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di Raffaele Piccolo

I NOMI DI BELCASTRO ATTRAVERSO IL SUO SEGGIO VESCOVILE

 

Le più antiche fonti scritte che parlano di Belcastro sono le diatiposi e le notitiae bizantine che sono gli elenchi delle province ecclesiastiche soggette al patriarcato di Costantinopoli.

Tali elenchi, databili al XII secolo, riportano cose risalenti dall’VIII al X secolo. Non sono, quindi, codici coevi alle cose che riferiscono, ma sono copie di codici antichi modificati e, a volte, adattati al tempo nel quale furono trascritti. Infatti, in essi si trovano diverse varianti di nomi di luogo e ciò induce a credere che nessuno di questi manoscritti è arrivato a noi nel testo genuino e che, quindi, i copisti li abbiano alterati o per cause contingenti o per ignoranza  - giacché i luoghi menzionati sono molto distanti tra loro e poco conosciuti -  o per scarsa diligenza critica o per il cattivo stato del testo originale.

 Ecco perché alcuni nomi delle sedi suffraganee alla metropolia di Santa Severina non sono indicati chiaramente e con precisione; anzi, a volte, alcuni di questi cataloghi, per il modo in cui sono stati redatti e per l’imprecisione delle indicazioni, anziché far luce su tale incertezza, rendono ancor più difficile l’individuazione di alcuni vescovadi suffraganei di Santa Severina.

   Nonostante ciò le diatiposi sono le fonti più importanti del periodo bizantino.

   La maggior parte di questi documenti ecclesiastici sono conservati nella Biblioteca vaticana e furono catalogati dal prefetto della biblioteca,  Giuseppe Simone Assemani (1687 – 1768), il quale, per la carica che ricopriva, ebbe modo di ben studiare le varie diatiposi classificandole in quattro categorie e dividendole per ordine cronologico e per autore.

   Alla prima categoria appartengono le diatiposi ordinate dall’imperatore Leone III Isaurico e poi ampliate sotto Leone VI il Sapiente e comprendono un arco di tempo che va dal 732 al 911.

   Della seconda fanno parte quelle compilate sotto Emanuele Comneno e vanno dal 1143 al 1160.

   La terza categoria raggruppa le diatiposi compilate sotto Andronico Paleologo e sono datate al 1292.

   La quarta comprende la serie disposta da Nilo Doxapatrio datata al 1143.

   I bizantini, persa la Sicilia e con essa la metropolia di Siracusa (840) e, dopo aver scacciato gli arabi dalla Calabria nell’886, per opera del generale Niceforo Foca, sotto l’imperatore Leone VI il Sapiente (886-916), crearono nella regione liberata una nuova provincia con sede metropolitana Santa Severina.

   I motivi che spinsero il patriarca di Costantinopoli, Polieuto, a questa nuova erezione non sono del tutto chiari, sia perché la Calabria aveva già come metropolia Reggio sia perché la nuova veniva a coprire un territorio molto esiguo.

   Alcuni autori come il Minasi e l’Andrich attribuiscono questa decisione a motivo di orgoglio nazionale del governo bizantino che “mal si adattava a registrare la perdita dell’antica provincia” siciliana.

   Altri ancora, come il Gay, pensano a motivi politici e propagandistici, considerando Santa Severina “un foyer de propagande byzantine” dove attirare i coloni da altre parti dell’impero per popolare quelle zone e costituire, così, un valido baluardo ad un eventuale nuovo attacco musulmano o richiamare l’attenzione dei fuggitivi siciliani che non volevano sottostare alla dominazione araba; ma, in verità, come risulta dalle agiografie del X secolo, la maggioranza dei fuggiaschi siciliani preferì stabilirsi più a nord di Santa Severina, nella regione del Mercurion, vicino Cassano, in una terra cioè più lontana dalla portata delle scorrerie musulmane. In questa zona fondarono alcuni monasteri, a Cassano stesso, Bisignano, Rossano, Oriolo e in altri posti della Calabria settentrionale.

   Secondo il nostro parere, il concetto del Gay è quello più valido in quanto pensiamo che alla base della creazione della nuova provincia ecclesiastica santaseverinese vi sia stato un motivo più profondo. La concezione politico-giuridico-religiosa che i bizantini avevano dello Stato era che una provincia era costituita non tanto dal territorio quanto dall’insieme dei cittadini: lo Stato, e quindi gli ordinamenti costituiti, era la civitas, per cui la provincia continuava ad esistere là dove i cittadini fissavano la nuova dimora proprio perché la provincia s’incarnava nella civitas e non nel territorio. E se la stragrande maggioranza dei fuggiaschi siciliani si stabilì verso il nord della regione, facendo quindi in parte fallire il progetto bizantino, ciò fu dovuto a motivi di sicurezza fisica, proprio perché la zona del Mercurion era difficilmente raggiungibile dalle scorrerie musulmane.

   Come risulta dal Synecdemus o Nea Tάktika, la metropolia di Santa Severina venne eretta con quattro suffraganee delle quali diamo l’elenco dei nomi originali greci con le rispettive variazioni latine:

 

Euruatwn

Euruaton

Euriatensis

Euria

Evria

(Umbriatico)

AkerentiaV

Acherentias

Acerentinus

Acerentia

Cerentia

(Cerenzia)

KallopolewV

Kallopoleos

Callipolitanus

Callopolis

Callipolis

(Gallipoli)

tvg ¢Ahuslwn

Aeuslon

Aisilorum

Aisula

Asila

(Isola C. R.)

 

   Questo elenco è il più antico e risale alla seconda metà del IX secolo, cioè, come abbiamo riportato prima, al tempo dell’imperatore Leone VI il Sapiente (886-916) e alcuni lo datano all’886.

   Del XII secolo abbiamo l’elenco della Notitia III, riferibile ad una diatiposi risalente al tempo di Alessio Comneno; ma tale catalogo, anche se redatto nel 1084, riporta notizie di poco anteriori all’anno 1000 ed, inoltre, vi compare per la prima volta una nuova diocesi vescovile:

 

Euruaton

Euruaton

Euriatensis

 

(Umbriatico

AkeranteiaV

Acheranteias

Acerentinus

 

(Cerenzia)

KallipoleoV

Kallipoleos

Callipolitanu

Callopolis

(Gallipoli)

Aisulwn

Aisulon

Asilorum

 

(Isola C. R.)

Palaiokastron

Palaiokastron

Paleocastren

Castriveteris

(Paleocastro)

 

 

 

 

(Belcastro)

 

    Quindi, la metropolia di Santa Severina si accrebbe di un’altra diocesi: Paleocastro che le fonti latine indicano con Castriveteris e che, pressappoco, ambedue i nomi hanno lo stesso significato di Vecchio castello o Vecchia città.

   In un altro elenco del 1140, riportato da Nilo Doxapatrio, figurano i seguenti  vescovadi suffraganei:

 

Kalliopolew

Kalliopoleos

Kallipolitanus

Callopolis

(Gallipoli)

Aisulwn

Aisula

 

 

(Isola C. R.)

AkeranteiaV

Acheranteias

Acerentina

 

(Cerenzia)

                 et reliquas.                e altre.

 

   In una bolla papale di Lucio III, datata 1183 ed inviata a Meleto, arcivescovo di Santa Severina, nella quale venivano confermati diversi benefici alla sua Chiesa, abbiamo le seguenti diocesi sottoposte alla metropolia:

 

Hembriacen

(Umbriatico)

Giropolen

(Cirò ?)

Geneocastren

(Belcastro

Girentinen

(Cerenzia)

Lesimanen

(Isola C. R.)

 

  E’ dunque la bolla del 1183 a dirci in maniera inconfutabile che in tale anno Belcastro era già sede vescovile.

   Infine, in un altro elenco del 1300, abbiamo i seguenti vescovadi: 

Umbriatico

Strongoli

Belcastro

Cerenzia

Isola C. R.

S. Leone

    E tali rimarranno fino al 1818, quando, col Concordato fra il Vaticano e il Regno delle Due Sicilie, per il riordinamento delle diocesi nel regno, verranno definitivamente soppresse.

   Gli studiosi che hanno cercato di individuare i veri siti dei vescovadi suffraganei di Santa Severina sono stati diversi e spesso con pareri contrastanti; ma, secondo noi, ancora non è stata fatta piena luce sulla identità delle due diocesi di Gallipoli e Paleocastro, intorno alle quali si sono sviluppate diverse ipotesi che, paradossalmente, alcune si intrecciano e finiscono per ingarbugliare di più l’intricata questione.

   Infatti alcuni identificano Paleocastro, cioè Vecchia città, con Strangoli o Caulonia (per via di Castriveteris delle fonti latine) o, addirittura, con la lontana Policastro Bussentino in Basilicata; altri ancora identificano Paleocastro con Geneocastro, cioè Belcastro.

 Kallipolis, invece, il cui significato è Bella città, è identificata con Gallipoli di Puglia o con Belcastro che, prima dell’attuale nome, però, veniva chiamato Geneocastro che è l’equivalente latino del greco Paleocastro, ambedue dello stesso significato di Vecchia città.

Bisogna dire che la maggior parte degli studiosi identifica Kallipolis con Belcastro per via della vicinanza a Santa Severina[1], però recentemente, la studiosa tedesca Vera von Falkenhausen, esperta di storia bizantina, si è espressa in favore di Gallipoli di Puglia, criticando apertamente la tesi opposta: “la presenza della cittadina pugliese di Gallipoli tra le sedi suffraganee di Santa Severina ha sempre destato un certo stupore, dato che le altre diocesi si trovano nella più stretta vicinanza con la metropoli. Si è tentato di identificare la KallίpoliV dell’elenco delle diocesi con la cittadina calabrese di Belcastro ma non v’è dubbio che si tratta dell’odierna Gallipoli: proprio in quegli anni (876 c.), dopo la distruzione di Ugento da parte dell’ex emiro di Bari, Sawdàn, Gallipoli veniva ricostruita e ripopolata per ordine dell’imperatore Basilio I. Per sistemare la rinata città sul piano ecclesiastico, era naturale sottoporla alla nuova metropoli di Santa Severina, dalla quale, almeno via mare, non era poi tanto distante. Inoltre, suppongo che a Costantinopoli, allora pochi funzionari civili o ecclesiastici avessero delle idee ben precise sulla geografia dell’Italia meridionale”.

   Come si può notare, l’identificazione di Kallipolis ora con Belcastro ora con la città pugliese ha generato una vera e propria disputa che si è protratta, a tratti, fino ai giorni nostri.

   Secondo il nostro convincimento tale disquisizione è nata perché gli interessati non hanno ben approfondito la storia locale dei due luoghi ma, o hanno avanzato congetture più o meno logiche, come la vicinanza alla metropolia, o hanno subito l’influenza degli eventi storici di portata generale che, sbagliando, li hanno applicati alla realtà locale, eccetto la tesi della Von Falkenhausen che, in parte, riferisce sui fatti della Gallipoli di Puglia.

   Oltre alle ragioni addotte dalla Von Falkenhausen, ve ne è un’altra storico-politica che, a nostro giudizio, è la più semplice e la più naturale. Prima dell’876, soltanto la parte estrema della penisola salentina, entro la quale è Gallipoli, era sotto il dominio bizantino, mentre la restante parte della regione era sotto quello dei longobardi i quali, essendo di rito romano, riconoscevano l’autorità del papa e non del patriarca di Costantinopoli. Conseguentemente, essendo Santa Severina la metropolia di rito greco più vicina alla diocesi pugliese, è ovvio che Gallipoli venisse aggregata ad essa, pur trovandosi ad una certa distanza.

Inoltre, sebbene  Kallipolis sia il corrispondente greco di Bella città, esso non può avere alcun riferimento storico con Belcastro in quanto il nome Bellicastrum (Bella città) fu dato soltanto l’8 febbraio 1331 dal feudatario dell’epoca Tommaso II d'Aquino, indotto da motivi strettamente storici locali. Belcastro, cui precedentemente era stato spogliato da Carlo I d’Angiò del titolo di contea per la nota partecipazione del casato d'Aquino al partito di Corradino di Svevia (1268), nel 1331 fu elevata nuovamente a contea dal re Roberto d’Angiò e data, appunto, a Tommaso II d'Aquino il quale operò una vera e propria rivoluzione edilizia del paese che, fino a  quell’epoca, era costituito dai rioni di Castellaci,  Fralemura e Fornara[2], appena sotto il vecchio castello bizantino delle Timpe. Il nuovo conte fece costruire un nuovo e più ampio castello sul sito attuale e così pure la nuova chiesa vescovile, per cui la vita cittadina del paese venne a spostarsi nella parte opposta dei tre vecchi rioni, con la costituzione dei nuovi quartieri di s. Nicola, della Salita Castello e il prolungamento della via Grecìa. Quindi, in virtù della nuova elevazione del feudo a contea e soprattutto di di questa ricostruzione edilizia vera e propria, che praticamente ridisegnava l’urbanizzazione del paese, venne sostituito anche il vecchio nome di Genitocastrum (Vecchia città), che secondo il conte verosimilmente non si addiceva più ad un paese profondamente rinnovato, facendolo mutare, quindi, con Bellicastrum (Bella città) che si confaceva di più alle iniziative di rinnovamento urbanistico intraprese dal novello conte:

 “Pro comite Bellicastri. Robertus dei gratia rex etc. Quos genus nobilitat, prosapia generosa decorat, honoribus libenter ac tollimus ut congregatione nobilium comitatus nostris lateris illustremus. Sane in persona Thomasii de Aquino militi, dilecti consiliari, familiaris et fidelis nostris attendentes nobili generis dona et placida virtuum donaria a suis predecessoribus radicata, ipsum comitatus civitatis Bellicastri de Ducato Calabrie, quae Genitocastrum nominabatur hucusque, providimus titulo de certa nostra scientia et speciali gratia insigniri, et investientes eum per nostrum vexillum propterea coram multitudine gentium copiosa, ipsum iuxta morem servatum in talibus, Bellicastri comitem iussimus buczinari. Datum Neapoli, die VIII februarii, anno domini mcccxxxi”.

Pertanto, fra il nome di Bellicastrum e quello di Kallipolis-Gallipoli non vi è nessuna corrispondenza storica, in quanto il nuovo nome fu una conseguenza del rinnovamento sociale, edilizio e religioso della città e quindi non aveva niente a che vedere con Kallipolis. Perciò il nuovo nome fu generato da un evento strettamente locale, se non addirittura casuale: se non ci fosse stato il rinnovamento edilizio non ci sarebbe stato neanche Bellicastrum. Dello stesso parere fu anche Francesco Scandone, grande studioso del casato d'Aquino: “Genitocastrum veniva elevata a contea  l’8 febbraio 1331 e, quindi, Tommaso d’Aquino, che da barone diventava conte, per dare più lustro all’avvenimento, fece mutare il vecchio nome bizantino con quello più moderno di Bellocastrum”. Inoltre, ammettendo per ipotesi che l’attuale Belcastro sia stata la Kallipolis dell’elenco di Nilo Doxapatrio (1140), come si spiegherebbe che dopo appena quarantatré anni (bolla di Lucio III, 1183) abbia mutato il nome in Geneocastro il cui significato è tutto il contrario del precedente nome, per riprendere, poi, l’altro di Bellicastro?

 Nel giro di un secolo e mezzo circa, cioè ogni 50 anni, sarebbe stata Bella città, Vecchia città e Bella città nuovamente!

 Per quei tempi, la cosa ci sembra un pò, per non voler dire abbastanza, incoerente.

Inoltre, presso l’archivio arcivescovile di Santa Severina, vi è una copia (16 maggio 1864) di una trascrizione del 5 aprile 1633, a sua volta copia di un atto del 24 maggio 1112, nel quale viene avanzata al vescovo del tempo la petizione per l’erezione del capitolo diocesano di Belcastro. In tale documento il nome di Belcastro è Geneocastren. Guardando l’elenco di Nilo Doxapatrio (1140), vediamo che vi figura Kallioupoleos-Kallipolitanus-Callopolis: di conseguenza, se il nome di Belcastro sin dal 1112 era Geneocastren è ovvio che quest’ultimo non corrisponde alla Gallipoli del 1140, come invece sostiene il Russo.

   A noi sembra, quindi, che accostare Kallipolis a Belcastro è storicamente e filologicamente inesatto.

   Anche per quanto riguarda l’identificazione di Palaiokastron le tesi sono  contrastanti.

La tesi di Policastro Bussentino in Lucania è da eliminare a priori in quanto non poteva essere sotto la giurisdizione del patriarca di Costantinopoli ma, trovandosi nei domini longobardi, era sotto la diretta dipendenza della chiesa di Roma e, quindi, non poteva essere suffraganea di Santa Severina che sottostava al rito di Costantinopoli. Rimangono, allora, le tesi di Calulonia/Castelvetere e Strangoli. Ad indicare la prima località come Paleocastro furono il Batiffol e il Garitte. Il primo, per dimostrare la sua tesi, affermava che Castelvetere fu elevato a corepiscopio al tempo della conquista normanna e, a rinforzo di quanto asseriva, riportava la nota emortuale del vescovo di Paleocastro, Ettore, avvenuta il 6 dicembre del 1300 e annotata nel codice Vaticano Greco 1238.

   Il Garitte, riprendendo la nota obituaria del vescovo Ettore, diceva che una località di nome Palaiokastron o Kastellon béteron, in Calabria, è citata in documenti del XII e XIII secolo e l’identificazione di Paleocastro corrispondeva a Castelvetere, l’attuale Caulonia.

   È stato, però, ampiamente dimostrato che ambedue le asserzioni sono prive di fondamento, in quanto, ammesso che Caulonia sia stata corepiscopio greco al tempo dei normanni, non poteva esserlo ancora sotto gli svevi e gli angioini, antibizantini per antonomasia, tanto da costringere molti monaci greci a fuggire dalla Calabria e ritornare in oriente.

La tesi di Paleocastro/Strangoli è stata sostenuta, invece, in tempi recenti dal Russo, affermando che alla romana Petelia, distrutta da un’incursione saracena, fu dato il nome di Paleocastro o Policastro ed in seguito  il nome di Strongoli.

   Tale opinione, però, fa sorgere più di un dubbio.

   E’ vero che l’antica Petelia corrispondeva all’attuale Strongoli, ma è pur vero che essa, dal 200 d.C. in poi, incominciò a decadere, fino a scomparire del tutto, all’epoca delle invasioni barbariche e, quindi, ancor prima delle invasioni saracene.

   Ma se Paleocastro fosse stata Petelia-Strongoli, come mai la bolla di Lucio III (1183), che è un documento specifico che illustra dettagliatamente la metropolia di Santa Severina con le sue diocesi, non parla né di Paleocastro né di Strongoli ? Inoltre, Paleocastro figura soltanto nella Notitia III (1084), mentre in tutti i successivi elenchi non è più presente ed al suo posto vi è Geneocastro. Sappiamo pure che, nel 1112, cioè appena ventotto anni dopo la Notitia, Belcastro figura, per la prima volta, come Geneocastren ed in più questo nome non è mai elencato contemporaneamente a Paleocastro: se fossero stati due luoghi diversi e vescovadi contemporanei gli elenchi della metropolia di Santa Severina avrebbero dovuto contenerli entrambi.

   Ma la testimonianza che conferma che Paleocastro non corrisponde all’attuale Strongoli ce la offre una meticolosa e documentata pubblicazione dello storico strongolese S. Gallo in una monografia, appunto, su Petelia-Strongoli. L’autore, nel descrivere la storia di Petelia, riferendo un passo di Procopio, così scrive: “all’inizio del VI secolo d.C. Petelia non esisteva più, sostituita  - ricorda Procopio ... con riferimento alla restaurazione della strada da noi più volte richiamata[3] e disposta da Giustiniano al tempo da lui vissuto -  nel punto più alto del suo colle da un castello rotondo (strogguloV[4]) dal che, poi, la nomazione del nuovo abitato”.

   Il nome di Strongoli, quindi, compare già nella seconda metà del VI secolo d.C. con Procopio di Cesarea, che fu testimone oculare della guerra greco-gotica e che visitò quei luoghi personalmente.

   Ne consegue che Palaiokastron-Palaiokastron e Petelia-strogguloV-Strongoli siano due luoghi diversi.

   I sostenitori più rappresentativi che identificano Paleocastro con Genitocastrum cioè Belcastro, sono il Minasi, il Fabre e il Duchesne. Dello stesso parere è anche Vito Capialbi che, il 16 maggio 1848, in una lettera al barone di Belcastro, Cesare Poerio che, evidentemente, aveva chiesto notizie appunto sull’erezione della diocesi, così ne sintetizzava l’origine: “Codesto vescovado [Belcastro] col nome Paleocastro in greco Palaiokastron, che da taluni si è tradotto Castriveteris si trova menzionato per la prima fiata nella diatiposi che pubblicarono il Leunclavio e l’Assemani, e comunemente si dice di Leone il Sapiente ai tempi di Fozio[5] compilata, sotto il metropolitano di Santa Severina. Nelle notizie de’ cinque troni patriarcali, e nelle notizie compilate dal Vescovo di Cattaro[6], è detto Geneucastrensem; nelle notizie de’ tempi di Celestino III, anno 1225, Geneocastrensem o Geniocastrensem; e nel provinciale Romano di papa Leone X Genecastren. Sono tutte espressioni, con le quali si cercò latinizzare l’espressione greca  Palaiokastron che vuol dire Vecchio castello; e che han fatto nascere fuori ragione l’equivoco di credere che lo Palaiokastron debbasi intendere Castelvetere, e questo paese chiesa vescovile. Dal fin qui detto ella si accorgerà che niuna bolla mai intervenne nella fondazione del vescovado di Belcastro, di cui solo conoscesi l’esistenza sul finire del secolo IX, e si deve ritenere stabilito dal patriarca di Costantinopoli una colla metropolitana di Santaseverina”[7].

   Questa del Capialbi, secondo il nostro parere, è la soluzione più rispondente alle origini della diocesi di Belcastro sia per la corrispondenza storica sia per la toponomastica.

Ma il documento che dimostra in maniera lampante che Palaiokastron  corrisponde a Geneocastro è quello pubblicato dal Pratesi del marzo 1215, dove appunto fra i testimoni figurano contemporaneamente il “domine Bernarde Genicocastrensis episcope” e “Iw[annhV] not[a]r[ioV] cai crit[hV] Gunaicastr[ou] up[egraya]”[8].

   Vorremmo aggiungere, inoltre, che quasi tutti gli studiosi che si sono occupati della metropolia di Santa Severina hanno fatto risalire l’origine abitativa delle sue diocesi contemporaneamente alla loro erezione a seggio episcopale, cioè alla seconda riconquista bizantina.

   Anche qui si è voluto risolvere la questione in maniera frettolosa.

   Uno studio locale approfondito avrebbe appurato che Santa Severina è la Severiana greca, Cerenzia e Umbriatico sono rispettivamente le enotriche Akerentia e Brystakia, Isola C.R. l’Haesula romana, Strongoli l’antica Petelia e la stessa Gallipoli la colonia greca fondata dai tarantini. E se di Belcastro non abbiamo il vero toponimo primitivo ma un nome, quasi generico, che indica la vetustà del luogo (Palaiocastro/Geneocastro), possiamo anche concordare che il suo sito fu abitato sin dall’antichità.

   Con ciò si vuol dimostrare che anche se i nomi attuali sono diversi da quelli antichi, questi luoghi, dalla loro origine in poi, non scomparvero del tutto, ma, anche se in decadenza o distrutti o abbandonati, continuarono la loro vita, se non sullo stesso sito, su un altro a loro vicino, ricostruito per motivi di sicurezza o climatici.

Ritornando ai nomi di Belcastro possiamo concludere che, prima dell’886, il suo nome fu Paleocastro (Vecchia Città) che non fu il primo e tale rimase fino alla conquista normanna (1055 c.), con i quali il il nome venne latinizzato in Geneocastrum (Vecchia città). Nel 1331 fu chiamato Bellicastrum (Bella città) e, a partire dal 1600, Belcastro.

 


[1] I propugnatori di questa tesi sostengono che tutte le diocesi di Santa Severina si trovavano nelle sue vicinanze.

[2] Il rione della Grecìa  - che costituiva il ghetto degli ebrei -  si trovava fuori l’abitato, nella parte iniziale dell’attuale ed omonima via.

[3] La romana via Herculea.

[4] Leggi: Stroggulòs (= rotondo).

[5] Era il patriarca di Costantinopoli.

[6] Catanzaro.

[7] g.b. scalise, Siberene. Cronaca del passato ...., cit., pp. 225-226.

[8] Cfr. A. PRATESI, Carte latine…, cit., doc. 105, pp. 256-257.

 

11 LUGLIO 2003

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