Gian Giacomo Trivulzio
CONDOTTIERO, DIPLOMATICO E CONTE DI BELCASTRO (1486
– 1495)
di Raffaele Piccolo
Repressa la prima
Congiura dei Baroni del
regno di Napoli (1458-1462), che molti lutti addusse
anche ai cittadini di Belcastro, il re
Alfonso I
d’Aragona e, subito dopo suo figlio Ferdinando I,
per risanare le casse della corona avevano imposto
un esoso fiscalismo tributario. Inoltre, il
primogenito di
Ferdinando I, Alfonso II,
non perdeva occasione per manifestare
sempre più l’idea che, dopo la sua salita al trono,
avrebbe espropriato motu proprio tutti i
feudi intorno alla città di Napoli per un raggio di
30 miglia.
I maggiori feudatari del regno, già esasperati dalla
forte pressione fiscale e allarmati dalle intenzioni
aggressive dell’erede al trono, incominciarono a
temere per i loro feudi e decisero di organizzare
una seconda rivolta che mirava a eliminare la
“immanissima tyrannide del re et multo maior del
duca” di Calabria, dando vita così alla seconda
Congiura dei Baroni (1485-1486). Inoltre, i
congiurati facevano anche affidamento
sull’intervento armato di
Renato II d’Angiò, duca di
Lorena, a cui il papa aveva promesso la corona del
regno, e su quello della repubblica di Venezia che
da sempre mirava ad avere un avamposto marittimo
sulle coste pugliesi. Il papa, in aperto contrasto
con Ferdinando I, si mostrò subito ben disposto a
finanziare un grosso esercito, mentre la repubblica
di Venezia liberò dai suoi impegni di condottiero il
valente conte di Marsico,
Roberto Sanseverino che
trasferì subito i suoi soldati di ventura nello
stato pontificio, in attesa di congiungersi con le
truppe angioine ed invadere facilmente il regno di
Napoli.
Il re Ferdinando I, constatando che la quasi
totalità dei feudatari aveva ormai aderito alla
congiura, incominciò ad organizzare le sue forze
dividendole in tre corpi di spedizione. Il primo, al
comando di suo figlio Alfonso II, doveva penetrare
rapidamente nello stato pontificio e sobillare i
romani contro il papa per costringerlo a non
incoraggiare il baronaggio napoletano contro il re.
Subito dopo, Alfonso avrebbe dovuto dirigersi verso
i confini settentrionali del regno ed impedire
l’eventuale entrata di truppe francesi o veneziane.
Gli alti due corpi di spedizione dovevano marciare
in
Terra di Lavoro e in Puglia dove più forte era la
rivolta dei baroni e reprimerne la ribellione.
Contemporaneamente, Ferdinando I chiese l’aiuto dei
suoi alleati,
Galeazzo Maria Sforza duca di Milano e
Lorenzo de’ Medici signore di Firenze, con i quali,
nel 1463, aveva stipulato
una lega.
Nel frattempo Alfonso II riuscì ad avvicinarsi a
Roma con una sortita ma fu costretto da Roberto
Sanseverino a dirigersi verso l’Abruzzo in attesa
dei rinforzi alleati.
Infatti, il 22 gennaio
1486, il duca di Milano inviò un contingente
militare costituito da 150 cavalieri, 200 soldati di
ventura e 1000 fanti,
al comando del conte di Musocco,
Gian Giacomo
Trivulzio. Nato nel 1440 e cresciuto alla corte
ducale, il Trivulzio ben presto era divenuto uno dei
più arditi condottieri dell'epoca. Il compito del
conte milanese era quello congiungersi con le truppe
di Alfonso II e impedire, a nord del regno di
Napoli, l’eventuale entrata di soldati stranieri e,
nello stesso tempo, tenere impegnate le truppe del Sanseverino nello stato pontificio, in modo che i
congiurati del regno di Napoli rimanessero isolati e
privi di aiuti esterni. Il Trivulzio, dopo una sosta
di tre giorni a Firenze dove ricevette altri aiuti
militari, l’11 gennaio, incontrò Alfonso II a
Montepulciano, dove preparò subito il piano di
guerra che prevedeva piccole ma costanti scaramucce
nello stato pontificio, per tenere lontano dal regno
di Napoli il Sanseverino e, nello stesso tempo, con
spostamenti veloci verso l’Abruzzo, vigilare i passi
settentrionali del regno. Fu attuata quindi una
sorte di guerriglia a macchia di leopardo che
effettivamente costrinse Roberto Sanseverino a
rincorrere di continuo l’esercito alleato senza
poterlo intercettare. Soltanto il 16 maggio 1486,
l’esercito alleato si scontrò in campo aperto con
l’avversario. Il piano di battaglia fu ideato dal
Trivulzio che colse di sorpresa il campo avversario
e, dopo cinque ore di combattimento, il Sanseverino
fu costretto alla ritirata. Rinfrancate le truppe,
il Trivulzio decise, il 5 giugno, di dirigersi verso
Roma per costringere il papa alla pace in modo che
fosse fugato ogni eventuale intervento francese o
veneziano e intimorire i baroni napoletani che si
vedevano privati del loro principale sostenitore.
Allo stesso tempo, i soldati del Sanseverino,
sfiduciati e mal pagati, incominciarono a disertare,
mentre i soldati alleati, imbaldanziti per la
vittoria, riconquistavano tutte le posizioni
precedentemente occupate da Roberto Sanseverino.
Mutata, quindi, la situazione militare, venne ad
inserirsi con molto tempismo, presso la corte
papale, la diplomazia. Il Trivulzio, saputo che il
papa non era soddisfatto di come il Sanseverino
aveva condotto il conflitto, e godendo di aderenze
in Vaticano,
il 23 maggio 1486, allacciò trattative segrete con
il vescovo di Alessandria
Giovanni Antonio di San
Giorgio e con il cardinale veneziano
Giovanni Michiel, ambedue intimi e confidenti del papa.
Concluse queste trattative, fu concordata la pace e
il re Ferdinando I incaricò il Trivulzio, assieme a
Giovanni Pontano,
di firmare il trattato di pace il 12 agosto 1486.
Così, Roberto Sanseverino, preso atto del
voltafaccia del papa, fu costretto a ritornare con i
suoi soldati superstiti nella repubblica di Venezia.
Ma
eliminata la minaccia di Roberto Sanseverino,
restavano ancora in armi nel regno di Napoli i
baroni napoletani i quali, conoscendo l’indole
vendicativa del re Ferdinando I, non avevano deposto
le armi ma si erano rinforzati nei loro castelli.
Alfonso II, che aveva apprezzato le capacità
militari e diplomatiche di Gian Giacomo Trivulzio e
con il quale aveva stretto ormai rapporti di
amicizia personale, chiese al suo nuovo amico di
essere aiutato per sottomettere i congiurati
napoletani. E così, il 6 novembre 1486, il Trivulzio
anziché ritornare nel ducato di Milano - come fino
allora aveva pensato - acconsentì alla richiesta di
Alfonso e prese la via del regno di Napoli.
Ma
questa volta non fu una guerra combattuta con le
armi ma con l’abile parola del conte milanese.
I due condottieri si
diressero subito in Puglia contro il principe di
Altamura,
Pirro del Balzo
che, oltre ad essere uno dei più potenti feudatari
del regno, era stato uno dei principali fautori
della congiura. Il principe, vedendo avvicinarsi
l’esercito regio costituito da ben 70 squadre di
cavalli,
non accettò la battaglia ma chiese di potere
parlamentare con Gian Giacomo Trivulzio il quale
riuscì a convincere il principe ribelle a desistere
dalle sue intenzioni e a chiedere il perdono del re.
Ben presto il Trivulzio riuscì a persuadere anche
gli altri principali congiurati, fra i quali il
marchese di Bitonto
Andrea d’Acquaviva, il principe
di Bisignano
Girolamo Sanseverino, il conte di
Mileto
Carlo Sanseverino e altri ancora.
Il 28 dicembre 1486,
Alfonso II e Gian Giacomo Trivulzio entravano
trionfalmente a Napoli tra la folla acclamante. Gian
Giacomo Trivulzio, terminata la sua missione, si
apprestava a ritornare nel ducato di Milano, ma per
l’inclemenza del tempo fu persuaso da Ferdinando I
di fare svernare le sue truppe a Napoli e di
ripartire nella primavera dell’anno seguente alla
volta di Milano, dove maggiori erano i suoi
interessi. Il re Ferdinando I, però, sperimentate le
qualità del Trivulzio, fece di tutto per trattenerlo
definitivamente alla sua corte. Infatti, in segno di
gratitudine per avergli salvata la corona, “il
giorno 22 d’aprile [1487] Sua Maestà
convocati i Baroni del Regno e gli Ambasciatori,
dopo avere solennemente assistito alla messa,
dichiarò Gian Giacomo Trivulzio Conte della Città di
Belcastro, e gliene conferì le solite insegne.
Quindi comandò che da tutti i grandi [baroni]
che componevano la sua reale corte fosse
accompagnato alla casa di sua abitazione preceduto
dallo stendardo delle insegne della casa Triulzesca,
il quale era portato dal suo consanguineo
Teodoro
Trivulzio, e quindi ricondotto colla stessa pompa al
Castello Reale, ove ebbe luogo una magnifica festa,
onorata della presenza del Re, della Regina, del
Duca
di Calabria e della duchessa”.
Durante la cerimonia fu letto l’atto di investitura
della contea di Belcastro, conservato tuttora presso
l'Archivio Trivulziano di Milano e che è il seguente:
Ferdinandus Dei Gratia Rex Siciliae,
Hierusalem etc.
Universi et singulis presentium
seriem inspecturis tam presentibus quam futuris.
Nihil est quod Principibus magis populorum alliciat
studia ac voluntates, quam ubi benefactis premia, et
accepto beneficio huberior [superior?], aut certe
per gratia exibetur.
Accendit hoc fortes ipsos ad virtutem quippe qui
intelligant non se frustra novaturos operam, et
officio suo strenue usuros. Item etiam excitat
ergitque ignavos atque imbelles quorum animis
emulatio tamquam calcor subditur, ut et ipsi ea
suscipiant, quae aliis tales efferre honores et
emolumenta animadverunt. Quod cum Nos semper et
intellexerimus pulchre et pro virili observaverimus,
hoc ipso potissimum tempore eius tam honesti
utilisque spectabilis et Magnifici viri Joannis
Jacobi de Trivultio Comitis Misochi strenui armorum
ductoris virtus, studiumque apparuit, ut nihil sit
omnino quod ei Nos debere non intelligamus. Etenim
cum rebellassent a Nobis proceres quidam ex
maioribus Regni, magnoque, et ferme presenti
periculo belli arderemus, missa sunt nobis auxilia
ab Ill.mo et potentissimo Duce Mediolani
affini et tamquam filio nostro carissimo, hisque
bono quodam rerum nostrorum fato moderator hic ipse
Joannes Jacobus profectus est in qui pro singulari
prudentia sua, et rerum bellicarum uso quo mirifice
praestat intelligens omnem rem verti in celebritate,
primo statim ipse copias in Ethruriam traduxit,
seque cum Ill.mo Duce Calabriae
primogenito et Vicario Generali nostro carissimo ita
quidem coniunxit, ut quod brevi tam letum
felicemque exitum res nostrae habuerint, id magna
ex parte huius virtuti industriae operi et consilio
debeatur. Nulli enim unquam bene gerendae rei
occasioni defuit utroque semper omnibus se periculis
et laboribus obtuilit. Ac, quod maximi sit amoris
argumentum sepe etiam propriis facultatibus
pecuniisque illo difficilimo tempore eidem Duci
primogenito nostro subventit. Quid, quod eius quoque
opera et interventu pacem cum Innocentio Pontifice
Maximo tam honestis conditionibus fecimus, cum ultro
citroue saepe commeando ac nulli unquam parcendo
labori aut difficultati tandem pax ipsa confecta sit
atque ita nobis et toti Regno tranquillitas
restituta. Ut taceamus infinita prope alia quae idem
Joannes jacobus variis temporibus ut nobis rem
gratam faceret aggredi et perficere non est veritus.
Quibus quidem omnibus officiis, etsi non parem,
tamen aliquam pro temporum conditione referre
studentes, ne tantam talemque virtutem intestatam
vel apud posteros relinqueremus, decrevimus quod sit
nostri iudicii amorisque pignus et monumentum eum
ipsum Joannem Jacobum de Triultio ad aliuam regni
nostri dignitatem et titulorum fastigium in
presentiarum efferre. Habentes igitur in
presentiarum ac tenentes et possidentes legitime et
pleno iure tamquam rem nostram propriam, et ad nos
et nostram curiam legitime spectantem et pertinentem
et quam rationalibus causis et respectibus ad eandem
nostram curiam fuisse et esse devolutam de certa
nostra scientia decernimus et declaramus Comitatum
Belcastri, videlicet Civitatem Belcastri et terras
Cropani, Zagarisi, et Barbari de provincia Calabriae
ulterioris eum ipsarum castris, forteliciis,
hominibus, vassallis, vassallorumque redditibus
casalibus, feudis, etc. etc. quomolibet spectantibus
et pertinentibus, pro singulari nostro in ipsum
Joannem Jacobum amore, ad eum exornandum,
testificandamque nostram in ipsum singularem
benevolentiam, ipsi Joanni Jacobo tamquam de nobis
et de statu nostro optime merito et suis utriusque
sexus heredibus ex suo corpore legitime
descendentibus natis et in antea nascituris etatis
et sexus prerogativa servata ut masculi feminis
preferantur in perpetuum ob predictos respectus et
causas iam dictum Comitatum Belcastri …cum titulu et
honore Comitatus Belcastri … per eundem Joannem
Jacobum Comitem eiusque heredes et successores,
ipsiusque et ipsorum officiales providos et fideles
quos per tempora in dicto comitatu, civitate et
terris predictis ordinandos duxerint ex nunc in
antea in perpetuum administrari et exerceri volumus
et iubemus, etc. etc.
Datum in Castello Novo civitatis
nostrae Neapolis die octavo mensis Augusti anno
1487. Regnorum vero nostrorum anno Trigesimo.
Domin. Rex mandavit mihi J.
Da un regesto della
cancelleria aragonese, dove è riportata la nota
dell’avvenimento, si apprende che a Gian Giacomo
Trivulzio, oltre l’investitura feudale di Belcastro
che comprendeva anche il mero e misto imperio, fu
concessa anche la facoltà di esportare “dai porti
della contea”
e da quello di Crotone tante tratte di frumento o
altro fino a raggiungere ogni anno la somma di 500
ducati.
Inoltre, da una
corrispondenza dell’ambasciatore milanese,
Branda di Castiglione, vescovo di Como, datata 24 aprile 1487,
dove veniva descritta al duca di Milano la festa in
onore di Trivulzio, si conosce la stima data alle
entrate feudali di Belcastro: “post missarum
solemnia in presentia de tutti li baroni et noi
altri Ambassatori [il re] lo creò Conte de la Città
de Belcastro che ha d’entrate da 1500 fino a 1800
ducati [annui], conferendogli le insegne essere
date, et poi fu accompagnato da tutta la Corte sino
alla Casa de la habitazione sua cum suono de
trombetta et pifferi portando el Stendardo de le
insegne de la Casa Triulcesca inante el quale
portava M.[essere] Theodoro
in mano, et reacompagnato in Castello fu facto una
bellissima festa da donne presente li Serenissimi Re
et Regina, Duca et Duchessa de Calabria et lì fu
celebrato el Contracto de Matrimonio tra el prefato
Magnifico M. Joanne Jacobo et Madon[n]a Beatrice
fiola che fu del quandam Conte Camberlengo et
Sorella del Marchese di Pescara, et del Conte del
Monte Oldrice
cum promessa de dote de 10000 ducati. Et più la
prefata Maestà accumulando gratie a gratie li ha
datto 500 cavalli de cunducta
cum provisione de 2000 ducati l’anno per la persona
sua”.
Ma il re Ferdinando I,
astuto qual era, sapeva benissimo che questi
donativi e titoli non erano sufficienti per
trattenere il Trivulzio a Napoli. Ed allora il re
ricorse anche al sentimento amoroso. Infatti, nel
periodo invernale, durante il quale Gian Giacomo
fece svernare i suoi soldati, il re si era molto
prodigato per il suo fidanzamento con la bella e
avvenente contessa
Beatrice d’Avalos d’Aquino,
appartenente ad uno dei più nobili e potenti casati
del regno. Così, la sera stessa della nomina a conte
di Belcastro, “terminata la festa il Re fece leggere
il contratto di matrimonio fra Gian Jacopo Trivulzio
e Donna Beatrice d’Avalos, figliuola del defunto
Don Innico d’Avalos … con dote di diecimila ducati”
che, all'epoca, rappresentava una somma molto
cospicua. Più specificatamente:
“In nomine Domini etc.
Regnante Serenissimo Ferdinando dei gatia Rege
Siciliae etc. Die secundo mensis Maii … Neapoli etc.
… Nos … Sartorius de Napoli ad Contractus Judex,
Franciscus Russus de eadem civitati Neapolis,
publicus ublibet per totum Regnum Sicialiae Regia
auctoritate Notarium et testes subscripti ad hoc
specialiter vocati et rogati presenti scripto
publico declaramus … quod predicto die constitutis
in nostra presentia excellente domino Johanne Jacobo
de Trivulcio de Mediolano comite Misocchi et
Belcastri etc. ac Regio et Ducali armo rum
gubernatore agente ad infrascripta omnia pro se
eiusque heredibus et successori bus universali bus
etc. ex una parte, et Illustribus Domina Antonella
de Aquino et Domino Don Alfonso de Davalos de Aquino
Marchionissa et Marchione Piscarie
ac Comitissa et Comite Comitatus Lauriti
et Excellente D.no Don Martino de Davalos Comite
Montis Odorisis matre et filiis ac fratribus
utrinque coniunctis Excellentis dominae Beatricis de
Davalos Comitisse Belcastri uxoris dicti domini
Comitis Johannis Jacobi et ipsa Domina Beatrice jure
franchorum ac more magnatum vivente ut dixit agenti
bus similiter ad omnia et singula infrascripta per
se ipsa et quolibet ipsorum eorumque et cuiuslibet
ipso rum heredibus et successoribus universalibus ex
particularibus ex parte altera, prefate vero partes
sponte asserueurnt pariter coram nobis olim habitum
fuisse colloquium et tractatum de matrimonio …
contraendo inter eundem dominum Comitem Johannem
Jacobum ex una, et prefatam Dominam Betricem
partibus ex altera tractatibus et mediantibus
comminibus consanguneis et amicis eorum, sicque
desiderante set affectantes partes ipse dictum
Matrimonium eis gratum et amabile totaliter
precomplere et realiter ad affectum ducere inter
easdem partes nonnulla capitula conventiones et
pacta inita et firmata fuisse eorum propriis minibus
subscripta et sigillata, quorum quidem capitulorum
et pactuum tenor de verbo ad verbum sequitur et est
talis. Capituli convencione et pacti inhiti et
firmati inter la Illustre Madamma Antonella de
Aquino et lo Illustre et excellente Don Alfonso de
Davalos de Aquino et Don Martino de Davalos matre et
figlii Marchesa et Marchese de Peschara Contessa et
Conti de Lorito et de Monte de Riso nomine et pro
parte de la Excellente Damicella Madamma Beatrice de
Davalos figlia legittima et naturale del quondam
Illustre Don Inico de Davalos Conte de Monte de Risi
et del Regno de Sicilia gran Camerlingo et de la
dicta Madamma Antonella ex una parte et lo
Excellente Signor Messere Johan Jacobo de Triulcio
de Milano Conte de Misoccho et de Belcastro Regio et
Ducale Armorum etc. ex parte altera per li futuri
sposalicii et matrimonio infra loro da contraherse
in Domino sono questi videlicet. In primis la
prefata Illustre Madamma Marchesa et Marchese,
Contessa et Conte per se loro heredi et successori
prometeno a lo dicto Signor Messer Johan Jacobo
Conte etc. agere et curare che la dicta Excellente
Madama Betarice contraherà matrimonio et sponsaglie
con lo dicto Sig. Conte de Misoccho et …etc. Item
prometeno … per contemplazione et causa de dicto
matrimonio dare traddere … in dote de la dicta
Madama Betrice ducati dece milia de Carlini
d’argento dece per ducato computari de la Moneta de
questo Regno in questa manera vide licet ducati
cinque mili aut supra per tucto lo mese de Septembre
primo venente de lo anno sexste indictionis, et li
altri ducati cinque milia ad complemento prometeno
li dicti ect. Infra anni duy incomenzando da lo
primo dì del dicto mese de Septembre del dicto anno
sexteindictionis etc. et però li dicti Marchesa,
Marchese e Conte obligano a lo prefato Conte de
Misoccho per lo pagamento de la dicta dote in lo
modo e tempi descripti se et tuti li loro beni etc.
etc. (N. B. si omette il rimanente di questo
lunghissimo contratto, per amore di brevità).
Neapoli 21
Aprilis quinta Indictione 1487.
Neapoli
21 Aprilis uuinta Indictione 1487.
Antonella de Aquino, el Marchese de
Peschara, il Conte de Montederis, el conte de
Misoccho et de Belcastro manu propria subscripti.
Nella stessa serata,
anche il duca di Calabria Alfonso II volle premiare
Gian Giacomo per i suoi meriti che, in effetti,
avevano salvato il regno da una pericolosissima
insidia quale era stata la seconda rivolta dei
baroni ed, in merito a ciò, “lo Ill.mo Duca di
Calabria l’ha costituito Governatore de le gente
d’arme e datoli lo suo Stendardo et li fa fare un
paro de le belle barde se vidono grande tempo cum
uno Archo triunphale”.
Il privilegio col
quale Alfonso lo investiva del grado di comandante
generale dell’esercito napoletano e del suo
stendardo è il seguente:
Alphonsus de Aragonia Dux Calabriae
Serenissimi Domini Ferdinandi Dei gratia Regis
Siciliae, Hierusalem etc. Primogenitus et Vicarius
generalis.
Spectabili, Magnifico et strenuo
Militi Jo. Jacobo Trivultio de Mediolano Comiti
Bellicastri, Armorum etc. Regiam paternam gratiam et
bonam voluntatem.
Exigit virtus, ac fides tua que te clarum, atque
illustrem fecisti, ut ego ipse patre meo gratissimo
Principe sic imperante, ea quae in Patrem, ac me
ipsum fortissime contulisti, praeclaro aliquo
testimonio prosequar, prosequi autem nullo, aut
magis accomodato testimonio, aut beneficio melius
collocato possum, quam ut militaribus te insignibus
decorem id quod rei ipsius militaris peritia, et
belliae artes quibus abunde preditus es deposcunt.
Nos igitur in meritorum tuorum testimonium, et rerum
a te gestarum ornamentum, te ipsum Joannem Jacobum
Trivultium vexillo nostro donamus, donatumque
insignimus.
Quod
quidem vexillum in rebus ipsis gerendis, atque in
castris deferre habeas eorum more qui exercitum
ducunt, ac rebus bellicis praesunt. Qui etiam
Gubernatorem te aequitum ac militum nostrorum,
gentiumque nostrarum armigerarum statuimus, et
declaramus eo auspicio ut felix faustumque sit
futurum Patri Nostro, Nobis, liberisque nostris, et
tibi ipsi.
Tu
igitur qui ante hac pro statu Patris, ac nostro tam
strenue depugnasti, perge et virtutem illam tuam
post hacetiam sequere, que et tibi gloriae futura
est, et Republicae nostrae commodis, atque
ornamento. In fidem autem, atque testimonium decreti
huius nostri, Privilegium hoc fieri iussimus,
sigillo nostro munitum.
Datum in Castello Capuanae Neapoli
primo Mai MCCCCLXXXVII.
Sig.m
Alphonsus – Mihi Joanni Pontano
Durante la sua dimora a Napoli, non sappiamo se il
Trivulzio risedette o visitò la contea di Belcastro,
né conosciamo il nome dell’eventuale suo
governatore.
Ma
da fonti indirette, possiamo affermare che la vita
socioeconomica del paese ebbe un certo
miglioramento, evidenziato dall’innalzamento
dell’indice demografico. Ciò, oltre al miglioramento
della tecnica, fu dovuto anche al ripopolamento
delle nostre contrade dei soldati e profughi
albanesi, verificatosi al tempo di Alfonso I,
durante la prima congiura dei baroni. L’apporto di
nuovi braccianti incrementò l’agricoltura e di
conseguenza anche la crescita demografica con il
ripopolamento di Andali e e Marcedusa.
Infatti, dal
Liber
Focorum del regno delle due Sicilie, fatto
compilare da Alfonso I, la popolazione di Belcastro
ebbe un rilevamento di 477 fuochi. Gustavo Valente,
tenendo conto che il coefficiente adoperato nelle
relazioni vescovili di Belcastro risulta di 5.2
persone per ogni fuoco, desume una popolazione
complessiva di 2.480 abitanti.
Inoltre, la nota del Regesto riportata da
Jole Mazzoleni, nella quale si dice che nella contea
di Belcastro vi erano due porti per il trasporto di
merci e cereali
è un altro indicatore che l’economia del paese era
in netta ripresa. .
Nel frattempo,
l’ambizioso re di Francia
Carlo VIII
che non aveva
ma smesso di avanzare le sue pretese sul regno di
Napoli quale erede della casa angioina, preparava
l’invasione del regno napoletano. Allacciò così
trattative con i maggiori stati italiani affinché
gli assicurassero il libero passaggio. Il re di
Napoli Ferdinando I, vedendo l’imminente pericolo si
apprestò anch’egli a sostenere l’urto delle truppe
francesi allestendo due armate al comando dei figli
Alfonso II e Federico, mentre Gian Giacomo Trivulzio
fu nominato governatore di tutte le genti d’arme
stanziate in Abruzzo.
Ma mentre fervevano i preparativi dell’esercito
napoletano, il 25 gennaio 1494, Ferdinando I morì e
salì al trono Alfonso II che accelerò i preparativi
di guerra contro Carlo VIII. Armata una flotta,
sotto il comando di Federico, occupò Rapallo con
l’intento di contrastare in mare le truppe francesi.
Ma, al largo di Porto Venere, la flotta napoletana
ebbe la peggio e Federico, non essendo più in grado
di contrastare le navi francesi, riparò a Napoli.
Nel frattempo, il grosso dell’esercito napoletano,
per sbarrare il passo sui confini settentrionale del
regno, si era diretto verso la Romagna, sotto il
comando di
Ferrandino, figlio di Alfonso II,
coadiuvato da Gian Giacomo Trivulzio,
Nicola Orsini
conte di Pitigliano, e Pietro d’Avalos marchese di
Pescara. Carlo VIII, ai primi di settembre 1494,
mosse con il suo poderoso esercito alla volta
dell’Italia senza trovare ostacoli sui valichi
alpini della Savoia. Il 9 settembre, il re di
Francia giunse ad Asti dove fu accolto festosamente
da
Ludovico il Moro
che aveva rotto l’alleanza con
Alfonso II. Il re francese, per evitare lo scontro
con le truppe aragonesi dirette in Abruzzo,
attraversò la Romagna e la Toscana e da qui giunse a
Roma il 31 dicembre 1489, dove per circa un mese
preparò l’attacco al regno di Napoli. Il re Alfonso
II, vista la calata trionfale di Carlo VIII e per
evitare una sollevazione dei feudatari napoletani,
il 25 gennaio 1495, abdicò in favore di suo figlio
Ferdinando II e si recò in esilio a Messina, dove
morì nel dicembre dello stesso anno. Ma già gli
squadroni francesi erano entrati nella Campania,
dove i feudatari, memori del malgoverno di
Ferdinando I e Alfonso II d’Aragona, incominciarono
subito a parteggiare per i francesi. Il re
Ferdinando II, vedendo il favore che incontrava
l’esercito francese, si ritirò nella munita Capua,
affidando il comando militare a Gian Giacomo
Trivulzio e sperando che almeno i cittadini di
Napoli opponessero resistenza alle forze francesi.
Ma ormai le truppe francesi controllavano tutto il
territorio compreso fra le vicinanze di Capua e
Napoli. A questo punto, Ferdinando II, vista vana
ogni possibilità di ribaltare la situazione,
incaricò il fidato Trivulzio ad intavolare
trattative con Carlo VIII. Il re francese rifiutò
ogni offerta di pace; anzi, conoscendo il valore del
Trivulzio, gli chiese con allettanti offerte di
passare nell’esercito francese. Ma Gian Giacomo,
ringraziando il re francese per l’onore dimostrato,
rispose che egli doveva servire il suo legittimo re
Ferdinando II. Frattanto, anche i cittadini di Capua
si rivoltarono contro il re aragonese che si rifugiò
a Napoli dove anche qui incominciarono a scoppiare
tumulti. Ferdinando II, resosi conto che ormai aveva
perso il suo regno, fece allestire due galee e andò
in esilio in Sicilia. Il Trivulzio si offrì di
accompagnarlo, ma Ferdinando II, reputando utile
l’offerta di Carlo VIII, lo consigliò di accettare
l’offerta fattagli pochi giorni prima dal re
francese. Partito Ferdinando II, il Trivulzio andò
nel campo francese ed accettò l’offerta di Carlo
VIII il quale lo nominò suo consigliere e
ciambellano e gli confermò tutti i suoi beni,
compresa la contea di Belcastro. Il 22 febbraio
1495, Carlo VIII entrava trionfalmente a Napoli. Ma
la maggior parte degli stati italiani, temendo la
forte preponderanza francese sulla penisola, si
affrettarono, nei primi giorni di aprile dello
stesso anno, a concludere una lega contro Carlo VIII.
Il re francese, constatato che gli stati italiani
gli si mostravano ostili, per non vedersi chiuso il
suo ritorno in Francia e lasciati alcuni presidi
nelle maggiori città del regno di Napoli, il 20
maggio, decise di intraprendere la via del ritorno
in Francia. Gian Giacomo Trivulzio, al seguito di
Carlo VIII, dimostrò subito il suo valore diventando
maresciallo di tutte le armate del re francese (29
settembre 1499) e meritandosi l’appellativo di
Magno. Morì in Francia il 5 dicembre 1518.
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7 febbraio 2013
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