Il conte ribelle di
Belcastro … valoroso e turbolento condottiero in terre lontane
L’ex
conte di Belcastro don Antonio Centelles, che in seguito alla sua
prima rivolta
(1444) fu costretto a soggiornare presso Marigliano, vicino Napoli, sotto la
discreta sorveglianza delle guardie regie, avvertì subito il disagio del
domicilio coatto e, appena se ne presentò l’occasione, fuggì furtivamente a
Venezia dove si arruolò nella compagnia di ventura di Micheletto Attendolo,
comandante in capo delle truppe della Serenissima Repubblica di Venezia, in
lotta contro la repubblica Ambrosiana di Milano.
Ma il vero motivo per cui il Centelles era andato
nella città lagunare fu per rendersi conto del mancato aiuto veneziano e
soprattutto per convincere il senato veneto ad intervenire in Calabria in
maniera impegnativa. Per il tentennare della repubblica veneta, impegnata
soprattutto nella guerra contro Milano, don Antonio rimase sotto il comando di
Micheletto per dieci mesi, dopo i quali il governo veneziano sia per il rango
del Centelles sia per il valore dimostrato, nel 1446, gli affidò il comando di
400 “lance” contro le truppe milanesi comandate da Francesco Sforza. Nelle vesti
di condottiero, pur rimanendo sotto il comando dell’Attendolo, l’ex conte di
Belcastro dimostrò subito le sue doti di comandante.
Contemporaneamente, però, non trascurava mai di
sollecitare il governo di Venezia per uno sbarco a sorpresa sulle coste del
Marchesato, anche perché Alfonso d’Aragona si trovava acquartierato con il suo
esercito a Tivoli, dove vi rimase parecchi mesi e, quindi, secondo il marchese,
il re non avrebbe sospettato uno sbarco in Calabria.
Don Antonio, però, non immaginò che la vicinanza a
Roma di Alfonso gli permetteva di essere messo al corrente su molti avvenimenti
che accadevano in quel periodo. Alla corte vaticana, infatti, dimoravano gli
ambasciatori dei maggiori potentati del tempo e da costoro, con abili manovre,
Alfonso poteva sapere quanto accadeva negli altri stati e, particolarmente a
Venezia, verso la quale le sue attenzioni erano più interessate.
Molto probabilmente fu l’ambasciatore veneziano in
Roma o qualcuno del suo seguito, comprato con l’oro, a riferire al re che il
Centelles stava macchinando uno sbarco in Calabria e quindi il re, saputo ciò
che gli interessava, da Tivoli stesso, ordinava al tesoriere di Calabria di
finanziare la fortificazione dei luoghi costieri del Marchesato e provvedere di
difese i castelli.
Il fatto che le coste ioniche furono allertate si
dovette sapere presto anche a Venezia e, quindi, il progetto di don Antonio, che
si basava sulla sorpresa e sulla scarsa presenza di truppe regie nella regione,
cominciò a svanire.
Ad aggravare la situazione bisogna aggiungere che,
nel giugno 1447, a Venezia imperversò il flagello della peste. Ma il colpo
mortale alle speranze di don Antonio Centelles fu dato proprio dal suo
comandante Micheletto Attendolo, decisamente contrario al progetto perché non
voleva distogliere truppe dal confine lombardo-veneto per inviarle in Calabria.
Inoltre, fra il condottiero veneto e l'ex conte di Belcastro era sorta anche
qualche diffidenza, molto probabilmente per i successi militari conseguiti da
don Antonio contro le truppe di Francesco Sforza, cosa che aveva fatto crescere
la sua fama nell’esercito veneto.
L’ex conte di Belcastro, quindi, resosi conto che
l’agognato sogno di invadere le coste calabresi con truppe veneziane, almeno per
quel momento, non era possibile e l’ostilità ormai aperta del suo comandante,
nel gennaio 1448, decise di passare al servizio della Repubblica Ambrosiana.
In quel tempo, nell’esercito milanese militava
Giovanni della Noce che, tre anni prima, era fuggito dal regno di Napoli per
aver preso parte anch'egli alla congiura contro Alfonso I. E’ probabile che a
spingere il marchese a passare all’esercito milanese sia stato anche il Della
Noce che, oltre ad aver militato per don Antonio nella congiura, gli era rimasto
sempre fedele.
Con le truppe dello Sforza don Antonio, nel
settembre 1448, prese parte alla battaglia di Caravaggio al comando di due
squadre di cavalleria e si trovò di fronte proprio le truppe di Micheletto
Attendolo. La battaglia si concluse con la completa disfatta dell’esercito
veneziano e con il licenziamento di Attendolo.
Un mese dopo, Francesco Sforza, venuto a diverbio
con il governo ambrosiano, si accordò con Venezia per impadronirsi di Milano: il
senato della Serenissima, non potendo aiutare militarmente lo Sforza per via
della peste, incominciò ad assoldare truppe e porle sotto il comando
dell’ambizioso condottiero milanese.
Il Centelles, visto il defenestramento di
Micheletto e intuendo che Venezia non avrebbe potuto abbandonare i propri
interessi sulle coste pugliesi e calabresi, l’8 dicembre 1448, con i suoi due
squadroni di cavalleria abbandonò la repubblica ambrosiana e restò con lo
Sforza, al soldo della repubblica di Venezia. Pochi giorni dopo si aggiunsero il
Piccinini ed altri condottieri, meno il Della Noce che rimase fedele alla
repubblica Ambrosiana.
L’anno seguente (1449) Francesco Sforza ruppe il
suo accordo con Venezia e don Antonio, credendo che solo la repubblica veneta
avrebbe potuto fargli recuperare i suoi feudi calabresi, decideva di restare al
servizio della Serenissima, ma lo Sforza, informato delle intenzioni del
Centelles, nel febbraio 1450, lo fece arrestare nei pressi di Cantù11
e rinchiuderlo, dapprima, nel castello di Lodi e poi in quello di Pavia dove,
corrotti i carcerieri, si calò di notte nel fossato evadendo.
Frattanto, la moglie Enrichetta Ruffo, era
riuscita ad ottenere dal re il perdono per don Antonio che poté, così,
poté rientrare a Napoli e riammesso a corte con la carica di siniscalco -
che manterrà fino alla morte del Magnanimo - senza riavere però il suo
agognato stato feudale.
Nelle cose del feudo belcastrese - che era
ancora sotto il demanio -, il 12 novembre 1452, da Torre del Greco, Alfonso
d’Aragona comunicava al giustiziere della
Calabria ultra la concessione della carica di mastrodattia a Tommaso Macrì,
abitante della stessa città; mentre il 28 luglio dell’anno seguente, a seguito
di un’inchiesta, destituiva dalla baronia di Barbaro Pietro Capdevila che aveva
fiancheggiato Antonio Centelles nella rivolta del 1444 e nominava capitano e
castellano della stessa baronia il siciliano Maso Barresi, già suo falconiere
maggiore.
4 settembre 2003
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