Le
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Adoraste es
sommo
E’ dura
riprendere il lavoro dopo un
fine settimana passato con la
fidanzata in un posto
meraviglioso come la Sila.
Catricalà se ne stava appoggiato
al bancone del Bar Atteritano
con una tazza di caffè in mano e
lo sguardo perso nel vuoto.
“Pepè!!! -
gli urlò Raffaele all’improvviso
- è finita la vacanza!!!”
Catricalà
ebbe un sobbalzo, guardò l’amico
e con aria di disprezzo gli
disse: “come minchia fai ad
essere cosi allegro anche il
lunedì mattina?”
“Basta
lavorare anche la domenica!”
Rispose candido Raffaele.
Come dargli
torto.
Finito il
Caffè, Catricalà si avviò
mestamente verso il comando dei
vigili urbani. Lungo il tragitto
c’era l’agenzia di viaggi “Il
Veliero” soprannominata, per
colpa di alcuni viaggi che si
rivelarono particolarmente
sfortunati, “Il Titanic”. Si
fermò a guardare la vetrina
delle offerte, nello stato in
cui era tutte gli sembravano
belle, persino i tour religiosi.
Quel tipo di vacanze che non
soffrono mai le crisi, non a
caso un esperto del settore
aveva affermato che il
turismo religioso va da Dio!
Tra i vari
annunci uno lo incuriosì
particolarmente, diceva:
“adoraste es sommo”
citofonare per informazioni.
“Che strano
annuncio.” Pensò Catricalà
incamminandosi verso l’ufficio.
Purtroppo
la giornata era iniziata male e
proseguì peggio. Tutta la
mattinata in giro sotto la
pioggia a litigare con
automobilisti indisciplinati.
Stava multando un’auto proprio
davanti all’agenzia di viaggi
quando vide Pasquale
Scicchitano, suo amico
d'infanzia, citofonare e
rispondere “adoraste es
sommo” alla voce che
chiedeva chi era, la porta si
apri subito. Incuriosito decise
di aspettarlo per chiedergli
informazioni a riguardo. Aspettò
invano per quasi mezzora e poi
decise di andarsene.
Il giorno
dopo Catricalà se ne stava
seduto al Bar Atteritano a
“litigare”, come al solito, con
l’amico Raffaele quando vide
entrare proprio Scicchitano.
Restò di sasso quando lo vide
con il viso pieno di lividi, si
avvicinò e gli chiese cosa gli
fosse successo, ma lui rispose
in modo sfuggevole che era
caduto dalle scale e che doveva
andare, non gli diede nemmeno il
tempo di chiedergli com’era
successo che praticamente scappo
via.
“Hai visto
com’era ridotto?” Disse Pepè
rivolgendosi a Raffaele
“Ho visto,
non capisco che sta succedendo
in questo paese, sembra che
tutti cadano dalle scale!”
“Che vuol
dire che tutti cadono dalle
scale?”
“Perché
negli ultimi giorni sono venuti
qui Rocco Pulici, Antonio
Scarmeta e Turi Sciauro con il
viso pieno di lividi e quando ho
chiesto loro che cosa fosse
successo tutti e tre mi hanno
risposto che erano caduti dalle
scale.”
“E a te
sembravano lividi da caduta di
scala?” Chiese Catricalà
“Ma quando
mai, a me sembravano bastonate.”
Rispose secco Raffaele.
La cosa lo
incuriosiva particolarmente,
decise di andare a parlare con
uno dei tre. Passò la mattinata
a cercarli, riuscì a parlare con
tutti e tre ma nessuno di loro
diede una risposta diversa dalla
tesi sostenuta con Raffaele. A
sentir loro tutti erano caduti
dalle scale e a niente valsero
le proteste di Catricalà sul
fatto che quelli non erano
assolutamente lividi da caduta.
Decise cosi di rivolgerli al
Maresciallo Rapisarda.
“Avranno
partecipato ad una rissa!”
Commentò secco il Maresciallo.
“Non credo,
i lividi se li son fatti in
giorni diversi.” Rispose
Catricalà
“Allora
tienili d'occhio!” Concluse il
Maresciallo.
Il giorno
dopo Catricalà si avviava,
pensieroso, verso l'ufficio.
“Tenerli
d'occhio, e come? Son da solo e
loro sono in tre!”
Decise di
dedicare una settimana ciascuno
di pedinamento, iniziò con Turi
Sciauro.
Quell’uomo
era di una noia mortale, la sua
vita era cadenzata da fatti ed
orari precisi, tutto era
calcolato alla perfezione.
Ricordava
Furio
Zoccaro, il personaggio
pignolo di Carlo Verdone nel
film “Bianco, Rosso e Verdone”.
Comunque non notò niente di
strano nella sua vita, niente
che potesse dare qualche indizio
sui lividi.
La seconda
settimana pedinò Rocco Pulici.
Di
professione Avvocato, Pulici era
un uomo tutto d’un pezzo,
stimato e molto noto nel suo
ambiente. Anche con lui non ci
fu nessuno episodio che poteva
ritenersi strano, .
Infine
pedinò Antonio Scarmeta.
Scarmeta
era l’unico che Catricalà non
conoscesse personalmente e
questa fu la chiave della
svolta. Perché, mentre con gli
altri si era dovuto tenere
distante per non esser visto e
quindi riconosciuto, con lui il
problema non sussisteva e,
standogli vicino, riuscì ad
ascoltare alcune sue
conversazioni.
Tutti e tre
si erano recati, sempre il
lunedì, presso l’agenzia di
viaggi “Il Veliero”, avevano
citofonato ed erano entrati;
però mentre per gli altri due
Catricalà non aveva potuto
sentire cosa dicessero al
citofono, con Scarmeta invece
ebbe modo di sentire che
pronunciava la frase:
“adoraste es sommo”, la
stessa che aveva pronunciato
Pasquale Scicchitano la prima
volta. Non poteva trattarsi di
una coincidenza, anzi si poteva
presumere che anche gli altri
due pronunciassero la stessa
frase, come se fosse una parola
d’ordine.
Decise di
parlarne con il Maresciallo
Rapisarda per stabilire il da
farsi.
“Pepè,
l’unica soluzione è
infiltrarti.” Disse il
Maresciallo
“ Io? E
perché io? Non ho nessuna voglia
di prendermi qualche bastonata,
perché non ci mandi uno dei tuoi
uomini!” Rispose alterato
Catricalà.
“Ma tu
conosci già il caso, oramai sai
come muoverti e poi ci saremo
noi pronti ad intervenire, cosa
vuoi che ti succeda!” Lo
tranquillizzò il Maresciallo.
Così il
lunedì successivo Catricalà,
malvolentieri, tenuto d’occhio a
distanza dai carabinieri e con
un microfono nascosto, citofonò
e pronunciò l’ormai famosa frase
“adoraste es sommo”;
il portone si aprì subito,
entrò ma non c’era nessuno,
proseguì fino ad entrare nella
stanza successiva, una volta
entrato la porta si chiuse di
scatto e rimase completamente al
buio, furono attimi lunghissimi
prima di sentire come un lingua
di fuoco sulla schiena, seguito
da un bruciore fortissimo,
Catricalà
cominciò
ad urlare di dolore, continuava
a ricevere colpi a ripetizione.
“Basta!
Basta! Accendete la luce!!!”
continuava a gridare.
“Allora ti
piace con la luce accesa?”
Chiese una voce femminile.
Nel momento
in cui la stanza fu illuminata,
Catricalà si ritrovò davanti due
donne vestite solo di stivali
neri con tacchi altissimi,
corpetti aderenti di pelle che
lasciavano a vista i seni tenuti
da delle catenelle, capelli
raccolti a coda di cavallo e con
in mano due scudisci con le
quali continuavano a
percuoterlo.
“Ferme!
Ferme!” continuava a ripetere
Catricalà, ma quelle
continuavano senza esitazioni.
Non
sopportando più il dolore
Catricalà sferrò un gancio
destro alla ragazza più vicina
che cadde a terra svenuta, poi
si girò verso l’altra che
continuava a roteare lo
scudiscio, si guardarono per un
attimo a mo’ di duello.
“Ti piace
anche darle le botte, e non solo
riceverle eeh?” disse ammiccando
la ragazza mentre alzava il
braccio per colpirlo nuovamente,
ma Catricalà con uno scatto gli
si buttò addosso buttandola a
terra.
Il quel
preciso istante entrarono i
carabinieri trovando Catricalà a
cavalcioni della ragazza
sdraiata, nella concitazione la
mano sinistra le era finita sul
seno e nella destra aveva lo
scudiscio sottratto alla donna.
“Pepè, se
disturbiamo ce ne andiamo!”
disse sorridendo il maresciallo
Rapisarda.
Solo in
quel momento, con il corpo ed il
viso doloranti, Catricalà capì
che “adoraste es sommo”
era l’anagramma di “Sadomaso
estremo”.
Il giorno
dopo Catricalà, dolorante, se ne
stava seduto al Bar Atteritano
con il viso pieno di lividi e
con Raffaele che, malignamente,
continuava a chiedergli: “da
quale scala sei caduto?”.
N.B.
La storia, i nomi e i personaggi
sono interamente INVENTATI!
8 maggio 2010
mini; giallo; camilleri;
montalbano; maigret; simenon; un
mese con catricalà; libro;
inchiesta; indagine; agatha
christie; montalban; pepe
carvalho; ausiliario; traffico; |