I NOMI DI
BELCASTRO ATTRAVERSO IL SUO SEGGIO VESCOVILE
Le più antiche fonti scritte che parlano di
Belcastro sono le diatiposi e le notitiae bizantine che sono gli
elenchi delle province ecclesiastiche soggette al patriarcato di Costantinopoli.
Tali elenchi, databili al XII secolo, riportano
cose risalenti dall’VIII al X secolo. Non sono, quindi, codici coevi alle cose
che riferiscono, ma sono copie di codici antichi modificati e, a volte, adattati
al tempo nel quale furono trascritti. Infatti, in essi si trovano diverse
varianti di nomi di luogo e ciò induce a credere che nessuno di questi
manoscritti è arrivato a noi nel testo genuino e che, quindi, i copisti li
abbiano alterati o per cause contingenti o per ignoranza - giacché i
luoghi menzionati sono molto distanti tra loro e poco conosciuti - o per
scarsa diligenza critica o per il cattivo stato del testo originale.
Ecco perché alcuni nomi delle sedi suffraganee alla
metropolia di Santa Severina non sono indicati chiaramente e con precisione;
anzi, a volte, alcuni di questi cataloghi, per il modo in cui sono stati redatti
e per l’imprecisione delle indicazioni, anziché far luce su tale incertezza,
rendono ancor più difficile l’individuazione di alcuni vescovadi suffraganei di
Santa Severina.
Nonostante ciò le diatiposi sono le
fonti più importanti del periodo bizantino.
La maggior parte di questi
documenti ecclesiastici sono conservati nella Biblioteca vaticana e furono
catalogati dal prefetto della biblioteca, Giuseppe Simone Assemani (1687 –
1768), il quale, per la carica che ricopriva, ebbe modo di ben studiare le varie
diatiposi classificandole in quattro categorie e dividendole per ordine
cronologico e per autore.
Alla prima categoria appartengono
le diatiposi ordinate dall’imperatore Leone III Isaurico e poi ampliate sotto
Leone VI il Sapiente e comprendono un arco di tempo che va dal 732 al 911.
Della seconda fanno parte quelle
compilate sotto Emanuele Comneno e vanno dal 1143 al 1160.
La terza categoria raggruppa le
diatiposi compilate sotto Andronico Paleologo e sono datate al 1292.
La quarta comprende la serie
disposta da Nilo Doxapatrio datata al 1143.
I bizantini, persa la Sicilia e con
essa la metropolia di Siracusa (840) e, dopo aver scacciato gli arabi dalla
Calabria nell’886, per opera del generale Niceforo Foca, sotto l’imperatore
Leone VI il Sapiente (886-916), crearono nella regione liberata una nuova
provincia con sede metropolitana Santa Severina.
I motivi che spinsero il patriarca
di Costantinopoli, Polieuto, a questa nuova erezione non sono del tutto chiari,
sia perché la Calabria aveva già come metropolia Reggio sia perché la nuova
veniva a coprire un territorio molto esiguo.
Alcuni autori come il Minasi e
l’Andrich attribuiscono questa decisione a motivo di orgoglio nazionale del
governo bizantino che “mal si adattava a registrare la perdita dell’antica
provincia” siciliana.
Altri ancora, come il Gay, pensano
a motivi politici e propagandistici, considerando Santa Severina “un foyer de
propagande byzantine” dove attirare i coloni da altre parti dell’impero per
popolare quelle zone e costituire, così, un valido baluardo ad un eventuale
nuovo attacco musulmano o richiamare l’attenzione dei fuggitivi siciliani che
non volevano sottostare alla dominazione araba; ma, in verità, come risulta
dalle agiografie del X secolo, la maggioranza dei fuggiaschi siciliani preferì
stabilirsi più a nord di Santa Severina, nella regione del Mercurion,
vicino Cassano, in una terra cioè più lontana dalla portata delle scorrerie
musulmane. In questa zona fondarono alcuni monasteri, a Cassano stesso,
Bisignano, Rossano, Oriolo e in altri posti della Calabria settentrionale.
Secondo il nostro parere, il
concetto del Gay è quello più valido in quanto pensiamo che alla base della
creazione della nuova provincia ecclesiastica santaseverinese vi sia stato un
motivo più profondo. La concezione politico-giuridico-religiosa che i bizantini
avevano dello Stato era che una provincia era costituita non tanto dal
territorio quanto dall’insieme dei cittadini: lo Stato, e quindi gli ordinamenti
costituiti, era la civitas, per cui la provincia continuava ad esistere
là dove i cittadini fissavano la nuova dimora proprio perché la provincia
s’incarnava nella civitas e non nel territorio. E se la stragrande
maggioranza dei fuggiaschi siciliani si stabilì verso il nord della regione,
facendo quindi in parte fallire il progetto bizantino, ciò fu dovuto a motivi di
sicurezza fisica, proprio perché la zona del Mercurion era difficilmente
raggiungibile dalle scorrerie musulmane.
Come risulta dal Synecdemus
o Nea
Tάktika,
la metropolia di Santa Severina venne eretta con quattro suffraganee delle quali
diamo l’elenco dei nomi originali greci con le rispettive variazioni latine:
Euruatwn |
Euruaton |
Euriatensis |
Euria |
Evria |
(Umbriatico) |
AkerentiaV |
Acherentias |
Acerentinus |
Acerentia |
Cerentia |
(Cerenzia) |
KallopolewV |
Kallopoleos |
Callipolitanus |
Callopolis |
Callipolis |
(Gallipoli) |
tvg
¢Ahuslwn |
Aeuslon |
Aisilorum |
Aisula |
Asila |
(Isola C. R.) |
Questo elenco è il più antico e
risale alla seconda metà del IX secolo, cioè, come abbiamo riportato prima, al
tempo dell’imperatore Leone VI il Sapiente (886-916) e alcuni lo datano all’886.
Del XII secolo abbiamo l’elenco
della
Notitia III, riferibile ad una diatiposi risalente al tempo di Alessio
Comneno; ma tale catalogo, anche se redatto nel 1084, riporta notizie di poco
anteriori all’anno 1000 ed, inoltre, vi compare per la prima volta una nuova
diocesi vescovile:
Euruaton |
Euruaton |
Euriatensis |
|
(Umbriatico |
AkeranteiaV |
Acheranteias |
Acerentinus |
|
(Cerenzia) |
KallipoleoV |
Kallipoleos |
Callipolitanu |
Callopolis |
(Gallipoli) |
Aisulwn |
Aisulon |
Asilorum |
|
(Isola C. R.) |
Palaiokastron |
Palaiokastron |
Paleocastren |
Castriveteris |
(Paleocastro) |
|
|
|
|
(Belcastro) |
Quindi, la metropolia di
Santa Severina si accrebbe di un’altra diocesi: Paleocastro che le fonti latine
indicano con
Castriveteris e che, pressappoco, ambedue i nomi hanno lo stesso significato
di Vecchio castello o Vecchia città.
In un altro elenco del 1140, riportato da Nilo
Doxapatrio, figurano i seguenti vescovadi suffraganei:
Kalliopolew |
Kalliopoleos |
Kallipolitanus |
Callopolis |
(Gallipoli) |
Aisulwn |
Aisula |
|
|
(Isola C. R.) |
AkeranteiaV |
Acheranteias |
Acerentina |
|
(Cerenzia) |
et reliquas.
e altre.
In una bolla papale di Lucio III,
datata 1183 ed inviata a Meleto, arcivescovo di Santa Severina, nella quale
venivano confermati diversi benefici alla sua Chiesa, abbiamo le seguenti
diocesi sottoposte alla metropolia:
Hembriacen |
(Umbriatico) |
Giropolen |
(Cirò ?) |
Geneocastren |
(Belcastro |
Girentinen |
(Cerenzia) |
Lesimanen |
(Isola C. R.) |
E’ dunque la bolla del 1183 a dirci in
maniera inconfutabile che in tale anno Belcastro era già sede vescovile.
Infine, in un altro elenco del
1300, abbiamo i seguenti vescovadi:
Umbriatico
Strongoli
Belcastro
Cerenzia
Isola C. R.
S. Leone |
E tali rimarranno fino al
1818, quando, col Concordato fra il Vaticano e il Regno delle Due
Sicilie, per il riordinamento delle diocesi nel regno, verranno
definitivamente soppresse.
Gli studiosi che hanno cercato di
individuare i veri siti dei vescovadi suffraganei di Santa Severina sono stati
diversi e spesso con pareri contrastanti; ma, secondo noi, ancora non è stata
fatta piena luce sulla identità delle due diocesi di Gallipoli e Paleocastro,
intorno alle quali si sono sviluppate diverse ipotesi che, paradossalmente,
alcune si intrecciano e finiscono per ingarbugliare di più l’intricata
questione.
Infatti alcuni identificano
Paleocastro, cioè
Vecchia città, con Strangoli o Caulonia (per via di Castriveteris
delle fonti latine) o, addirittura, con la lontana Policastro Bussentino in
Basilicata; altri ancora identificano Paleocastro con Geneocastro, cioè
Belcastro.
Kallipolis, invece, il cui significato è
Bella città, è identificata con Gallipoli di Puglia o con Belcastro che,
prima dell’attuale nome, però, veniva chiamato Geneocastro che è l’equivalente
latino del greco Paleocastro, ambedue dello stesso significato di Vecchia città.
Bisogna dire che la maggior
parte degli studiosi identifica Kallipolis con Belcastro per via della vicinanza
a Santa Severina,
però recentemente, la studiosa tedesca Vera von Falkenhausen, esperta di storia
bizantina, si è espressa in favore di Gallipoli di Puglia, criticando
apertamente la tesi opposta: “la presenza della cittadina pugliese di Gallipoli
tra le sedi suffraganee di Santa Severina ha sempre destato un certo stupore,
dato che le altre diocesi si trovano nella più stretta vicinanza con la
metropoli. Si è tentato di identificare la
KallίpoliV
dell’elenco delle diocesi con la cittadina calabrese di Belcastro ma non v’è
dubbio che si tratta dell’odierna Gallipoli: proprio in quegli anni (876 c.),
dopo la distruzione di Ugento da parte dell’ex emiro di Bari, Sawdàn, Gallipoli
veniva ricostruita e ripopolata per ordine dell’imperatore Basilio I. Per
sistemare la rinata città sul piano ecclesiastico, era naturale sottoporla alla
nuova metropoli di Santa Severina, dalla quale, almeno via mare, non era poi
tanto distante. Inoltre, suppongo che a Costantinopoli, allora pochi funzionari
civili o ecclesiastici avessero delle idee ben precise sulla geografia
dell’Italia meridionale”.
Come si può notare,
l’identificazione di Kallipolis ora con Belcastro ora con la città
pugliese ha generato una vera e propria disputa che si è protratta, a tratti,
fino ai giorni nostri.
Secondo il nostro convincimento
tale disquisizione è nata perché gli interessati non hanno ben approfondito la
storia locale dei due luoghi ma, o hanno avanzato congetture più o meno logiche,
come la vicinanza alla metropolia, o hanno subito l’influenza degli eventi
storici di portata generale che, sbagliando, li hanno applicati alla realtà
locale, eccetto la tesi della Von Falkenhausen che, in parte, riferisce sui
fatti della Gallipoli di Puglia.
Oltre alle ragioni addotte dalla
Von Falkenhausen, ve ne è un’altra storico-politica che, a nostro giudizio, è la
più semplice e la più naturale. Prima dell’876, soltanto la parte estrema della
penisola salentina, entro la quale è Gallipoli, era sotto il dominio bizantino,
mentre la restante parte della regione era sotto quello dei longobardi i quali,
essendo di rito romano, riconoscevano l’autorità del papa e non del patriarca di
Costantinopoli. Conseguentemente, essendo Santa Severina la metropolia di rito
greco più vicina alla diocesi pugliese, è ovvio che Gallipoli venisse aggregata
ad essa, pur trovandosi ad una certa distanza.
Inoltre, sebbene
Kallipolis sia il corrispondente greco di Bella città, esso non può
avere alcun riferimento storico con Belcastro in quanto il nome Bellicastrum
(Bella città) fu dato soltanto l’8 febbraio 1331 dal feudatario dell’epoca
Tommaso II d'Aquino, indotto da motivi strettamente storici locali. Belcastro,
cui precedentemente era stato spogliato da Carlo I d’Angiò del titolo di contea
per la nota partecipazione del casato d'Aquino al partito di Corradino di Svevia
(1268), nel 1331 fu elevata nuovamente a contea dal re Roberto d’Angiò e data,
appunto, a Tommaso II d'Aquino il quale operò una vera e propria rivoluzione
edilizia del paese che, fino a quell’epoca, era costituito dai rioni di
Castellaci, Fralemura e Fornara,
appena sotto il vecchio castello bizantino delle Timpe. Il nuovo conte
fece costruire un nuovo e più ampio castello sul sito attuale e così pure la
nuova chiesa vescovile, per cui la vita cittadina del paese venne a spostarsi
nella parte opposta dei tre vecchi rioni, con la costituzione dei nuovi
quartieri di s. Nicola, della Salita Castello e il prolungamento della via
Grecìa. Quindi, in virtù della nuova elevazione del feudo a contea e soprattutto
di di questa ricostruzione edilizia vera e propria, che praticamente ridisegnava
l’urbanizzazione del paese, venne sostituito anche il vecchio nome di
Genitocastrum (Vecchia città), che secondo il conte verosimilmente non si
addiceva più ad un paese profondamente rinnovato, facendolo mutare, quindi, con
Bellicastrum (Bella città) che si confaceva di più alle iniziative di
rinnovamento urbanistico intraprese dal novello conte:
“Pro comite Bellicastri.
Robertus dei gratia rex etc. Quos
genus nobilitat, prosapia generosa decorat, honoribus libenter ac tollimus ut
congregatione nobilium comitatus nostris lateris illustremus. Sane in persona
Thomasii de Aquino militi, dilecti consiliari, familiaris et fidelis nostris
attendentes nobili generis dona et placida virtuum donaria a suis
predecessoribus radicata, ipsum comitatus civitatis Bellicastri de Ducato
Calabrie, quae Genitocastrum nominabatur hucusque, providimus titulo de certa
nostra scientia et speciali gratia insigniri, et investientes eum per nostrum
vexillum propterea coram multitudine gentium copiosa, ipsum iuxta morem servatum
in talibus, Bellicastri comitem iussimus buczinari.
Datum Neapoli, die VIII februarii, anno domini
mcccxxxi”.
Pertanto, fra il nome di Bellicastrum e
quello di Kallipolis-Gallipoli non vi è nessuna corrispondenza storica, in
quanto il nuovo nome fu una conseguenza del rinnovamento sociale, edilizio e
religioso della città e quindi non aveva niente a che vedere con Kallipolis.
Perciò il nuovo nome fu generato da un evento strettamente locale, se non
addirittura casuale: se non ci fosse stato il rinnovamento edilizio non ci
sarebbe stato neanche Bellicastrum. Dello stesso parere fu anche
Francesco Scandone, grande studioso del casato d'Aquino: “Genitocastrum veniva
elevata a contea l’8 febbraio 1331 e, quindi, Tommaso d’Aquino, che da
barone diventava conte, per dare più lustro all’avvenimento, fece mutare il
vecchio nome bizantino con quello più moderno di Bellocastrum”. Inoltre,
ammettendo per ipotesi che l’attuale Belcastro sia stata la Kallipolis
dell’elenco di Nilo Doxapatrio (1140), come si spiegherebbe che dopo appena
quarantatré anni (bolla di Lucio III, 1183) abbia mutato il nome in Geneocastro
il cui significato è tutto il contrario del precedente nome, per riprendere,
poi, l’altro di Bellicastro?
Nel giro di un secolo e mezzo circa, cioè ogni
50 anni, sarebbe stata Bella città, Vecchia città e Bella città
nuovamente!
Per quei tempi, la cosa ci sembra un pò, per
non voler dire abbastanza, incoerente.
Inoltre, presso l’archivio arcivescovile di
Santa Severina, vi è una copia (16 maggio 1864) di una trascrizione del 5 aprile
1633, a sua volta copia di un atto del 24 maggio 1112, nel quale viene avanzata
al vescovo del tempo la petizione per l’erezione del capitolo diocesano di
Belcastro. In tale documento il nome di Belcastro è Geneocastren.
Guardando l’elenco di Nilo Doxapatrio (1140), vediamo che vi figura
Kallioupoleos-Kallipolitanus-Callopolis: di conseguenza, se il nome di
Belcastro sin dal 1112 era Geneocastren è ovvio che quest’ultimo non corrisponde
alla Gallipoli del 1140, come invece sostiene il Russo.
A noi sembra, quindi, che accostare
Kallipolis a Belcastro è storicamente e filologicamente inesatto.
Anche per quanto riguarda
l’identificazione di Palaiokastron le tesi sono contrastanti.
La tesi di Policastro Bussentino in Lucania è da
eliminare a priori in quanto non poteva essere sotto la giurisdizione del
patriarca di Costantinopoli ma, trovandosi nei domini longobardi, era sotto la
diretta dipendenza della chiesa di Roma e, quindi, non poteva essere suffraganea
di Santa Severina che sottostava al rito di Costantinopoli. Rimangono, allora,
le tesi di Calulonia/Castelvetere e Strangoli. Ad indicare la prima località
come Paleocastro furono il Batiffol e il Garitte. Il primo, per dimostrare la
sua tesi, affermava che Castelvetere fu elevato a corepiscopio al tempo della
conquista normanna e, a rinforzo di quanto asseriva, riportava la nota emortuale
del vescovo di Paleocastro, Ettore, avvenuta il 6 dicembre del 1300 e annotata
nel codice Vaticano Greco 1238.
Il Garitte, riprendendo la nota
obituaria del vescovo Ettore, diceva che una località di nome Palaiokastron
o
Kastellon béteron, in Calabria, è citata in documenti del XII e XIII secolo
e l’identificazione di Paleocastro corrispondeva a Castelvetere, l’attuale
Caulonia.
È stato, però, ampiamente
dimostrato che ambedue le asserzioni sono prive di fondamento, in quanto,
ammesso che Caulonia sia stata corepiscopio greco al tempo dei normanni, non
poteva esserlo ancora sotto gli svevi e gli angioini, antibizantini per
antonomasia, tanto da costringere molti monaci greci a fuggire dalla Calabria e
ritornare in oriente.
La tesi di Paleocastro/Strangoli è stata
sostenuta, invece, in tempi recenti dal Russo, affermando che alla romana
Petelia, distrutta da un’incursione saracena, fu dato il nome di Paleocastro o
Policastro ed in seguito il nome di Strongoli.
Tale opinione, però, fa sorgere più
di un dubbio.
E’ vero che l’antica Petelia
corrispondeva all’attuale Strongoli, ma è pur vero che essa, dal 200 d.C. in
poi, incominciò a decadere, fino a scomparire del tutto, all’epoca delle
invasioni barbariche e, quindi, ancor prima delle invasioni saracene.
Ma se Paleocastro fosse stata
Petelia-Strongoli, come mai la bolla di Lucio III (1183), che è un documento
specifico che illustra dettagliatamente la metropolia di Santa Severina con le
sue diocesi, non parla né di Paleocastro né di Strongoli ? Inoltre, Paleocastro
figura soltanto nella Notitia III (1084), mentre in tutti i successivi
elenchi non è più presente ed al suo posto vi è Geneocastro. Sappiamo pure che,
nel 1112, cioè appena ventotto anni dopo la Notitia, Belcastro figura,
per la prima volta, come Geneocastren ed in più questo nome non è mai
elencato contemporaneamente a Paleocastro: se fossero stati due luoghi diversi e
vescovadi contemporanei gli elenchi della metropolia di Santa Severina avrebbero
dovuto contenerli entrambi.
Ma la
testimonianza che conferma che Paleocastro non corrisponde all’attuale Strongoli
ce la offre una meticolosa e documentata pubblicazione dello storico strongolese
S. Gallo in una monografia, appunto, su Petelia-Strongoli. L’autore, nel
descrivere la storia di Petelia, riferendo un passo di Procopio, così scrive:
“all’inizio del VI secolo d.C. Petelia non esisteva più, sostituita -
ricorda Procopio ... con riferimento alla restaurazione della strada da noi più
volte richiamata
e disposta da Giustiniano al tempo da lui vissuto - nel punto più alto del
suo colle da un castello rotondo (strogguloV)
dal che, poi, la nomazione del nuovo abitato”.
Il nome di Strongoli, quindi,
compare già nella seconda metà del VI secolo d.C. con Procopio di Cesarea, che
fu testimone oculare della guerra greco-gotica e che visitò quei luoghi
personalmente.
Ne consegue che
Palaiokastron-Palaiokastron
e Petelia-strogguloV-Strongoli
siano due luoghi diversi.
I sostenitori più rappresentativi
che identificano Paleocastro con Genitocastrum cioè Belcastro, sono il
Minasi, il Fabre e il Duchesne. Dello stesso parere è anche Vito Capialbi che,
il 16 maggio 1848, in una lettera al barone di Belcastro, Cesare Poerio che,
evidentemente, aveva chiesto notizie appunto sull’erezione della diocesi, così
ne sintetizzava l’origine: “Codesto vescovado [Belcastro] col nome Paleocastro
in greco Palaiokastron,
che da
taluni si è tradotto Castriveteris si trova menzionato per la prima fiata nella
diatiposi che pubblicarono il Leunclavio e l’Assemani, e comunemente si dice di
Leone il Sapiente ai tempi di Fozio
compilata, sotto il metropolitano di Santa Severina. Nelle notizie de’ cinque
troni patriarcali, e nelle notizie compilate dal Vescovo di Cattaro,
è detto Geneucastrensem; nelle notizie de’ tempi di Celestino III, anno
1225, Geneocastrensem o Geniocastrensem; e nel provinciale Romano
di papa Leone X Genecastren. Sono tutte espressioni, con le quali si
cercò latinizzare l’espressione greca
Palaiokastron
che vuol dire Vecchio castello; e che han fatto nascere fuori ragione l’equivoco
di credere che lo Palaiokastron
debbasi
intendere Castelvetere, e questo paese chiesa vescovile. Dal fin qui detto ella
si accorgerà che niuna bolla mai intervenne nella fondazione del vescovado di
Belcastro, di cui solo conoscesi l’esistenza sul finire del secolo IX, e si deve
ritenere stabilito dal patriarca di Costantinopoli una colla metropolitana di
Santaseverina”.
Questa del Capialbi, secondo il
nostro parere, è la soluzione più rispondente alle origini della diocesi di
Belcastro sia per la corrispondenza storica sia per la toponomastica.
Vorremmo aggiungere, inoltre, che
quasi tutti gli studiosi che si sono occupati della metropolia di Santa Severina
hanno fatto risalire l’origine abitativa delle sue diocesi contemporaneamente
alla loro erezione a seggio episcopale, cioè alla seconda riconquista bizantina.
Anche qui si è voluto risolvere la
questione in maniera frettolosa.
Uno studio locale approfondito
avrebbe appurato che Santa Severina è la Severiana greca, Cerenzia e
Umbriatico sono rispettivamente le enotriche Akerentia e Brystakia,
Isola C.R. l’Haesula romana, Strongoli l’antica Petelia e la
stessa Gallipoli la colonia greca fondata dai tarantini. E se di Belcastro non
abbiamo il vero toponimo primitivo ma un nome, quasi generico, che indica la
vetustà del luogo (Palaiocastro/Geneocastro), possiamo anche concordare che il
suo sito fu abitato sin dall’antichità.
Con ciò si vuol dimostrare che
anche se i nomi attuali sono diversi da quelli antichi, questi luoghi, dalla
loro origine in poi, non scomparvero del tutto, ma, anche se in decadenza o
distrutti o abbandonati, continuarono la loro vita, se non sullo stesso sito, su
un altro a loro vicino, ricostruito per motivi di sicurezza o climatici.
Ritornando ai nomi di Belcastro possiamo
concludere che, prima dell’886, il suo nome fu Paleocastro (Vecchia Città) che
non fu il primo e tale rimase fino alla conquista normanna (1055 c.), con i
quali il il nome venne latinizzato in Geneocastrum (Vecchia città). Nel 1331 fu
chiamato Bellicastrum (Bella città) e, a partire dal 1600, Belcastro.
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