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 di Raffaele Piccolo

L'affresco di San Nicola di Mira

Prima di parlare dell'affresco che si trova nella chiesa di Belcastro è utile conoscere la storia del Santo.
Nicola era un vescovo orientale vissuto tra il III ed il IV secolo. Sua patria era Patara, città portuale della Licia, cioè di quella penisola meridionale dell'Asia Minore (oggi Turchia), che si affaccia nelle acque del Mediterraneo non lontane da Rodi. Della sua famiglia e della sua formazione nulla si sa. I vari dati relativi alla sua infanzia risalgono infatti alla Vita di un altro Nicola, un monaco vissuto anch'egli in Licia due secoli dopo. Ben presto però dovette lasciare la sua città e trasferirsi a Mira, altra importante città distante un centinaio di chilometri ad oriente. Qui probabilmente ebbe luogo il primo episodio noto della sua vita: l'intervento a favore di alcune fanciulle da marito. Figlio di genitori facoltosi, Nicola era venuto a sapere da un vicino che in una casa a pochi isolati dalla sua viveva, con le sue tre figlie povere, un nobile decaduto. La cosa però che lo scosse maggiormente fu la via che il padre voleva intraprendere per superare le difficoltà finanziarie, quella di fare prostituire le figlie. Ad evitare che il padre infelice mettesse in atto quello sciagurato disegno, Nicola avvolse delle monete d'oro in un panno e nottetempo si recò sotto la finestra di quella casa, lasciando scivolare il sacchetto all'interno. Si può ben immaginare la sorpresa del padre, nonché la grande gioia per la possibilità che gli si presentava di maritare onorevolmente la prima figlia. Qualche tempo dopo Nicola ripeté il gesto, ed il padre poté fare convolare a giuste nozze anche la seconda figlia. Si ripromise però di voler conoscere il provvidenziale donatore e cominciò a dormire cercando di cogliere ogni minimo rumore. Quando per la terza volta sentì cadere il sacchetto di monete, corse alla porta e dopo un breve inseguimento raggiunse Nicola. Lo riconobbe, ma Nicola gli fece promettere di non dire alcunché. L'episodio sembra avere una base storica, poiché i manoscritti sono abbastanza antichi e geograficamente lontani. Secondo la tradizione sinaitica si trattò di due ragazze e per esse San Nicola "rubò" il denaro ai genitori benestanti. Secondo la tradizione etiopica le fanciulle erano quattro. Ma queste differenze, piuttosto che gettare discredito, confermano il nucleo principale dell'episodio, vale a dire l'aiuto alle fanciulle povere gettando del denaro attraverso la finestra. Episodi di carità di questo tipo, nei quali Dante e san Tommaso videro la vera identità del Santo, portarono la popolazione cristiana di Mira ad eleggerlo vescovo. Una elezione a furor di popolo che gli antichi agiografi tradussero in termini miracolistici. Il Signore apparve ad uno dei vescovi dei dintorni confluiti a Mira e gli disse di proclamare vescovo della città colui che per primo all'alba si fosse presentato in chiesa a pregare. Così Nicola, da poco trasferito a Mira, fu eletto vescovo di quest'altra importante città della Licia. La delimitazione cronologica di questi avvenimenti non è facile. Infatti, gli scrittori cristiani del tempo non hanno lasciato alcuna informazione sul nostro Santo. Il primo a menzionarlo in uno dei suoi sermoni fu, verso il 440, il patriarca di Costantinopoli Proclo. Qualcuno ha però dubitato dell'autenticità di questo testo; per cui è necessario andare alla testimonianza successiva, quella del lettore della Chiesa di Costantinopoli, Teodoro (450-520 c.). Autore di una Historia tripartita (basata sui tre storici cristiani Socrate, Sozomeno e Teodoreto), Teodoro inserì il nome di Nicola al 151° posto nella lista dei 318 padri presenti a Nicea. E' vero che il tedesco Gustav Anrich, studioso nicolaiano, ha contestato l'autenticità di questo testo; infatti, per lui, il nome di san Nicola è stato interpolato ed inserito nel manoscritto del XII secolo. L'autenticità del testo è stata però difesa dal maggiore studioso di concili antichi, il tedesco Edward Schwartz, il quale ebbe ad affermare che Teodoro prese il nome di Nicola da uno dei tre storici menzionati o da qualche lista dei padri di Nicea. Così stando le cose, è ovvio che il primo punto fermo nella storia di Nicola è il 325 come anno della sua partecipazione al concilio di Nicea e che, quindi, permette di avanzare ipotesi sulle date principali. Il 260 dovrebbe essere una data vicina alla sua nascita e il 335 una data vicina alla sua morte. A parte l'indicazione di qualche biografo che pone la sua morte a poco dopo il concilio di Nicea, c'è anche il fatto che dopo il 335 il suo nome difficilmente sarebbe sfuggito a un Atanasio o a un Girolamo, molto attenti all'episcopato del loro tempo. Di conseguenza, se è vero che morì a tarda età è verosimile che avesse già una certa età prima del 325. In ogni caso, l'episodio della sua vita più noto in Oriente è quello della Praxis de stratelatis (Il fatto dei comandanti militari). Tre ufficiali di Costantino, nell'ambito di una operazione per domare una ribellione di mercenari Taifali, scesero con le loro navi costeggiando l'Asia Minore e attraccarono ad Andriake, concedendo alcune ore di libertà ai soldati. Un gruppo di essi raggiunse Mira, circa tre chilometri verso l'interno, e provocò dei disordini. Di questi furono accusati tre cittadini innocenti i quali furono trascinati sul luogo dell'esecuzione. Alcuni accorsero dal vescovo Nicola, che nel frattempo aveva ricevuto i tre ufficiali, e gli riferirono ciò che stava accadendo. Lasciando tutto, Nicola si avviò speditamente dove solitamente i soldati conducevano i condannati proprio mentre il boia si preparava a decapitare i malcapitati. Dopo aver bloccato il boia e liberati i prigionieri, si recò al palazzo del governatore Eustazio rimproverandolo aspramente per aver approfittato della situazione, lasciandosi corrompere e condannare i tre innocenti. Quando i tre ufficiali Nepoziano, Urso ed Erpilione rientrarono a Costantinopoli furono accolti trionfalmente per aver domato la ribellione de mercenari Taifali; ma alla gloria seguì l'umiliazione. Il prefetto Ablavio, influente consigliere di Costantino, li accusò di aver tramato ai danni dell'impero e li fece condannare a morte. La sera precedente all'esecuzione, Negoziano mentre era in carcere pregò il Signore affinché, come Nicola aveva salvato i tre innocenti a Mira, salvasse anche loro per la sua intercessione. Nicola allora apparve minaccioso in sogno prima all'imperatore poi al prefetto. Quando si svegliarono questi pensarono ad arti magiche, ma la testimonianza di Nepoziano rivelò il miracolo e Costantino li liberò, inviandoli persino a consegnare dei doni al santo vescovo di Mira. Questo episodio è l'unico che si è salvato di una Vita di san Nicola (Bìos) del IV-V secolo di cui parla nel 583 il presbitero Eustrazio di Costantinopoli e, fino all'VIII secolo, rimase anche l'unico conosciuto, tanto che talvolta ci si riferiva ad esso non come Praxis de stratelatis, ma semplicemente come Praxis tou Agiou Nikolaou. Che però il culto si stesse già diffondendo è attestato da Procopio, che nel De Aedificiis parla di una chiesa restaurata a Costantinopoli da Giustiniano (verso il 550). Anche la Vita di Nicola del monastero di Sion (570 circa) riporta alcuni dati relativi al "progenitore San Nicola": una chiesa a Mira (il martyrion), altre chiese nei dintorni, e la festa delle rosalie, che si teneva in occasione del concilio provinciale. Anche Andrea di Creta (710 circa), che compose canoni in suo onore, parla della festa, e riporta (lui solo) l'episodio secondo cui Nicola si diede da fare per convertire all'ortodossia il vescovo ariano o marcionita Teognide. La prima vita che ci sia pervenuta è quella di Michele Archimandrita (720 circa), il quale accenna soltanto alla Praxis de stratelatis (essendo nota a tutti) e riporta altri episodi, compreso quello delle tre fanciulle. Ricorda inoltre l'intervento di Nicola in tempo di carestia, la distruzione del tempio di Artemide (la divinità pagana più venerata a Mira) e l'intervento con cui portò in salvo dei naviganti durante una tempesta. A questi andrebbe aggiunto anche l'episodio secondo cui ottenne da Costantino la riduzione delle tasse per i Miresi, che non si trova nelle biografie ma costituisce una narrazione "vagante" e autonoma. In tutti questi testi emerge l'orientalità del Santo, o meglio della sua immagine. Michele Archimandrita ad esempio riporta l'episodio dell'allattamento (una sola volta il mercoledì e il venerdì), chiaro riferimento alle usanze liturgiche orientali. Anche la fusione (e confusione) con il Nicola di Sion (verificatasi verso il 900 d.C.) incrementa gli elementi di orientalità, non solo con la vita ascetica ma anche con i suoi viaggi in Terra Santa. Il suo culto ebbe un forte influsso da quando le sue reliquie furono portate a Bari nel 1087, dove fu innalzata in suo onore una stupenda basilica. 
Il suo culto si diffuse anche da noi, specie in Puglia e Calabria, con la fondazione di numerosi conventi basialiani: il fatto che a Belcastro sia esistito un convento a lui dedicato e situato nell'omonimo rione (e di ciò ne parleremo in un altro momento), e l'immagine del Santo sia stata affrescata nella maggiore chiesa di Belcastro ci indicano che anche i belcastresi mostrarono una grande fede verso questo santo.
Infine una curiosità. S. Nicola è molto amato dai bambini, in modo particolare da coloro che vivono nelle regioni del nord d'Europa, che ravvisano in lui il santo buono che ha l'incarico di portare i doni natalizi con diversi giorni di anticipo sul meno santo Babbo Natale. Inoltre, il nome americano di Babbo Natale è Santa Claus, derivante dal latino Sanctus Nicolaus, ovvero San Nicola e proprio gli americani hanno cercato diffondere, non solo per scopi commerciali, queste usanze derivanti da antiche tradizioni. Nel 1931 il famoso marchio "Coca cola" gli ha dato l'aspetto che tutti conosciamo, grazie alla mano del pittore Haddon H. Sundbolm, cioè quello di Babbo Natale con l'aria sorridente di un uomo che dispensa doni, con chiaro riferimento ai sacchetti di monete date dal vescovo Nicola al nobile decaduto per maritare le sue tre figlie.
Dopo aver parlato di S. Nicola, del suo culto e sulle sue curiosità, è bene parlare del s. Nicola affrescato nella chiesa di Belcastro, che ci riguarda più da vicino.
Da un recente restauro della chiesa arcipretale di Belcastro sono venuti alla luce, fra le altre cose, due affreschi risalenti probabilmente al secolo XVI.
Tali opere sono allocate rispettivamente in due grandi nicchie nelle pareti delle navate esterne dell'edificio religioso che, dall'865 circa al 1818, fu la chiesa cattedrale del vescovado di Belcastro. 
Delle due pitture murali, soltanto quella della parete destra, per chi entra, è appena visibile e ritrae s. Nicola vescovo di Mira. L'altro affresco, durante il suo rinvenimento, è miseramente crollato per la poca attenzione - ma sarebbe meglio dire per la scarsa professionalità - degli addetti ai lavori e per il misero disinteressamento delle autorità preposte del tempo. 
A tal proposito ci si augura che le attuali autorità cittadine, che dovrebbero essere quelle più interessate a far bene eseguire i futuri restauri di cui ha bisogno il paese (altare dell'Annunziata, castello, centro storico, ecc.), oltre a prestare maggiore attenzione alle stesse, la facciano osservare anche a tutte le autorità preposte (Sovrintendenza alle Belle Arti, Assessorato Regionale ai Beni Culturali, progettisti e direttori dei lavori e quant'altro ancora) e agli esecutori materiali dei lavori per i quali, gli uni e gli altri sono abbondantemente retribuiti. 
Ritornando all'affresco di s. Nicola bisogna dire che tale testimonianza pittorica è forse l'unica della provincia catanzarese; è certamente la sola di tutto il circondario di Belcastro, per cui il suo recupero è un'importante dovere sia per l'abbellimento della chiesa sia per il patrimonio artistico del paese intero: il suo completo recupero sarebbe certamente diffuso sui tanti depliants turistici della Regione (basta inviare una sua foto agli uffici competenti!) e, quindi, sarebbe un forte richiamo artistico per i numerosi turisti che affollano i vicini villaggi della costa.
Il dipinto purtroppo, per la sua esecuzione tecnica, è votato immancabilmente al suo disfacimento se non si corre subito ai ripari: tale tecnica pittorica veniva eseguita con l'impasto dei colori (che erano polveri colorate) e della colla che li teneva uniti alla parete. Inoltre, l'integrità dei colori si è ben conservata perché, fino al recente rinvenimento, lo strato di intonaco che ricopriva la pittura ha funzionato da protezione da ogni agente atmosferico; ma, ironia della sorte, da quando l'affresco è stato portato alla luce è iniziato subito il suo disfacimento. Ciò perché la colla, che ha tenuto amalgamati i colori per tanto tempo, a contatto con l'aria si è asciugata perdendo, quindi, la sua caratteristica di collante, per cui i colori (o meglio, le polveri colorate), privi del loro amalgama, si stanno lentamente sfarinando. Di conseguenza, più tempo passa e più tali polveri, prive del loro collante, cadono fino a scomparire del tutto in poco tempo.
In questi casi, ovviamente, dopo un attento esame di un funzionario delle Belle Arti o dei Beni Culturali - che non sia però un ex articolista - o, in mancanza o lentezza di questi, di un pittore-restauratore, capace di intendersi di tali tecniche - che potrebbe essere il noto catanzarese Gioacchino Lamanna, da sempre sensibile a tali problemi - potrebbe salvare un'opera così importante sia per la chiesa sia per il paese sia per l'intera zona.
Per la sua attuale conservazione, infine, basterebbe una bomboletta spray di fissatore, il cui costo si aggira sotto i 5 euro!
Siamo più che convinti che la soluzione di piccole cose, come l'arresto dell'agonia dell'affresco (fissatore spray = 5 euro!), spesso si rivelano, dopo, grandi cose purchè si facciano in tempo e non si aspetti l'irreversibilità del problema. Risolvere questo caso è facile, breve e quasi gratis: è tutta questione di interessamento, tempestività (anche un solo giorno in più è fatale) ed amore per il proprio paese.
Al contempo, siamo consapevolmente certi che questo grido di allarme lanciato da questa rubrica sarà fatto proprio in stretto giro di tempo dalle autorità comunali ed ecclesiastiche che, proprio per dare un segno di distinzione, si premureranno di contattare le autorità sopra menzionate, anche perché tale intervento - come detto - non comporterebbe alcuna spesa, se non quella di buona volontà.
Poiché esiste anche una giunta virtuale, anche se tale, ha il dovere di farsi carico di tale problema ed investirne tutte le autorità preposte alla sua soluzione più brevemente possibile.

17 giugno 2003

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