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di Raffaele Piccolo

 

ACCADDE NEL … 1444

 

Un personaggio di spicco che segnò profondamente la vita di Belcastro fu il siculo-catalano Antonio Centelles, vissuto a cavallo tra la prima e seconda metà del 1400.

Il Centelles discendeva da un ramo secondario della nobile e potente famiglia dei Ventimiglia, conti di Geraci e Collesano, in Sicilia[1]

Messosi in luce durante la guerra di successione al Regno di Napoli tra Alfonso I d’Aragona e Renato d’Angiò, egli riuscì a far schierare i titubanti feudatari calabresi  - fra i quali il potente casato dei Ruffo  -  con le insegne degli aragonesi. La lotta si concluse con la sconfitta di Renato d’Angiò  - che dovette riparare in Francia -  e l’elezione di Alfonso d’Aragona a re di Napoli (1442). Il nuovo sovrano, per meglio legare a sé la grande nobiltà del regno, attuò una politica di vincoli matrimoniali tra i suoi commilitoni e le figlie dei feudatari locali. A tale scopo incaricò Antonio Centelles, nominato viceré di Calabria, di preparare il matrimonio tra uno dei suoi più valenti condottieri e fidato amico, Inigo d’Avalos, ed Enrichetta Ruffo marchesa di Crotone, contessa di Catanzaro e di Belcastro e di moltissime altre terre[2] la quale, “a guisa di nuova Penelope  - come scrisse Scipione Ammirato -, tirava gli animi di molti signori a desiderarne la mano”. Il Centelles, invece di assolvere fino in fondo al compito affidatogli dal re, invaghitosi lui della bella e ricca Enrichetta, disubbidì alle direttive del re e brigò a tal punto che fu lui ad impalmare la Ruffo, divenendo, di fatto, signore di tutti i possedimenti della marchesa.

Le fonti sono pressoché unanime ad attribuire la rottura tra Alfonso ed il suo viceré alla disubbidienza di quest’ultimo che, ambizioso e senza scrupoli, aveva visto in quest’operazione matrimoniale un’ottima occasione per essere padrone di un vasto e ricco stato feudale che lo avrebbe reso uno dei più potenti feudatari del regno. Alfonso d’Aragona, anziché intervenire subito, rinviò ogni sua decisione a dopo la sua incoronazione a Napoli che avvenne il 23 febbraio 1443; ma una grave crisi economica aggravata dal violento terremoto del 2 febbraio 1444 e dalla conseguente pestilenza fece ancora rinviare l’azione del re verso il disubbidiente Antonio Centelles.

Il pretesto per intervenire contro don Antonio si presentò ad Alfonso per la presunta defezione del nuovo marchese di Crotone alla spedizione aragonese patrocinata dal papa contro Francesco Sforza, duca di Milano, che aveva invaso la Marca d’Ancona di giurisdizione vaticana.

In effetti, il marchese si era diretto verso l’accampamento del re a Capua con trecento suoi cavalieri, ma giunto a Teano fu avvertito dallo zio Giovanni, conte di Ventimiglia e luogotenente del re, a non proseguire nel viaggio perché il re aveva manifestato l’intenzione, non appena il Centelles fosse giunto al campo, di fargli mozzare la testa per l’affronto subito, cioè la disubbidienza all’incarico affidatogli per concordare il matrimonio fra Enrichetta Ruffo e Inigo d’Avalos.

Don Antonio Centelles non si fece ripetere due volte l’avvertimento e ritornò subito indietro in tutta fretta[3]. Giunto in Calabria si adoperò subito a consolidare le difese dei suoi feudi ed a raccogliere milizie nei suoi castelli; contemporaneamente, si elevò a paladino delle masse calabresi contro il pesante fiscalismo regio, incitando la regione alla ribellione.

Inoltre, il Centelles allacciò trattative con la repubblica di Venezia per un suo intervento diretto nella regione, tramite la mediazione di alcuni uomini d’affari veneziani che operavano a Crotone. 

Il piano di don Antonio prevedeva la rivolta delle plebi calabresi, ad iniziare dai centri cosentini -da sempre filoangioini- ed un fronte strategico sull’istmo del golfo di Squillace che, con le fortezze di Tiriolo, Catanzaro, Belcastro, Le Castella, Crotone e Santaseverina, ben protette da solide mura e da rupi scoscese, costituivano uno sbarramento difensivo difficile a superare. Contemporaneamente, truppe veneziane avrebbero dovuto sbarcare sulle coste del Marchesato e da qui iniziare l’invasione del regno.

Ancora con le trattative in corso con Venezia, il marchese di Crotone incominciò ad incitare alla rivolta i contadini calabresi e a munire i suoi castelli.

Alfonso I, cercando di prevenire lo sbarco veneziano, inviò in Calabria i suoi luogotenenti, il viceré a guerra Paolo di Sangro e il comandante dell’esercito Marino Boffa con un contingente militare; i due, però, incontrarono nella regione una forte resistenza ed il re, nell’ottobre del 1444, decise di scendere personalmente nella regione con un altre truppe, al cui comando vi era proprio Inigo d'Avalos, divenuto acerrimo nemico del Centelles.

Facevano anche parte del corpo di spedizione milizie albanesi guidate da Demetrio Reres che, non volendo sottostare all’occupazione turca, si erano rifugiate nel regno di Napoli e poste al servizio del re.

Alfonso giunto in Calabria e sottomesso il territorio cosentino, si diresse poi alla volta del marchesato di Crotone dove più forte era la resistenza.

Cirò fu la prima ad arrendersi spontaneamente, mentre il castello di Roccabernarda, dopo una strenua resistenza, fu anch’esso costretto a scendere a patti. Restavano in armi Santaseverina, Crotone, difesa da don Antonio Centelles, Le Castella, Catanzaro difesa dal fratello Alfonso e Belcastro, difesa dall’altro fratello Giacomo.

Arresasi Santaseverina, le truppe del re assalirono le mura di Crotone che dovette arrendersi, mentre i fedelissimi del Centelles resistevano in armi dentro la rocca del castello, dove si era rifugiata Enrichetta Ruffo, per una estrema difesa. Dopo qualche giorno, anche Le Castella scese a patti ed aprì le porte ai soldati del re.

Don Antonio, intanto, lasciata Crotone di nascosto, si era diretto prima a Belcastro e subito dopo a Catanzaro per meglio organizzare la difesa.

Il re, visto che il castello di Crotone opponeva una valida resistenza, vi lasciò una guarnigione di soldati per assediarlo e si diresse verso Belcastro, dove i cittadini, alla vista delle truppe regie, rendendosi conto che non potevano sostenerne l’urto, aprirono le porte della città, invocando il perdono del re. Alfonso “non potette però espugnare il Castello, e la Torre, detta di Castellaci” ben difesi da Giacomo Centelles. Per alcuni giorni, cercò di convincere i difensori dei due castelli ad arrendersi, ma non vi riuscì.

In questa occasione, mentre il re si trovava a Belcastro, una delegazione di cittadini di Cropani  - la cui giurisdizione dipendeva dalla contea di Belcastro -  fu ricevuta dal sovrano (21 novembre 1444) al quale furono richiesti alcuni capitoli che Alfonso concesse ed approvò con la rituale formula del Placet. Infatti, i cittadini di Cropani, non essendosi schierati con Centelles ma si erano rifugiati sui monti della Sila per non incorrere nell’ira di don Antonio, chiesero al re di essere staccati dalla contea di Belcastro e posti sotto il demanio, oltre ad avere sgravi fiscali per 10 anni e di poter pascolare liberamente nei territori limitrofi di Taverna e Belcastro.

Il re, intanto, non volendo dare il tempo ai veneziani di prepararsi all’invasione, cercò di chiudere in fretta la partita con don Antonio e, “considerando, che frà poco [i difensori dei due castelli di Belcastro] erano in necessità di cadere in sua mano, non potendoli per niuna strada giunger soccorso, s’inviò alla volta di Catanzaro”. Infatti, gli assediati che ancora resistevano nelle due rocche di Belcastro, a corto di viveri, dovettero arrendersi alle truppe regie non prima, però, di aver fatto fuggire furtivamente Giacomo Centelles che, molto probabilmente, si diresse a Catanzaro dove si era asserragliato don Antonio. Ma i catanzaresi, che mal sopportavano il marchese, aprirono le porte al re, mentre il Centelles tentava un’ultima disperata resistenza asserragliandosi nel castello della città; il 22 febbraio, però, dovette arrendersi: vestito di un semplice saio e con una corda al collo tenuta dall’altro capo dalla moglie Enrichetta, don Antonio si presentò al re chiedendo il perdono.

Spogliato di tutti i suoi beni, il marchese ebbe salva la vita, ma fu costretto a dimorare vicino Napoli dove il re avrebbe potuto controllare meglio i suoi intenti.

I veneziani, evidentemente, saputa la resa del Centelles, desistettero dall’inviare navi sulle coste calabresi, e così finì la rivolta del Centelles, che fu la prima di altre due.

Antonio Centelles andò a risiedere a Marigliano nelle adiacenze di Napoli, che era un feudo del consuocero Giovanni Antonio Orsini, principe di Taranto, meditando già di evadere e preparare una nuova rivolta, della quale parleremo in seguito.

[1] Il cavaliere catalano Gilabert Centelles aveva sposato Costanza Ventimiglia che portò in dote la contea di Collesano, in provincia di Palermo.

[2] Oltre il marchesato di Crotone -comprendente anche la contea di Santaseverina, la baronia di Caccuri, le terre di Policastro, Mesoraca, Cutro, Isola, San Giovanni Minagò, Papanicefora (Papanice), Roccabernarda, Le Castella, Cirò e Melissa-, possedeva la contea di Catanzaro con le terre di Rocca San Giuliano, Rocca Fallucca, Gimigliano e Tiriolo, la baronia di Taverna, e la contea di Belcastro con le terre di Cropani, Barbaro e Zagarise; aveva ereditato, inoltre, le baronie di San Lucido, Altavilla, Motta San Giovanni, Santo Niceto, Castelminardo, Montesoro, Polia, Monterosso, Caulonia, Roccella, Badolato,  Montebello e Rosarno.

[3] Le cronache dicono che il viaggio di ritorno, dai pressi di Teano a Catanzaro, durò appena due giorni e due notti di marcia forzata.

5 luglio 2003

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