evidentemente annoiati, non
trovava di meglio da fare che
rubare delle targhe,
scambiarsele, perché rendeva più
interessante la cosa, e poi fare
delle gare con le loro auto nel
cuore della notte. Mettendo a
rischio la loro vita e,
soprattutto, quella degli altri.
Che fare?
Denunciarli ai Carabinieri? Ma
sarebbe stata la sua parola
contro la loro, e di certo, a
questa beata gioventù, non
mancavano i mezzi per farsi
difendere da qualche principe
del foro.
Pensò a
lungo, poi ebbe un’idea che, con
un pò di fortuna, avrebbe
risolto il tutto. Cosi fece
quello che aveva in mente ed
aspettò gli eventi.
Erano le
quattro del mattino quando i
Carabinieri bussarono a casa
dell’Ingegnere
Mellace, tutta la
famiglia fu svegliata dal forte
scampanellio del citofono, e
quando il giovane
Mellace
vide i Carabinieri sbiancò, le
sue gambe ebbero un cedimento;
per fortuna vicino c’era una
sedia, sulla quale stramazzò. Il
Maresciallo
Rapisarda, uomo di grande
esperienza, notò subito questo
comportamento e ne approfittò
per fare qualche domanda, con
tono minaccioso, al ragazzo, che
crollò come un castello di
sabbia quando arriva l’onda del
mare. Il ragazzo raccontò tutto
per filo e per segno, disse i
nomi degli altri ragazzi, delle
auto usate, dei posti dove
avevano gareggiato, nello
slancio disse anche di quella
volta che alle superiori aveva
spiato la bidella, anche un po'
anziana, mentre si cambiava per
mettersi la cappa.
Il giorno
seguente, Catricalà, con un
quotidiano locale in mano se la
scialava.
Il titolo
era: Retata di giovani
della Calabria bene!
L’idea
aveva funzionato. Il giorno
della gara - ormai era chiaro
che si svolgeva ogni tre giorni
- si era nascosto nel portico e
subito dopo che il giovane
Mellace
aveva infilato la targa, lui
l’aveva sostituita con quella
dell’auto del padre, l’ingegner
Mellace,
che aveva preso “in prestito”
un’ora prima. La fortuna - su
quella faceva affidamento
Catricalà - fu che la gara
quella notte fu intercettata dai
Carabinieri, che avevano preso
il numero di targa di entrambe
le macchine. Fu così che i
Carabinieri entrarono in casa
Mellace
per il padre e ne uscirono con
il figlio. Il resto è storia
nota.
Catricalà
non poteva condividere con
nessuno la sua gioia, ma era
chiaro che se la godeva lo
stesso.
N.B.
La storia, i nomi e i personaggi
sono interamente INVENTATI!
05 novembre
2007
mini; giallo; camilleri;
montalbano; maigret; simenon; un
mese con catricalà; libro;
inchiesta; indagine; agatha
christie; montalban; pepe
carvalho; ausiliario; traffico; |