UNA CONTESSINA DI BELCASTRO …. FAMOSA IN TUTTO IL MONDO
La donna amata da Giovanni Boccaccio, nonché sua
ispiratrice, fu Fiammetta d’Aquino. Ovviamente tale nome non fu quello
vero ma di “schermo”.
Il giorno del sabato santo del 1324, nella chiesa
di s. Lorenzo maggiore di Napoli, lo scrittore toscano incontrò per la prima
volta “colei che sola sarebbe stata donna della sua mente”.
Fiammetta - che nel
Filocolo
il Boccaccio fa intendere di chiamarsi Maria - nacque da un d’Aquino e da
una gentildonna francese
la quale, durante un banchetto a corte, accese il cuore del re Roberto d’Angiò
e, non sapendo resistere ai desideri del sovrano, concepì con lui, appunto
Fiammetta, che così confessa: ”onde che violato il ventre, o da questo inganno o
dal proprio marito quello medesimo giorno seme prendesse, io fui nel debito
tempo frutto della matura pregnanza”.
In sostanza, la nobildonna francese, lo stesso giorno che era stata del re fu
anche sollecitata dal marito, per cui Fiammetta, pur essendo il frutto di un
adultero amplesso, fu allevata come figlia dal d’Aquino. Morta la madre, essa fu
affidata “ancora piccioletta” ad alcune monache sue congiunte. All’età di 15
anni (1336) sposò “uno dei più nobili giovani della terra là dove nacque”
e quando il Boccaccio allacciò con lei la relazione amorosa, durata oltre due
anni, essa era sposata “da più anni”.
Come detto all’inizio, Fiammetta fu l’ispiratrice
del grande scrittore
il quale si guardò bene dal fornire indicazioni identificative sia della
gentildonna francese che ebbe l’incontro amoroso con il re, sia del vero nome di
Fiammetta e sia di quello del padre putativo o di altri da far sospettare,
intendere o dire il nome della sua amata. La qualcosa generò, fra gli studiosi
di Boccaccio, un certo mistero e fascino che è perdurato fino agli inizi del
1800. Sappiamo di certo che Fiammetta, “bellissima figliuola”, ebbe per padre
(vero o putativo) un d’Aquino, giacchè essa stessa dice che un discendente della
famiglia romana dei Frangipane o degli Annibaldi, lasciata Roma dopo il
saccheggio dei Vandali (455), “di Giovenale lo oppido antico (Aquino) si
sottomise, e, quello signoreggiando, a sé ed a’ suoi discendenti, che a lei
furono primi, diede cognome”.
Continuando a raccontare la sua vita, così prosegue a proposito della sua
paternità: “di padre incerto figliuola, due ne tenni per padre”
e cioè re Roberto e il d’Aquino.
Queste semplici e scarne indicazioni molto
incomplete - ma certamente volute ad arte dall’Autore - suscitarono,
come si è detto, molta curiosità fra storici, genealogisti e letterati i quali
si arrovellarono per circa cinque secoli sulla vera identità di Fiammetta.
Per identificarla, quindi, gli studiosi si
soffermarono sui suoi genitori che avrebbero dovuto essere - come essa
stessa riferisce - un d’Aquino sposato ad una francese o quanto meno ad
una dama di discendenza francese e che ebbero una figlia di nome Maria.
La cosa, però, non si presentava facile perché
diversi appartenenti ai d’Aquino si sposarono con donne di origini francesi; per
cui la loro identificazione non si presentava agevole.
Il primo a cimentarsi fu lo storico e genealogista
Scipione Ammirato,
sul finire del Cinquecento, il quale indicò i genitori della giovane in Tommaso
d’Acerra, figlio di Adenolfo IV d’Aquino,
e Sibilia di Sabran, figlia di Ermengardo, conte di Ariano, venuto dalla Francia
con Carlo I d’Angiò.
Questa identificazione, seppure non pienamente
certa, perdurò fino alla metà del 1800 tanto da essere condivisa, nel 1860,
dallo storico napoletano Matteo Camera.
Completamente contro ogni indicazione boccaccesca
andò, invece, il genealogista dei d’Aquino per antonomasia Francesco Scandone.
Nella continuazione dell’opera di Pompeo Litta,
Scandone vi collaborò con 41 tavole genealogiche, riportando i vari rami del
casato d’Aquino.
Egli, forse per non aver letto attentamente le
allusioni biografiche di Fiammetta contenute nell’Ameto, affermò che fu
la madre e non il padre ad appartenere alla famiglia di san Tommaso
ed indicò due probabili madri: una sarebbe stata Margherita d’Aquino, figlia
dell’Adenolfo IV d’Acerra, del quale si è accennato prima; l’altra, un’altra
Margherita, cioè la figlia di Cristoforo II conte di Ascoli, anche se su
quest’ultima ebbe alcune perplessità.
Ma le due identificazioni di Scandone sono
completamente infondate: il Boccaccio, per bocca di Fiammetta, scrive che la
madre proveniva da una famiglia francese, mentre il padre (vero o putativo) dai
d’Aquino.
Nel 1908 lo storico Giuseppe De Blasiis,
trascurando del tutto le identificazioni fornite da Scandone, riprese l’
«indagine» da dove l’aveva lasciata l’Ammirato e dimostrò che - all’epoca
del banchetto reale, durante il quale il re si era invaghito della nobildonna
francese - questa (cioè Sibilia de Sabran) era tutt’altro che giovane
e, quindi, i misteriosi genitori di Fiammetta erano da rintracciare in un’altra
coppia. Il De Blasiis stesso indica come padre di Fiammetta Adenolfo III
d’Aquino di Castiglione Cosentino
che fu, prima, valletto e scudiero e, poi, familiare di Roberto d’Angiò
all’epoca in cui quest’ultimo era duca di Calabria
e al quale il d’Aquino fu sempre carissimo sin dal tempo in cui Adenolfo si
dimostrò valido comandante di una compagnia di balestrieri nel Marchesato
crotonese, durante la guerra del Vespro. Infatti, nel 1306, Roberto gli diede la
baronia di Castiglione Cosentino; nel 1312 lo creò suo familiare e l’anno dopo
lo nominò giustiziere di Val di Crati e Terra Giordana;
nello stesso anno fu nominato anche regio vicario della città di Ferrara. Questo
Adenolfo, nel 1304, aveva sposato Stefania di Montefalcione che - afferma
il De Blasiis - “sicuramente era di nazione francese”, poiché un suo
fratello nel 1314 si dichiarava vivente iure Francorum. Ma,
l’affermazione del De Blasiis risultò infondata perché Adenolfo III premorì alla
moglie,
mentre Fiammetta ci dice che fu la madre a premorire al marito, il quale “ancora
piccioletta” l’affidò alle suore del convento benedettino di S. Arcangelo a
Baiano
“acciocchè quelle di costume e d’arte, inviolata servandola, ornassero la sua
giovinezza”.
Come si può notare, l’identificazione di Fiammetta
non era cosa facile e chiara, anche perché, al tempo di re Roberto - come
si è detto - le donne oriunde francesi maritate ai d’Aquino furono diverse
e, quindi, facilmente si poteva cadere nell’intreccio della confusione anche
perché le fonti in proposito sono abbastanza lacunose.
Ma, alla fine del 1800, Guglielmo Volpi
in una nota di pagina, con molto intuito, fornì un’identificazione completamente
diversa da quelle seguite fino allora.
Si è detto che il Boccaccio fa intuire che il vero
nome di Fiammetta sia stato Maria, per cui tutti gli studiosi che se ne
occuparono avevano indirizzato le loro ricerche verso una Maria d’Aquino, figlia
o oriunda di madre francese; ma ciò - come si è visto - non approdò
a nulla.
Il Volpi, infatti, accorgendosi che in un passo
della lettera - con la quale Boccaccio aveva inviato a Fiammetta
l’operetta
Filostrato - il nome della donna appariva designato come “di grazia
pieno”,
intuì che lo scrittore, riferendosi ad una etimologia allora divulgatissima,
volesse intendere il nome Giovanna. Lo studioso, però, non sviluppò
ulteriormente la sua intuizione; anzi, nell’edizione successiva della sua opera,
eliminò del tutto la nota di pagina.
La cosa fu ripresa invece, nel 1912, da Aldo
Francesco Manassera,
studioso delle opere di Boccaccio. Egli, tenendo conto dell’intuizione del
Volpi, avanzò l’ipotesi di un doppio nome di Fiammetta, dal momento che donne
con doppio nome apparivano già dal Duecento, sia per evitare omonimie con
consanguinee precedenti sia perché si incominciava, nell’uso familiare, ad
adoperare un nome diverso da quello di battesimo.
Di conseguenza, arguiva il Manassera, poiché
Fiammetta è indicata dal Boccaccio sia con l’allusione al nome di Maria e sia a
quello di Giovanna, è verosimile che il personaggio abbia avuto appunto un
doppio nome.
Di fronte a tale possibilità, poiché le ricerche
su una Maria d’Aquino concordanti con le date e gli accadimenti particolari cui
faceva riferimento il Boccaccio si erano dimostrati inconsistenti, il Manassera
si concentrò sulle Giovanne d’Aquino che, “per fortuna, son poche assai” e la
sua arguzia si concentrò sulla figlia di Tommaso II, conte di Belcastro.
Succeduto al padre Tommaso I nel 1304, divenne uno
dei più validi collaboratori di Roberto d’Angiò con il quale, ancora giovane,
aveva combattuto nella guerra del Vespro in Calabria, sotto il comando dello zio
Adenolfo nel 1314. Nel 1310 aveva fatto parte del corteo che andò ad incontrare
Roberto d’Angiò, divenuto re e proveniente dalla Provenza; nel 1318 fu nominato
vicario generale del principato d’Acaia
e due anni dopo divenne familiare e ciambellano del re: quest’ultima carica gli
consentiva di abitare nella regia con tutta la famiglia. Nello stesso anno, il
d’Aquino successe allo zio Adenolfo nel comando della compagnia di balestrieri
che operava nel Marchesato durante la guerra del Vespro, manifestando spiccate
doti di comandante fino al 1322; per il suo valore fu nominato, nel 1331,
consigliere personale del re che gli confermò ufficialmente la contea di
Belcastro. Nel 1326 accompagnò Carlo, figlio del re, a Firenze e l’anno dopo
seguì Giovanni, principe d’Acaia e fratello del re, a Roma, combattendo contro
le truppe di Ludovico il Bavero. Il 2 dicembre dello stesso anno fu inviato nel
Principato citra e ultra con il compito di estirpare il banditismo con successo.
Nel 1332 fu nominato giustiziere del Principato citra con pieni poteri,
reprimendo aspramente il brigantaggio che aveva nuovamente preso piede.
Il 16 maggio 1339 era già defunto.
Tommaso II ebbe due mogli, ambedue nate da
famiglie oriunde francesi.
La prima fu Caterina, figlia di Lodovico del Mons
(italianizzato in de Montibus), che fu uno dei più importanti ufficiali del
Regno sotto Carlo I e Carlo II d’Angiò.
La seconda moglie di Tommaso II d’Aquino fu
Ilaria, figlia di Americo de Sus, regio consigliere di Carlo I d’Angiò e signore
di Trivento, Boiano e Montefusco.
Il d’Aquino ebbe due maschi e due femmine:
Adenolfo, premorto al padre e Cristoforo conte di Ascoli; Flora, monacatasi nel
convento di santa Chiara di Napoli e Giovanna, andata in sposa a Ruggero
Sanseverino conte di Mileto.
Ora, tutte le allusioni del Boccaccio e gli scarni
riferimenti storici riportati nelle sue opere conducono proprio alla figlia di
Tommaso II, Giovanna.
Il primo particolare riferito da Fiammetta è il
vincolo di parentela molto stretto con la famiglia di san Tommaso:
il bisnonno paterno (Adenolfo) e la bisnonna materna (Adelasia) di Giovanna,
figlia di Tommaso II, furono fratello e sorella del Santo, del quale un’altra
sorella (Teodora) era stata bisnonna di Ruggero Sanseverino.
Un altro particolare è rappresentato dal fatto che
la madre di Fiammetta proveniva dalla “togata Gallia”: Caterina de Mons fu
figlia - come si è detto - di uno dei più influenti cavalieri
francesi venuti al seguito di Carlo I d’Angiò. Un altro elemento a favore di
Giovanna è la narrazione di un finto sogno di Fiammetta raccontato al marito,
nel quale sono accennate alcune immagini violente e sanguinose riguardanti un
suo fratello: in effetti il fratello maggiore di Giovanna, Adenolfo, morì di
morte violenta, forse ucciso. Fiammetta – come si è visto precedentemente
– dice che, “ancor piccioletta”, il padre l’affidò a “vestali vergini a lui di
sangue congiunte: la sorella di Giovanna, suor Flora, fu in effetti monaca. Nel
suo racconto, la bella amante del Boccaccio riferisce che dopo la morte della
madre, avvenuta nel 1322-23, suo padre l’affidò al convento perché “disposto a
seguire” la moglie, il che non significa che egli volesse seguirla nella tomba,
ma che si sentisse in pericolo di morte, dal momento che la sua attività fu
quella di uomo d’armi: il 13 settembre 1326, Tommaso II d’Aquino, mentre si
trovava a Firenze - dove aveva accompagnato il duca di Calabria Carlo,
figlio de re - eseguì alcune disposizioni testamentarie dove è detto
chiaramente che Tommaso II “suum diebus proximis legittime condidit testamentum
et ultra illud certos codicillos adiecit”.
Riguardo le sue nozze, Fiammetta dice di essersi congiunta con “uno dei più
nobili giovani … di fortune grazioso … e chiaro di sangue”:
Ruggero Sanseverino apparteneva ad una delle più antiche, nobili e potenti
famiglie del Regno.
Tutti questi particolari e la loro coincidenza con
la figlia di Tommaso II d’Aquino, citati dal Manassera lo indussero ad
identificare la misteriosa Fiammetta proprio con Giovanna d’Aquino, figlia del
conte di Belcastro.
Le nozze avvennero intorno al 1330, prima che
Ruggero Sanseverino fosse insignito del titolo di conte di Mileto, come è
riferito in un documento angioino riportato dal Manassera: “Priusquam
insigniretur .. tituli comitatibus”.
Da questo matrimonio nacquero: il primogenito
Enrico che ereditò per via femminile, cioè dalla madre Giovanna-Fiammetta, la
contea di Belcastro alla morte del cugino Tommasello III (1376); Ilaria andata
in sposa, nel 1345, a Filippo di Sangineto, conte di Altomonte; Giovanni, morto
prematuramente prima del 16 gennaio 1349, ed infine, Margherita sposatasi con
Ludovico de Sabran, conte di Ariano.
Giovanna-Fiammetta, alla morte del fratello
Cristoforo, subentrò nel tutorato del nipote Tomasello III il 5 dicembre 1342.
Tre anni più tardi, ancora molto giovane, avendo
da poco superata la trentina, la donna tanto amata e celebrata da Giovanni
Boccaccio moriva il 6 aprile 1345.
Fu sepolta nella cappella di s. Tommaso nella
chiesa di s. Domenico Maggiore di Napoli con i seguente epitaffio: “HIC IACET
CORPUS GENEROSE ET DEO DEVOTE DOMINE DOMINE IOHANNE DE AQUINO COMITISSE MILETI
ET TERRENOVE QUE OBIIT ANNO DOMINI MCCCXLV DIE APRILIS XIII INDICTIONIS CUIUS
ANIMA REQUIESCAT IN PACE. AMEN”.
Ibdem, tavola XVIII: “Non pare che la identificazione di
Margherita (contessa di Ascoli) con la madre di Fiammetta, e di questa
con Maria de Marzano sia possibile”.
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