L’abbazia di s. Maria e i conventi di s. Michele Arcangelo e di
s. Nicola di Myria.
Il primo edificio religioso, stando a quanto
riferisce il Fiore, fu il tempio pagano dedicato Castore e Polluce, situato
sull’acrocoro delle Timpe, al di sotto del quale erano ubicate le poche
capanne della comunità.
Ma, tralasciando questo breve riferimento del
quale non vi sono prove concrete e se la chiesa più importante di Belcastro fu
ovviamente la cattedrale, non fu però la più antica, dal momento che la sede
vescovile belcastrese risale intorno all’886, cioè quando il paese esisteva già
come struttura edilizia e, quindi, aveva già la sua chiesa della quale non siamo
in grado di indicarne il luogo o il nome, anche perché gli edifici religiosi
belcastresi, se si eccettuano l’ex cattedrale, la chiesa di s. Maria della
Pietà, di s. Francesco e quella della ss. Annunciazione - che sono di
epoca recente rispetto al periodo paleocristiano - furono tutti di modesta
entità e, quindi, la loro scomparsa è stata, nel tempo, affrettata anche dalla
loro scarsa consistenza muraria.
Perciò, individuare il sito delle prime chiese
cristiane di Belcastro è praticamente impossibile, a meno che per intuirne la
localizzazione non si faccia ricorso alla storia edilizia del paese ed
ipotizzare, grosso modo, in quale zona sia potuta sorgere la prima chiesa
belcastrese.
Il primo nucleo abitativo di Belcastro si costituì
proprio a ridosso del colle delle Timpe con il rione di Castellaci e
quindi è ovvio congetturare che il primo edificio religioso di Belcastro sia
sorto appunto in tale rione. Con il passare del tempo sorsero i rioni di
Fra-le-mura e Fornara, quest’ultimo in luogo più agevole rispetto agli altri
due; conseguentemente con l’espandersi del paese e la crescita demografica
si rese necessaria una nuova chiesa che, molto probabilmente fu eretta più a
valle, cioè su un luogo più stabile,
più comodo e soprattutto destinato a popolarsi.
Noi pensiamo, tanto per azzardare un’ipotesi, che
la nuova chiesa sia sorta nel rione Sala, nelle pertinenze dell’attuale chiesa
di s. Maria della Pietà, se non sul suo stesso sito.
Comunque, lasciando da parte le supposizioni, il
primo complesso chiesastico citato nei documenti è l’abbazia di s. Maria le cui
rendite, nel 1093, furono assegnate da Ruggero I d’Altavilla all’abbazia della
ss. Trinità di Mileto.
Il conte normanno, conquistata la Calabria e in
attesa di sottomettere la Sicilia occupata dai musulmani, aveva posto la sede
del suo governo provvisorio a Mileto dove, per dare decoro alla sua residenza,
oltre a ristrutturare l’edilizia civile modificò anche quella religiosa. Fra le
altre cose dotò di molti beni e privilegi, assegnandole nuove terre e
appartenenze,
la chiesa della s. Trinità di Mileto che in breve tempo diventò, per un certo
periodo, l’abbazia più potente di tutta la Calabria meridionale.
Purtroppo non abbiamo riferimenti precisi
sull’ubicazione dell’abbazia di s. Maria, ma aiutandoci con la storia edilizia
del paese possiamo supporre la sua localizzazione.
Poiché in quel tempo le abbazie o monasteri
venivano edificati al di fuori dei centri abitati - anche se non molto
distanti
-, è da presumere che s. Maria si trovasse o al di sotto o al di sopra del paese
che, come si è detto, si estendeva sul crinale sud-est del colle Timpe.
Al di sopra del borgo, però, vi era il
recinto-castello bizantino e quindi l’eventuale ubicazione della chiesa sopra
l’abitato del paese è da escludere, anche perché l’accesso alla rupe era molto
difficoltoso.
Se fosse stata ancora più sopra, i fitti e impraticabili boschi di castagneti e
querceti rendevano scomodo ai cittadini il suo raggiungimento; perciò
l’ubicazione della chiesa verso il lato nord del paese è da escludere con una
più che fondata certezza. Dobbiamo cercare, quindi, la localizzazione
dell’abbazia verso il lato sud, cioè nella parte sottostante l’abitato, e poiché
non doveva sorgere abbastanza distante dal paese, potremmo ipotizzare il suo
sito nei pressi dell’attuale piazza Poerio che, seppure staccato dal borgo, era
facilmente raggiungibile dalla piccola comunità dei fedeli.
Un’altra ipotesi più plausibile sulla posizione di
questa abbazia potrebbe essere dedotta da un’indicazione della Petizione
del 1112 che i cittadini di Belcastro avanzarono al vescovo Policreto per la
fondazione del capitolo diocesano.
Nella parte finale del documento è scritto che a
redigere l’atto fu “Macronio Locrezio notaio [e] sacerdote di nazione greca,
dimorante con casa e famiglia nella via chiamata Grecìa, propriamente vicino la
chiesa di Santa Maria greca della mia religione”.
Da questo passo, oltre a sapere che a Belcastro si
praticava contemporaneamente il rito bizantino e quello latino, veniamo a
conoscenza che nel 1112 esisteva una chiesa dedicata a s. Maria nella via
Grecìa, come lo stesso notaio Macronio specifica nell’atto.
Se l’abbazia di s. Maria del 1093 fosse stata la
chiesa di “s. Maria greca” del 1112 - cosa verosimile - che nel
documento del Fragale è detta anche Madonna greca, potremmo affermare con
precisione il suo luogo di ubicazione, corrispondente propriamente
all’abitazione civile della famiglia di Nicola Mazza, sita nella via Grecìa al
numero civico 44.
Questo edificio, ovviamente, lungo l’arco dei
secoli ha subito molte trasformazioni, ma nel lato sud della casa rimane ancora
un grosso spezzone di parete molto antico che si differenzia nettamente dal
resto dell’edificio sia per il suo spessore sia per il tipo di laterizi
adoperati.
Un’altra donazione di Ruggero I riguarda i
monasteri di s. Michele arcangelo e di s. Nicola di Myria - sempre di
Belcastro - i cui proventi furono assegnati, nel 1107, ai benedettini di
Lipari.
L’ubicazione di questi due monasteri è meno
difficoltosa di quella di s. Maria.
Sappiamo che il monachesimo bizantino edificava i
propri conventi in luoghi alti, solitari e disagevoli a raggiungerli, quindi, al
di fuori delle comunità, quali erano allora le zone dell’attuale castello e del
rione San Nicola (Santu).
Infatti, il monastero di s. Michele sorgeva nei
pressi dell’attuale chiesa arcipretale (ex cattedrale), allora scosceso e
disabitato, quindi di fronte il primitivo abitato di Belcastro, costituito
- come si è detto sopra - dai rioni Castellaci, Fralemura e Fornara.
L’altezza e l’asperità del luogo,
roccioso ed angusto, lo isolavano quasi completamente dal paese.
È probabile che nel 1300 il convento fosse in
rovina, il che spiega l’erezione della cattedrale sul suo sito.
Il secondo convento, quello di s. Nicola, era
ubicato nell’omonimo rione, comunemente detto anche Santo, di chiaro
riferimento al vescovo di Myria, del quale recentemente è stato scoperto un
affresco presso l’ex cattedrale.
Esso sorgeva sullo sperone roccioso, ultimo
prolungamento del colle sul quale fu edificato in seguito l’attuale castello, di
rimpetto il centro abitato e precisamente sulla parte terminale di questa
propaggine, cui fa riscontro un profondo precipizio, tipico dei monasteri
edificati tra i secoli VII-IX.
Ovviamente, oggi il convento non esiste più ed al
suo posto vi sono piccole abitazioni civili ad un unico piano.
La conformazione del terreno ci suggerisce la
disposizione edilizia di tutto il complesso monastico.
La chiesa, la cui cupola è ancora esistente,
si trovava proprio a picco sul burrone, mentre le abitazioni dei monaci e gli
edifici accessori al convento si dispiegavano ai due lati dello sperone
roccioso, formando così, per i suoi strapiombi, una specie di costruzione
ermeticamente protetta da ogni lato, lasciando aperto solo quello di accesso che
era anch’esso in posizione elevata rispetto al viottolo attraverso il quale si
poteva raggiungere tutto il complesso edilizio. All’interno di questa struttura
vi era un piccolo spiazzetto, tuttora esistente.
Quando cessò la sua funzione, tutto il complesso
fu adibito ad uso abitativo.
È probabile, quindi, che gli attuali edifici,
quasi tutti unicellulari, siano gli stessi che costituivano il monastero, anche
se di volta in volta restaurati dai nuovi inquilini.
Il convento distava dall’abitato cittadino circa
due chilometri e, calcolando la natura del terreno fortemente in pendio, era
collegato con la piccola comunità belcastrese da un angusto viottolo, il cui
tracciato ricalcava, grosso modo, l’attuale via s. Nicola.
Poiché l’abbazia di s. Maria ed i due conventi
sopra citati non sono indicati nelle relationes ad limina dei vescovi di
Belcastro
e neanche nell’Elenco di monsignor Fragale, esse sicuramente cessarono la
loro funzione ancor prima del secolo XVI.
I tre edifici religiosi, i cui luoghi, ripetiamo,
erano al di fuori del paese, furono edificati dal monachesimo bizantino, a sua
volta originato dall’eremitismo,
agli inizi del secolo X. Sebbene a Belcastro vi fossero queste tre chiese, esse,
al contrario di quelle di rito latino, non avevano alcun vincolo tra loro,
all’infuori dell’unione spirituale e fraterna ed esse si reggevano su norme
proprie che, generalmente, erano state impartite dal proprio fondatore. Gli
abati non facevano capo ad alcuna autorità superiore, ma facevano da guida ai
loro monaci secondo il loro vivere, che era basato sulle Vite dei santi.
Così pure, quando si parla di abbazie, non bisogna
immaginare grandi costruzioni simili a quelle che si innalzarono durante l’epoca
normanna o a quelle sontuose dei benedettini, ma si trattava generalmente di
piccole costruzioni, costruite dagli stessi monaci, dove la povertà e
l’essenziale erano di casa.
Prendendo ad esempio il monastero di s. Nicola, la
cui struttura edilizia si è mantenuta quasi intatta, possiamo dire che esso era
costituito da un piccolo edificio principale, corrispondente alla chiesa vera e
propria, e poi intorno ad esso piccole strutture unicellulari che servivano alla
funzionalità vera e propria del complesso, come le celle dei monaci, i
magazzini, le cucine, e così via. Esaminando anche le costruzioni intorno alla
chiesa della Madonna greca, edificata su un terreno scosceso, gli edifici
anche qui, sono di proporzioni modeste e, seguendo la conformazione del terreno,
sono disposti quasi a grappolo intorno alla chiesa.
I monaci di questi conventi furono generalmente
denominati Basiliani o dell’Ordine di s. Basilio Magno, anche se
tale termine è improprio e fu adottato dalla curia romana nel medioevo per
distinguere i monaci greci da quelli latini; ciò perché, non esistendo alcuna
“Regola” di s. Basilio, non potevano esistere neanche i monaci basiliani
e, quindi, è più corretto indicarli come monaci e monasteri greci, cioè
di rito greco.
Questi monasteri, con la fine del dominio militare
bizantino (1065 c.) e l’ascesa dei normanni, continuarono la loro attività ed il
loro rito; ma col passare del tempo furono pian piano assorbiti da quelli di
rito latino.
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