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di Raffaele Piccolo

UNA CONTESSINA DI BELCASTRO …. FAMOSA IN TUTTO IL MONDO

 

La donna amata da Giovanni Boccaccio, nonché sua ispiratrice, fu Fiammetta d’Aquino. Ovviamente tale nome non fu quello vero ma di “schermo”.

Il giorno del sabato santo del 1324, nella chiesa di s. Lorenzo maggiore di Napoli, lo scrittore toscano incontrò per la prima volta “colei che sola sarebbe stata donna della sua mente”.

Fiammetta  - che nel Filocolo[1] il Boccaccio fa intendere di chiamarsi Maria -  nacque da un d’Aquino e da una gentildonna francese[2] la quale, durante un banchetto a corte, accese il cuore del re Roberto d’Angiò e, non sapendo resistere ai desideri del sovrano, concepì con lui, appunto Fiammetta, che così confessa: ”onde che violato il ventre, o da questo inganno o dal proprio marito quello medesimo giorno seme prendesse, io fui nel debito tempo frutto della matura pregnanza”[3]. In sostanza, la nobildonna francese, lo stesso giorno che era stata del re fu anche sollecitata dal marito, per cui Fiammetta, pur essendo il frutto di un adultero amplesso, fu allevata come figlia dal d’Aquino. Morta la madre, essa fu affidata “ancora piccioletta” ad alcune monache sue congiunte. All’età di 15 anni (1336) sposò “uno dei più nobili giovani della terra là dove nacque”[4] e quando il Boccaccio allacciò con lei la relazione amorosa, durata oltre due anni, essa era sposata “da più anni”.

Come detto all’inizio, Fiammetta fu l’ispiratrice del grande scrittore[5] il quale si guardò bene dal fornire indicazioni identificative sia della gentildonna francese che ebbe l’incontro amoroso con il re, sia del vero nome di Fiammetta e sia di quello del padre putativo o di altri da far sospettare, intendere o dire il nome della sua amata. La qualcosa generò, fra gli studiosi di Boccaccio, un certo mistero e fascino che è perdurato fino agli inizi del 1800. Sappiamo di certo che Fiammetta, “bellissima figliuola”, ebbe per padre (vero o putativo) un d’Aquino, giacchè essa stessa dice che un discendente della famiglia romana dei Frangipane o degli Annibaldi, lasciata Roma dopo il saccheggio dei Vandali (455), “di Giovenale lo oppido antico (Aquino) si sottomise, e, quello signoreggiando, a sé ed a’ suoi discendenti, che a lei furono primi, diede cognome”[6]. Continuando a raccontare la sua vita, così prosegue a proposito della sua paternità: “di padre incerto figliuola, due ne tenni per padre”[7] e cioè re Roberto e il d’Aquino.

Queste semplici e scarne indicazioni molto incomplete  - ma certamente volute ad arte dall’Autore -  suscitarono, come si è detto, molta curiosità fra storici, genealogisti e letterati i quali si arrovellarono per circa cinque secoli sulla vera identità di Fiammetta.

Per identificarla, quindi, gli studiosi si soffermarono sui suoi genitori che avrebbero dovuto essere  - come essa stessa riferisce -  un d’Aquino sposato ad una francese o quanto meno ad una dama di discendenza francese e che ebbero una figlia di nome Maria.

La cosa, però, non si presentava facile perché diversi appartenenti ai d’Aquino si sposarono con donne di origini francesi; per cui la loro identificazione non si presentava agevole.

Il primo a cimentarsi fu lo storico e genealogista Scipione Ammirato[8], sul finire del Cinquecento, il quale indicò i genitori della giovane in Tommaso d’Acerra, figlio di Adenolfo IV d’Aquino[9], e Sibilia di Sabran, figlia di Ermengardo, conte di Ariano, venuto dalla Francia con Carlo I d’Angiò[10].

Questa identificazione, seppure non pienamente certa, perdurò fino alla metà del 1800 tanto da essere condivisa, nel 1860, dallo storico napoletano Matteo Camera[11].

Completamente contro ogni indicazione boccaccesca andò, invece, il genealogista dei d’Aquino per antonomasia Francesco Scandone.

Nella continuazione dell’opera di Pompeo Litta[12], Scandone vi collaborò con 41 tavole genealogiche, riportando i vari rami del casato d’Aquino.

Egli, forse per non aver letto attentamente le allusioni biografiche di Fiammetta contenute nell’Ameto, affermò che fu la madre e non il padre ad appartenere alla famiglia di san Tommaso[13] ed indicò due probabili madri: una sarebbe stata Margherita d’Aquino, figlia dell’Adenolfo IV d’Acerra, del quale si è accennato prima; l’altra, un’altra Margherita, cioè la figlia di Cristoforo II conte di Ascoli, anche se su quest’ultima ebbe alcune perplessità[14].

Ma le due identificazioni di Scandone sono completamente infondate: il Boccaccio, per bocca di Fiammetta, scrive che la madre proveniva da una famiglia francese, mentre il padre (vero o putativo) dai d’Aquino[15].

Nel 1908 lo storico Giuseppe De Blasiis[16], trascurando del tutto le identificazioni fornite da Scandone, riprese l’ «indagine» da dove l’aveva lasciata l’Ammirato e dimostrò che  - all’epoca del banchetto reale, durante il quale il re si era invaghito della nobildonna francese -  questa (cioè Sibilia de Sabran) era tutt’altro che giovane[17] e, quindi, i misteriosi genitori di Fiammetta erano da rintracciare in un’altra coppia. Il De Blasiis stesso indica come padre di Fiammetta Adenolfo III d’Aquino di Castiglione Cosentino[18] che fu, prima, valletto e scudiero e, poi, familiare di Roberto d’Angiò all’epoca in cui quest’ultimo era duca di Calabria[19] e al quale il d’Aquino fu sempre carissimo sin dal tempo in cui Adenolfo si dimostrò valido comandante di una compagnia di balestrieri nel Marchesato crotonese, durante la guerra del Vespro. Infatti, nel 1306, Roberto gli diede la baronia di Castiglione Cosentino; nel 1312 lo creò suo familiare e l’anno dopo lo nominò giustiziere di Val di Crati e Terra Giordana[20]; nello stesso anno fu nominato anche regio vicario della città di Ferrara. Questo Adenolfo, nel 1304, aveva sposato Stefania di Montefalcione che  - afferma il De Blasiis -  “sicuramente era di nazione francese”, poiché un suo fratello nel 1314 si dichiarava vivente iure Francorum. Ma, l’affermazione del De Blasiis risultò infondata perché Adenolfo III premorì alla moglie[21], mentre Fiammetta ci dice che fu la madre a premorire al marito, il quale “ancora piccioletta” l’affidò alle suore del convento benedettino di S. Arcangelo a Baiano[22] “acciocchè quelle di costume e d’arte, inviolata servandola, ornassero la sua giovinezza”[23].

Come si può notare, l’identificazione di Fiammetta non era cosa facile e chiara, anche perché, al tempo di re Roberto  - come si è detto -  le donne oriunde francesi maritate ai d’Aquino furono diverse e, quindi, facilmente si poteva cadere nell’intreccio della confusione anche perché le fonti in proposito sono abbastanza lacunose.

Ma, alla fine del 1800, Guglielmo Volpi[24] in una nota di pagina, con molto intuito, fornì un’identificazione completamente diversa da quelle seguite fino allora.

Si è detto che il Boccaccio fa intuire che il vero nome di Fiammetta sia stato Maria, per cui tutti gli studiosi che se ne occuparono avevano indirizzato le loro ricerche verso una Maria d’Aquino, figlia o oriunda di madre francese; ma ciò  - come si è visto -  non approdò a nulla.

Il Volpi, infatti, accorgendosi che in un passo della lettera  - con la quale Boccaccio aveva inviato a Fiammetta l’operetta Filostrato -  il nome della donna appariva designato come “di grazia pieno”[25], intuì che lo scrittore, riferendosi ad una etimologia allora divulgatissima, volesse intendere il nome Giovanna. Lo studioso, però, non sviluppò ulteriormente la sua intuizione; anzi, nell’edizione successiva della sua opera[26], eliminò del tutto la nota di pagina.

La cosa fu ripresa invece, nel 1912, da Aldo Francesco Manassera[27], studioso delle opere di Boccaccio. Egli, tenendo conto dell’intuizione del Volpi, avanzò l’ipotesi di un doppio nome di Fiammetta, dal momento che donne con doppio nome apparivano già dal Duecento, sia per evitare omonimie con consanguinee precedenti sia perché si incominciava, nell’uso familiare, ad adoperare un nome diverso da quello di battesimo.

Di conseguenza, arguiva il Manassera, poiché Fiammetta è indicata dal Boccaccio sia con l’allusione al nome di Maria e sia a quello di Giovanna, è verosimile che il personaggio abbia avuto appunto un doppio nome.

Di fronte a tale possibilità, poiché le ricerche su una Maria d’Aquino concordanti con le date e gli accadimenti particolari cui faceva riferimento il Boccaccio si erano dimostrati inconsistenti, il Manassera si concentrò sulle Giovanne d’Aquino che, “per fortuna, son poche assai” e la sua arguzia si concentrò sulla figlia di Tommaso II, conte di Belcastro.

Succeduto al padre Tommaso I nel 1304, divenne uno dei più validi collaboratori di Roberto d’Angiò con il quale, ancora giovane, aveva combattuto nella guerra del Vespro in Calabria, sotto il comando dello zio Adenolfo nel 1314. Nel 1310 aveva fatto parte del corteo che andò ad incontrare Roberto d’Angiò, divenuto re e proveniente dalla Provenza; nel 1318 fu nominato vicario generale del principato d’Acaia[28] e due anni dopo divenne familiare e ciambellano del re: quest’ultima carica gli consentiva di abitare nella regia con tutta la famiglia. Nello stesso anno, il d’Aquino successe allo zio Adenolfo nel comando della compagnia di balestrieri[29] che operava nel Marchesato durante la guerra del Vespro, manifestando spiccate doti di comandante fino al 1322; per il suo valore fu nominato, nel 1331, consigliere personale del re che gli confermò ufficialmente la contea di Belcastro. Nel 1326 accompagnò Carlo, figlio del re, a Firenze e l’anno dopo seguì Giovanni, principe d’Acaia e fratello del re, a Roma, combattendo contro le truppe di Ludovico il Bavero. Il 2 dicembre dello stesso anno fu inviato nel Principato citra e ultra con il compito di estirpare il banditismo con successo. Nel 1332 fu nominato giustiziere del Principato citra con pieni poteri, reprimendo aspramente il brigantaggio che aveva nuovamente preso piede.

Il 16 maggio 1339 era già defunto.

Tommaso II ebbe due mogli, ambedue nate da famiglie oriunde francesi.

La prima fu Caterina, figlia di Lodovico del Mons (italianizzato in de Montibus), che fu uno dei più importanti ufficiali del Regno sotto Carlo I e Carlo II d’Angiò.

La seconda moglie di Tommaso II d’Aquino fu Ilaria, figlia di Americo de Sus, regio consigliere di Carlo I d’Angiò e signore di Trivento, Boiano e Montefusco.

Il d’Aquino ebbe due maschi e due femmine: Adenolfo, premorto al padre e Cristoforo conte di Ascoli; Flora, monacatasi nel convento di santa Chiara di Napoli e Giovanna, andata in sposa a Ruggero Sanseverino conte di Mileto.

Ora, tutte le allusioni del Boccaccio e gli scarni riferimenti storici riportati nelle sue opere conducono proprio alla figlia di Tommaso II, Giovanna.

Il primo particolare riferito da Fiammetta è il vincolo di parentela molto stretto con la famiglia di san Tommaso[30]: il bisnonno paterno (Adenolfo) e la bisnonna materna (Adelasia) di Giovanna, figlia di Tommaso II, furono fratello e sorella del Santo, del quale un’altra sorella (Teodora) era stata bisnonna di Ruggero Sanseverino.

Un altro particolare è rappresentato dal fatto che la madre di Fiammetta proveniva dalla “togata Gallia”: Caterina de Mons fu figlia  - come si è detto -  di uno dei più influenti cavalieri francesi venuti al seguito di Carlo I d’Angiò. Un altro elemento a favore di Giovanna è la narrazione di un finto sogno di Fiammetta raccontato al marito, nel quale sono accennate alcune immagini violente e sanguinose riguardanti un suo fratello: in effetti il fratello maggiore di Giovanna, Adenolfo, morì di morte violenta, forse ucciso. Fiammetta  – come si è visto precedentemente – dice che, “ancor piccioletta”, il padre l’affidò a “vestali vergini a lui di sangue congiunte: la sorella di Giovanna, suor Flora, fu in effetti monaca. Nel suo racconto, la bella amante del Boccaccio riferisce che dopo la morte della madre, avvenuta nel 1322-23, suo padre l’affidò al convento perché “disposto a seguire” la moglie, il che non significa che egli volesse seguirla nella tomba, ma che si sentisse in pericolo di morte, dal momento che la sua attività fu quella di uomo d’armi: il 13 settembre 1326, Tommaso II d’Aquino, mentre si trovava a Firenze  - dove aveva accompagnato il duca di Calabria Carlo, figlio de re -  eseguì alcune disposizioni testamentarie dove è detto chiaramente che Tommaso II “suum diebus proximis legittime condidit testamentum et ultra illud certos codicillos adiecit”[31]. Riguardo le sue nozze, Fiammetta dice di essersi congiunta con “uno dei più nobili giovani … di fortune grazioso … e chiaro di sangue”[32]: Ruggero Sanseverino apparteneva ad una delle più antiche, nobili e potenti famiglie del Regno.

Tutti questi particolari e la loro coincidenza con la figlia di Tommaso II d’Aquino, citati dal Manassera lo indussero ad identificare la misteriosa Fiammetta proprio con Giovanna d’Aquino, figlia del conte di Belcastro.

Le nozze avvennero intorno al 1330, prima che Ruggero Sanseverino fosse insignito del titolo di conte di Mileto, come è riferito in un documento angioino riportato dal Manassera: “Priusquam insigniretur .. tituli comitatibus” [33].

Da questo matrimonio nacquero: il primogenito Enrico che ereditò per via femminile, cioè dalla madre Giovanna-Fiammetta, la contea di Belcastro alla morte del cugino Tommasello III (1376); Ilaria andata in sposa, nel 1345, a Filippo di Sangineto, conte di Altomonte; Giovanni, morto prematuramente prima del 16 gennaio 1349, ed infine, Margherita sposatasi con Ludovico de Sabran, conte di Ariano.

Giovanna-Fiammetta, alla morte del fratello Cristoforo, subentrò nel tutorato del nipote Tomasello III il 5 dicembre 1342.

Tre anni più tardi, ancora molto giovane, avendo da poco superata la trentina, la donna tanto amata e celebrata da Giovanni Boccaccio moriva il 6 aprile 1345.

Fu sepolta nella cappella di s. Tommaso nella chiesa di s. Domenico Maggiore di Napoli con i seguente epitaffio: “HIC IACET CORPUS GENEROSE ET DEO DEVOTE DOMINE DOMINE IOHANNE DE AQUINO COMITISSE MILETI ET TERRENOVE QUE OBIIT ANNO DOMINI MCCCXLV DIE APRILIS XIII INDICTIONIS CUIUS ANIMA REQUIESCAT IN PACE. AMEN”.

 

 

[1] G. BOCCACCIO, Filocolo, in: Tutte le opere, a c. di V. Branca  Filocolo, Brescia 1969, p. 3: “lei (Fiammetta) nomò del nome di colei che in sé contenne la redenzione del misero perdimento”, vale a dire Maria madre di Gesù.

[2] A. DELLA TORRE, nella sua opera La giovinezza di Giovanni Boccaccio (1313 – 1341). Proposta di una nuova cronologia, Città di Castello 1905, p. 185, traendo spunto da un passo del Ninfale fiesolano, deduce la nascita di Fiammetta tra il finire del 1313 e l’inizio del 1314.

[3] G. BOCCACCIO, Ninfale d’Ameto, Milano 1997,  p. 222.

[4] Ibdem, pp. 223-4.

[5] Le dame ispiratrici dei tre più grandi scrittori della nostra letteratura furono tre: Beatrice per Dante Alighieri, Laura per Francesco Petrarca e Fiammetta per Giovanni Boccaccio.

[6]  G. BOCCACCIO, Ninfale …, cit.,  p. 221.

[7] G. Ibdem, p. 223.

[8] S. AMMIRATO, Delle Famiglie Nobili napoletane, Firenze 1580, I, pp. 145-146.

[9] Questo Adenolfo IV  fu il 3° conte di Acerra e regio consigliere di Carlo I d’Angiò; ma fu condannato al rogo per  l’accusa di sodomia, nel novembre del 1293.

[10] Ermengardo era anche conte di Laudune d’Aube de Roquemartin, in Provenza.

[11] M. CAMERA, Annali delle Due Sicilie. Dell’origine e fondazione della Monarchia, II, Napoli 1860, p. 470.

[12] F. SCANDONE, D’Aquino di Capua, in: P. LITTA, Famiglie celebri italiane, serie II, Napoli 1902 – 1923.

[13] Ibdem, tavola XV: “Questi (il Boccaccio) fa dal lato materno discendere l’amata da una grande famiglia, che aveva dato un gran santo alla chiesa”.

[14] Ibdem, tavola XVIII: “Non pare che la identificazione di Margherita (contessa di Ascoli) con la madre di Fiammetta, e di questa con Maria de Marzano sia possibile”.

[15] G. BOCCACCIO, Ninfale …, cit., p. 221: “Egli  - Mida, ossia re Roberto -  e i’ suoi predecessori venuti dalla Gallia togata, molto onorando costoro  - il casato d’Aquino -  una nobile giovine venuta da quelle parti … per isposa si congiunse al padre mio”.

[16] G. DE BLASIIS, Racconti di storia napoletana, Napoli 1908, pp. 168-171.

[17] Sibilia andò sposa nel 1292: cfr. F. SCANDONE, D’Aquino di Capua, cit., tavola XV.

[18] Era figlio di Adenolfo II che fu barone di Belcastro, prima di ricevere dal re la baronia di Castiglione ed altre importanti cariche.

[19] I futuri re angioini e aragonesi, prima di cingere la corona reale, avevano il titolo di duca di Calabria.

[20] La Terra Giordana comprendeva il Marchesato e la parte orientale del territorio catanzarese e, quindi, anche Belcastro.

[21] Nell’agosto del 1334 Adenolfo era già defunto, mentre la moglie nel 1335 viveva ancora.

[22] Cfr. A. DELLA TORRE, La giovinezza …, cit., pp. 185-186.

[23] G. BOCCACCIO, Ninfale …, cit., p. 223.

[24] G. VOLPI, Il Trecento, Milano [1898], p. 264, nota 93.

[25] Nella lettera citata dal Volpi è così scritto: “ …E similmente le mie voci …s’udirono sempre poi chiamare il vostro nome di grazia pieno …”: Ibdem.

[26] G. VOLPI, Il Trecento,  cit.

[27] F. A. MANASSERA, Studi boccacceschi, in: «Zeitschrift für romanische Philologie», Berlin 1912, p. 36 e ss.

[28] Signoria feudale formatasi nel Peloponneso (1205-1432), costituita dai cavalieri della IV crociata e ritornata ai bizantini nel 1432.

[29] Era composta da 150 armati.

[30] Per la famiglia di san Tommaso vedi la genealogia dei d’Aquino in questo Sito.

[31] F. A. MANASSERA, Studi…, cit.

[32] G. BOCCACCIO, Ninfale …, cit., p. 223.

[33] F. A. MANASSERA, Studi…, cit.

 

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