Le
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Acqua in bocca
Fa sempre
piacere bere un sorso di ottima
acqua fresca alla fontana di
epoca Bizantina di Caria. Se
dopo più di mille anni è ancora
li a dissetare vuol dire che è
linfa
di prima qualità, con buona pace
degli abitanti di Fiuggi. Se poi
è una giornata assolata il
piacere è doppio.
“Bisognerebbe
imbottigliarla” pensò Catricalà.
In quel
preciso istante si senti
chiamare da una voce femminile,
si guardò intorno ma non vide
nessuno, solo un attimo dopo
capì che la voce proveniva dalla
collina dietro la fontana.
Era la
Signorina Carolina Buonapace,
signorina non perché fosse in
giovane età, anzi ormai era
prossima al secolo, ma perché
mai maritata. Maestra
elementare, aveva dedicato
l’intera vita ai bambini del
paese tanto da non trovare il
tempo di sposarsi. C’erano
famiglie in cui, la signorina
Buonapace, era stata la maestra
del nonno, del padre e del
figlio.
“Buongiorno,
Signorina Carolina!” Urlò
Catricalà
“Vieni! Vieni
a vedere” rispose agitata la
Maestra.
La fontana di
Caria si trova alla fine del
paese, subito dietro si alza una
collina in cui gli alberi
d'ulivo la fanno da padroni, la
Signorina Buonapace chiamava
Catricalà
proprio dalla parte più
alta.
Pepè guardò
sconsolato la collina, capì che
avrebbe dovuto scalarla per
andare ad ascoltare ciò che
aveva da dirgli, nonostante il
caldo. Arrivò che il fiatone gli
impediva di parlare, ma non era
un problema visto che la Maestra
non gliene avrebbe lasciato il
tempo.
“Guarda!
Guarda cosa stanno facendo!!!”
Catricalà
guardò verso il punto indicato
ma non riusciva a capire cosa
interessasse la Signorina.
“Vieni con
me!!!” disse stizzita.
Afferrò
Catricalà per un braccio e lo
trascinò sul punto indicato e
soltanto lì, Pepè, si accorse
della presenza di un tubo che
spuntava dal terreno.
“Hai notato
che la pressione della fontana è
calata negli ultimi tempi?”
Chiese la Maestra.
Effettivamente era un periodo
che la fontana di Caria non
scorreva più come prima, ma
Catricalà non aveva dato
importanza a questo particolare,
anche perché aveva piovuto poco.
“Certamente!
– rispose Catricalà, mentendo
spudoratamente – infatti stavo
indagando su questo, ma ogni
segnalazione da cittadini con un
alto senso civico come Lei è
bene accetto”. Tanto valeva
esagerare!
“Rubano
l’acqua!” Fu la sentenza
lapidaria della Signorina
Buonapace.
Catricalà
tranquillizzò la Maestra
giurandole che avrebbe indagato
su quel tubo anche a costo di
scavare con le mani. Questa
risposta sembrò a Catricalà
l’unica soluzione che gli
consentisse di tornare al
comando “in giornata”.
Effettivamente la presenza di
quel tubo era strana.
Il giorno
seguente, con in mano un
piccone, Catricalà si recò alla
fontana e cominciò a scavare
intorno al tubo. Dopo un’ora il
caldo cominciava a farsi sentire
e, ormai stanco, decise che una
pausa con un sorso d’acqua se
l’era meritata. Cominciò a
scendere verso la fontana,
seguendo un sentiero più corto,
anche se più ripido, quando
all’improvviso il terreno sotto
i piedi cedette cadendo nel
vuoto per qualche metro.
L’impatto col suolo non fu tra i
più morbidi, per fortuna non si
era rotto niente, si guardò
attorno e capì di ritrovarsi in
una grotta naturale, quello che
vide era uno spettacolo della
natura. La grotta aveva un’ampia
volta con le
stalattiti che brillavano alla
luce del sole che entrava dalla
fessura di caduta, sulla base
scorreva un ruscello
limpidissimo, di sicuro era
l’acqua che alimentava la
fontana.
L’aria fresca e pura faceva da
contrasto con il caldo umido
esterno. Dopo aver ammirato
questo splendore capì, però, che
risalire da dove era caduto era
impossibile, non c’era nessuno
appiglio per arrampicarsi, cercò
di usare il telefonino ma non
aveva “campo”, non restava che
proseguire lungo la grotta in
cerca di un’uscita. Sentiva
soffiare l’aria in viso quindi
decise di avanzare in quella
direzione, doveva esserci
un’apertura, aver guardato Rambo
gli era tornato utile. Camminò
per un po’, ma più andava avanti
più la luce diminuiva, rimpianse
di non fumare e quindi di non
avere un accendino. Ad un certo
punto, nel buio fitto, senti dei
mormorii e vide in lontananza
una fievole luce, la seguì
prudentemente, col buio non
vedeva dove metteva i piedi,
fino a sentire distintamente le
voci. Non parlavano italiano ma
non riusciva a distinguere quale
lingua fosse, più che parole
sembravano suoni striduli.
Sentiva anche sbattere delle
bottiglie. Decise di andare
avanti, si avvicinò lentamente
fino a nascondersi dietro ad un
grosso sperone di roccia, da li
sporgendosi poteva vederli ma
aveva paura di esser visto.
Attese per un po’ in cerca
dell’attimo giusto, si fece
coraggio e guardò.
Rimase
pietrificato, le gambe facevano
fatica a reggerlo. Si riabbassò
di colpo, non riusciva a credere
a quello che aveva visto.
“Mi son
sicuramente sbagliato – pensò
Catricalà – ora riguardo!”
Si affacciò
nuovamente e per sua
disperazione non si era
sbagliato.
Quello che
vedeva erano dei folletti o
gnomi vestiti con pantaloni e
casacca verde, stivaletti a
mezza gamba e cappello con una
lunga piuma, intenti ad
imbottigliare l’acqua della
fontana. Ce n’erano molti e
lavoravano come in una catena di
montaggio, ognuno aveva il suo
compito e il prodotto finale era
una bottiglia d’acqua
imbottigliata con tanto di
etichetta.
Si chiedeva
se fosse diventato matto, se la
botta in testa della caduta non
gli avesse minato l’intelletto.
Nel farsi quelle domande non si
era accorto di essersi sporto
troppo e quando quelle strane
creature lo videro cominciarono
ad urlare e a correre verso di
lui. Catricalà incominciò a
scappare consapevole però di non
avere via d’uscita, ma che
poteva fare se non correre? A un
certo punto, con la poca luce,
non vide un ostacolo e cadde, i
folletti gli saltarono addosso e
gli bloccarono le braccia.
Pepè cercava
di divincolarsi dimenandosi
disperatamente e continuando ad
urlare, fino a quando un sonoro
schiaffone gli fece aprire gli
occhi. Vide su di lui la
Signorina Buonapace che lo
scuoteva, pronta a dargliene
altri, per farlo svegliare.
“Bravo Pepè,
li hai scoperti, te l’avevo
detto che rubavano l’acqua!”
In pratica
Catricalà, mentre scendeva a
bere lungo il sentiero ripido,
era caduto in una botola coperta
solo di frasche, aveva battuto
la testa e perso i sensi. Da
svenuto aveva cominciato a fare
quello strano sogno sui
folletti. Nella
(s)fortunata
caduta aveva scoperto una grossa
cisterna piena d’acqua. La
Signorina Buonapace aveva
sentito le sue urla e lo aveva
trovato steso a terra che si
dimenava.
Aveva ragione
la Signorina quando diceva che
rubavano l’acqua, perché la
cisterna, una volta piena,
veniva portata via per
l’irrigazione dei campi.
Scoprire il colpevole fu facile,
bastò avvisare i carabinieri i
quali si appostarono e una notte
li colsero sul fatto.
Il giorno
seguente Catricalà era intento a
multare un SUV parcheggiato sul
marciapiede quando alcuni amici
gli chiesero se aveva voglia di
un sorso d’acqua fresca della
fontana di Caria, la sua fu una
risposta secca: “No, grazie!
Bevo solo acqua Fiuggi!”
N.B.
La storia, i nomi e i personaggi
sono interamente INVENTATI!
30 maggio 2009
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montalbano; maigret; simenon; un
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