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di Raffaele Piccolo

FAMIGLIA JAZZOLINO – JAZZOLINI – JASOLINI

 

Questa  famiglia era già nota nel 1338 a Vibo Valentia.

Giulio Jazzolino, trasferitosi da Vibo Valentia a Napoli nel 1573, divenne un celebre medico, oltre che filosofo e professore di anatomia, scrivendo anche alcuni testi dei quali ci rimane l’opera Sui rimedi naturali e su i bagni di Pozzuoli del 1588.

Questa famiglia si distinse a Vibo Valentia durante una carestia che colpì la città aprendo “i granai e con la gratuita ripartizione di gran vittuaglia arrestò la ulteriore strage del terribile flagello”[1].

Si trapiantò anche a Catanzaro e Taverna. In quest’ultimo luogo giunsero verso la metà del secolo XVI con Marcantonio “maestro di scola de l’illustre duca di Nocera”[2] ai cui insegnò grammatica e lettere.

Stabilitasi definitivamente a Taverna, questa famiglia fu annoverata fra quelle nobili nel 1605. Un Francesco, un Angelo, un Francesco Antonio, un Gerolamo juniore e un Muzio furono dottori in utroque jure. Un Agostino fu valoroso soldato nella campagna di Fiandra con il grado di alfiere.

Il ramo di Taverna si estinse nel secolo XVII con le due figlie del citato Gerolamo juniore.

Dai registri della Dataria apostolica per obitum risulta un Cesare Jazzolino, canonico di Catanzaro, morto nel 1604[3].

Sempre dai registri apostolici risulta che ad Andrea Jazzolini, prete nobile oriundo, fu dato il cantorato della cattedrale di Belcastro, a seguito del tramutamento di Giuseppe Benedicente al canonicato. Andrea morì arcidiacono nel settembre 1711[4].

Inoltre, il catasto conciario di Belcastro del 1743 riporta le partite relative “al magnifico Bruno Jazzolino, nobile vivente, di 32 anni”, marito della trentenne Crescentia Primerano di Belcastro e padre di Giovanni di anni 6, Ciro di anni 4, Antonio di anni 3, Carmina di anni 3, Teresa di anni 1, abitante nel proprio palazzo signorile, nonché del magnifico Domenico Jazzolino, anche lui ”nobile vivente” di 26 anni, marito di un’altra belcastrese, la magnifica Vittoria Ballatore, ventinovenne, abitante nel proprio palazzo con il fratello chierico, ventottenne[5]. I due erano parenti di quarto grado  e per la celebrazione del matrimonio, avvenuto il 25 settembre 1731, occorse la dispensa canonica.

Questa famiglia, purtroppo, si rese protagonista di un gravissimo misfatto.

Il Nunzio di Napoli, il 21 aprile 1731, scriveva al Segretario di Stato[6] che il vescovo di Belcastro Giovanni Battista Capuani aveva fatto arrestare un chierico di questa famiglia. In seguito a ciò, due fratelli Jazzolino ne reclamavano la liberazione minacciando con la pistola il vescovo.

La tradizione locale, in merito a questo accaduto, riferisce che, durante la processione del Corpus Domini di quell’anno, il vescovo fu affrontato pubblicamente dai due fratelli, uno dei quali impugnò la pistola nell’atto di sparare. Il vescovo reagì opponendogli contro l’ostensorio che portava in processione e il Jazzolino, avuto un attimo di smarrimento, depose l’arma e si diede alla fuga, seguito dall’altro fratello.

Il Nunzio apostolico, in una seconda lettera, del 22 maggio 1731, riferisce di avere informato il viceré il quale aveva incaricato la regia udienza di Catanzaro affinché arrestasse i due[7], ma una terza lettera, del 4 settembre dello stesso anno[8], riferisce che l’arresto non era stato ancora operato e che, anzi, uno dei due fuggitivi era ritornato in paese “più baldanzoso di prima”, anche perché spalleggiato dal barone di Belcastro Alfonso Poerio. Il vescovo, per non esporsi a nuovi pericoli, si trasferì ad Andali.

Come andò a finire ai due fratelli Jazzolino non lo sappiamo.

Sappiamo però che un’altra sciagura colpì questa famiglia.

Un carteggio conservato tra le carte della regia udienza di Catanzaro riporta che ai già menzionati Ciro e Carmina Jazzolino -che abbiamo visto essere figli di Bruno e Crescenzia Primerano e che erano rimasti eredi anche degli zii Domenico Jazzolino e Vittoria Ballatore- toccò una tragica fine, perché furono rapinati ed uccisi nella notte del 15 settembre 1802[9].

Dallo stesso carteggio risulta che a richiedere  i beni degli uccisi fu l’unico parente in terzo grado, il nobile Mazza Vincenzo di Domenico[10].

ARMA:

serpente attorcigliato al fascio di piante di lino; il tutto al naturale

11 luglio 2003

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