ACCADDE NEL … 1444
Un personaggio di spicco che segnò profondamente la vita di Belcastro fu il
siculo-catalano Antonio Centelles, vissuto a cavallo tra la prima e seconda metà
del 1400.
Il Centelles discendeva da un ramo secondario della nobile e potente famiglia
dei Ventimiglia, conti di Geraci e Collesano, in Sicilia.
Messosi in luce durante la guerra di successione al Regno di Napoli tra Alfonso
I d’Aragona e Renato d’Angiò, egli riuscì a far schierare i titubanti feudatari
calabresi - fra i quali il potente
casato dei Ruffo -
con le insegne degli aragonesi. La lotta si concluse con la sconfitta di
Renato d’Angiò - che dovette
riparare in Francia - e l’elezione
di Alfonso d’Aragona a re di Napoli (1442). Il nuovo sovrano, per meglio legare
a sé la grande nobiltà del regno, attuò una politica di vincoli matrimoniali tra
i suoi commilitoni e le figlie dei feudatari locali. A tale scopo incaricò
Antonio Centelles, nominato viceré di Calabria, di preparare il matrimonio tra
uno dei suoi più valenti condottieri e fidato amico, Inigo d’Avalos, ed
Enrichetta Ruffo marchesa di Crotone, contessa di Catanzaro e di Belcastro e di
moltissime altre terre
la quale, “a guisa di nuova Penelope
- come scrisse Scipione Ammirato -, tirava gli animi di molti signori a
desiderarne la mano”. Il Centelles, invece di assolvere fino in fondo al compito
affidatogli dal re, invaghitosi lui della bella e ricca Enrichetta, disubbidì
alle direttive del re e brigò a tal punto che fu lui ad impalmare la Ruffo,
divenendo, di fatto, signore di tutti i possedimenti della marchesa.
Le fonti sono pressoché unanime ad attribuire la rottura tra Alfonso ed il suo
viceré alla disubbidienza di quest’ultimo che, ambizioso e senza scrupoli, aveva
visto in quest’operazione matrimoniale un’ottima occasione per essere padrone di
un vasto e ricco stato feudale che lo avrebbe reso uno dei più potenti feudatari
del regno. Alfonso d’Aragona, anziché intervenire subito, rinviò ogni sua
decisione a dopo la sua incoronazione a Napoli che avvenne il 23 febbraio 1443;
ma una grave crisi economica aggravata dal violento terremoto del 2 febbraio
1444 e dalla conseguente pestilenza fece ancora rinviare l’azione del re verso
il disubbidiente Antonio Centelles.
Il pretesto per intervenire contro don Antonio si presentò ad Alfonso per la
presunta defezione del nuovo marchese di Crotone alla spedizione aragonese
patrocinata dal papa contro Francesco Sforza, duca di Milano, che aveva invaso
la Marca d’Ancona di giurisdizione vaticana.
In effetti, il marchese si era diretto verso l’accampamento del re a Capua con
trecento suoi cavalieri, ma giunto a Teano fu avvertito dallo zio Giovanni,
conte di Ventimiglia e luogotenente del re, a non proseguire nel viaggio perché
il re aveva manifestato l’intenzione, non appena il Centelles fosse giunto al
campo, di fargli mozzare la testa per l’affronto subito, cioè la disubbidienza
all’incarico affidatogli per concordare il matrimonio fra Enrichetta Ruffo e
Inigo d’Avalos.
Don Antonio Centelles non si fece ripetere due volte l’avvertimento e ritornò
subito indietro in tutta fretta.
Giunto in Calabria si adoperò subito a consolidare le difese dei suoi feudi ed a
raccogliere milizie nei suoi castelli; contemporaneamente, si elevò a paladino
delle masse calabresi contro il pesante fiscalismo regio, incitando la regione
alla ribellione.
Inoltre, il Centelles allacciò trattative con la repubblica di Venezia per un
suo intervento diretto nella regione, tramite la mediazione di alcuni uomini
d’affari veneziani che operavano a Crotone.
Il piano di don Antonio prevedeva la rivolta delle plebi calabresi, ad iniziare
dai centri cosentini -da sempre filoangioini- ed un fronte strategico sull’istmo
del golfo di Squillace che, con le fortezze di Tiriolo, Catanzaro, Belcastro, Le
Castella, Crotone e Santaseverina, ben protette da solide mura e da rupi
scoscese, costituivano uno sbarramento difensivo difficile a superare.
Contemporaneamente, truppe veneziane avrebbero dovuto sbarcare sulle coste del
Marchesato e da qui iniziare l’invasione del regno.
Ancora con le trattative in corso con Venezia, il marchese di Crotone incominciò
ad incitare alla rivolta i contadini calabresi e a munire i suoi castelli.
Alfonso I, cercando di prevenire lo sbarco veneziano, inviò in Calabria i suoi
luogotenenti, il viceré a guerra Paolo di Sangro e il comandante dell’esercito
Marino Boffa con un contingente militare; i due, però, incontrarono nella
regione una forte resistenza ed il re, nell’ottobre del 1444, decise di scendere
personalmente nella regione con un altre truppe, al cui comando vi era proprio
Inigo d'Avalos, divenuto acerrimo nemico del Centelles.
Facevano anche parte del corpo di spedizione milizie albanesi guidate da
Demetrio Reres che, non volendo sottostare all’occupazione turca, si erano
rifugiate nel regno di Napoli e poste al servizio del re.
Alfonso giunto in Calabria e sottomesso il territorio cosentino, si diresse poi
alla volta del marchesato di Crotone dove più forte era la resistenza.
Cirò fu la prima ad arrendersi spontaneamente, mentre il castello di
Roccabernarda, dopo una strenua resistenza, fu anch’esso costretto a scendere a
patti. Restavano in armi Santaseverina, Crotone, difesa da don Antonio
Centelles, Le Castella, Catanzaro difesa dal fratello Alfonso e Belcastro,
difesa dall’altro fratello Giacomo.
Arresasi Santaseverina, le truppe del re assalirono le mura di Crotone che
dovette arrendersi, mentre i fedelissimi del Centelles resistevano in armi
dentro la rocca del castello, dove si era rifugiata Enrichetta Ruffo, per una
estrema difesa. Dopo qualche giorno, anche Le Castella scese a patti ed aprì le
porte ai soldati del re.
Don Antonio, intanto, lasciata Crotone di nascosto, si era diretto prima a
Belcastro e subito dopo a Catanzaro per meglio organizzare la difesa.
Il re, visto che il castello di Crotone opponeva una valida resistenza, vi
lasciò una guarnigione di soldati per assediarlo e si diresse verso Belcastro,
dove i cittadini, alla vista delle truppe regie, rendendosi conto che non
potevano sostenerne l’urto, aprirono le porte della città, invocando il perdono
del re. Alfonso “non potette però espugnare il Castello, e la Torre, detta di
Castellaci” ben difesi da Giacomo Centelles. Per alcuni giorni, cercò di
convincere i difensori dei due castelli ad arrendersi, ma non vi riuscì.
In questa occasione, mentre il re si trovava a Belcastro, una delegazione di
cittadini di Cropani - la cui
giurisdizione dipendeva dalla contea di Belcastro -
fu ricevuta dal sovrano (21 novembre 1444) al quale furono richiesti
alcuni capitoli che Alfonso concesse ed approvò con la rituale formula del Placet. Infatti, i cittadini di Cropani, non essendosi schierati con
Centelles ma si erano rifugiati sui monti della Sila per non incorrere nell’ira
di don Antonio, chiesero al re di essere staccati dalla contea di Belcastro e
posti sotto il demanio, oltre ad avere sgravi fiscali per 10 anni e di poter
pascolare liberamente nei territori limitrofi di Taverna e Belcastro.
Il re, intanto, non volendo dare il tempo ai veneziani di prepararsi
all’invasione, cercò di chiudere in fretta la partita con don Antonio e,
“considerando, che frà poco [i difensori dei due castelli di Belcastro] erano in
necessità di cadere in sua mano, non potendoli per niuna strada giunger
soccorso, s’inviò alla volta di Catanzaro”. Infatti, gli assediati che ancora
resistevano nelle due rocche di Belcastro, a corto di viveri, dovettero
arrendersi alle truppe regie non prima, però, di aver fatto fuggire furtivamente
Giacomo Centelles che, molto probabilmente, si diresse a Catanzaro dove si era
asserragliato don Antonio. Ma i catanzaresi, che mal sopportavano il marchese,
aprirono le porte al re, mentre il Centelles tentava un’ultima disperata
resistenza asserragliandosi nel castello della città; il 22 febbraio, però,
dovette arrendersi: vestito di un semplice saio e con una corda al collo tenuta
dall’altro capo dalla moglie Enrichetta, don Antonio si presentò al re chiedendo
il perdono.
Spogliato di tutti i suoi beni, il marchese ebbe salva la vita, ma fu costretto
a dimorare vicino Napoli dove il re avrebbe potuto controllare meglio i suoi
intenti.
I veneziani, evidentemente, saputa la resa del Centelles, desistettero
dall’inviare navi sulle coste calabresi, e così finì la rivolta del Centelles,
che fu la prima di altre due.
Antonio Centelles andò a risiedere a Marigliano nelle adiacenze di Napoli, che
era un feudo del consuocero Giovanni Antonio Orsini, principe di Taranto,
meditando già di evadere e preparare una nuova rivolta, della quale parleremo in
seguito.
5
luglio 2003
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