Le
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IL SEGRETO
Quando Catricalà si sentì
chiamare a gran voce da Pasquale
Loguercio, stava gustandosi un
caffè al bar Atterritano,
chiacchierando con l’amico
Raffaele. Loguercio era un
arzillo e brioso signore ultra
novantenne, grande amico di
Giggino Peluso, “Il
Bersagliere”;
se ne
stavano sempre insieme a
scherzare e per questo erano
stati soprannominati
"Ficatu &
Chippu"*.
“Pepè, corri a casa del
Bersagliere che ti vuole
parlare!” Disse trafelato
Loguercio
“Ora sono in servizio, digli che
passerò nel pomeriggio!”
“Non so se ci arriva al
pomeriggio, il prete gli sta
dando l’estrema unzione, ma lui
dice che prima vuole
assolutamente parlare con te.”
Rispose Loguercio in lacrime
e
facendosi il segno della croce.
Catricalà rimase di sasso,
voleva bene al Bersagliere, un
po’ come tutti i concittadini,
per loro ormai era come un
monumento, al pari del Castello
o della Chiesa. E’ vero che a
101 anni la morte è più che
probabile ma proprio come i
monumenti era quasi considerato
immortale.
Quando Catricalà entrò nella
stanza da letto, il Bersagliere,
con le poche forze che gli erano
rimaste, fece cenno a tutti di
uscire dalla stanza, compresa la
sua giovane moglie, poi chiese a
Catricalà di sedersi accanto a
lui e con un filo di voce gli
disse:
“Pepè sto morendo e non voglio
portarmi questo segreto nella
tomba, mi fido solo di te – fece
un lungo sospiro - solo a te lo
posso dire; apri l’ultimo
cassetto di quel comò, sotto le
pillole per la pressione, le
pillole per il cuore e le
pillole per la minc... eehhmm la
scatola di viagra, troverai una
busta chiusa, sta li da
ottantadue anni, prendila
mettila in tasca e vai a
leggerla lontano da qui.”
Peluso sapeva che se Pepè avesse
letto la lettera in quella
stanza gliel’avrebbe di sicuro
restituita.
Senza chiedere spiegazioni,
Catricalà prese la busta e se ne
andò.
Arrivato in Piazza Regina
Margherita, si sedette sotto il
“Milicuccio”,
l’albero della libertà
piantato nel 1799 per
festeggiare la fine della
dittatura dei Borbone. Aprì la
busta, dentro c’erano due fogli,
uno era ingiallito dal tempo
mentre l’altro era un foglio
“nuovo” scritto dal Bersagliere:
“Caro Pepè, affido a te questo
segreto che ho tenuto dentro sin
dall’età di diciannove anni. Da
quando mio Nonno mi diede questa
lettera chiedendomi di fare
quello che c’era scritto. A
malincuore ti confido che non ho
mai avuto il coraggio di farlo,
ma so che sei un ragazzo
coraggioso e non ti tirerai
indietro. Perdonami”.
Pepè, in preda ad una curiosità
infinita, lesse la lettera.
Quando arrivò in fondo, un
brivido gli salì lungo la
schiena, richiuse in tutta
fretta la busta e corse a casa
del bersagliere con l’intento di
restituirla, ma quando la moglie
aprì la porta,
in lacrime, scosse la
testa.
Catricalà pensò e ripensò se
fare o no quello che c’era
scritto nella lettera. Voleva
rispettare le ultime volontà del
Bersagliere ma tutto ciò
richiedeva un coraggio che lui
era sicuro di non avere.
Secondo la lettera doveva
aspettare il primo plenilunio
dopo l’equinozio di primavera, a
mezzanotte in punto sarebbe
dovuto entrare nel Mastio del
Castello, contare 3 passi lungo
la parete rivolta a ovest
partendo da sud, e spingere la
pietra che si trovava
all’altezza esatta della linea
d’ombra creata dalla luce della
luna che penetrava dal tetto
ormai inesistente, una botola si
sarebbe aperta all’angolo della
parete opposta. Calarsi nella
botola e scendere la stretta
scala fermandosi al 13°
scalino, bendarsi ed aspettare
in silenzio l’arrivo di due
Templari che gli avrebbe
consegnato il “Santo Graal” il
calice in cui Gesù bevve il vino
durante l’Ultima Cena, capace di
donare l’eterna giovinezza. Il
tutto naturalmente da solo.
Mancavano quarantotto ore al
giorno fatidico cosi Pepè decise
di farsi un “giro di
perlustrazione” nel mastio del
castello. Studiò i vari punti
descritti nella lettera, però
gli mancava la linea d’ombra
creata dalla luna e questo gli
impediva di trovare la pietra
giusta; provò cosi a caso ma non
successe niente, trovarla su una
parete di cento mq non era
facile e poi c’era l’incognita
che il tutto poteva funzionare
solo all’ora giusta. Decise di
andarsene e mentre usciva
qualcosa gli tolse tutte le
angosce e le paure, rendendolo
sereno.
La notte “fatale” era arrivata,
Pepè si organizzò alla grande, a
guardarlo
vestito in quel modo
sembrava uno speleologo.
Alle 23.50 cominciò a salire la
scala che portava al mastio, la
luna piena illuminava il
percorso rendendo quasi inutile
l’uso della torcia, a metà
strada gli scricchiolii degli
scalini e il canto di una
civetta nel silenzio assoluto
cominciarono a innervosirlo, si
guardò intorno, ebbe la
tentazione di tornare indietro,
mancava solo l’ululato del lupo,
ma decise di
proseguire. Salì gli
ultimi tre scalini con il cuore
in gola, arrivato davanti alla
porta si fermò, fece un respiro
profondo, guardò l’orologio
erano le 23.56, alzò gli occhi
e vide
la luna che
splendeva in un cielo
completamente sgombro di nubi.
Si fece coraggio,
spinse la porta ed entrò!
Dentro vide ciò che sperava di
vedere: Giggino Peluso e
Pasquale Loguercio, arzilli come
non mai, intrappolati in una
rete sospesa a 2 metri da terra.
Pepè li guardò e incominciò a
ridere.
“Pepè smettila di ridere a facci
scendere!” Urlava Peluso
Mentre Loguercio continuava a
ripetere a Giggino: “Sei
contento? Visto dove siamo
finiti grazie ai tuoi scherzi
del cazzo?”
Quando Pepè decise di fare il
“giro di perlustrazione” nel
mastio del castello, uscendo
intravide Loguercio che lo
spiava cercando di nascondersi,
ma alla sua età non era facile
muoversi velocemente. Fu questo
che gli tolse tutte le angosce e
le paure, semplicemente capì che
il tutto era uno scherzo
organizzato da “Ficatu
& Chippu”; così il
mattino presto, con l’aiuto di
Raffaele Atterritano misero a
punto la trappola in cui erano
finiti i due “Templari”.
La cosa bella era che Giggino
Peluso non era moribondo ma
stava bene, incazzato, ma bene.
“Eccoli qui i
due
Templari della minchia!”
Commentò
ironico
Catricalà.
*Fegato e membrana di maiale.
L'equivalente di "Culo e
Camicia".
N.B.
La storia, i nomi e i personaggi
sono interamente INVENTATI!
19 febbraio 2011
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