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di Raffaele Piccolo

Storia dell’edilizia belcastrese

 

 Belcastro è uno dei più antichi centri abitati della Calabria. Le prime testimonianze risalgono all’età del bronzo e, poi, fu certamente un piccolo centro enotrico[2], magnogreco e, ancora, romano.

Dai pochi resti di un castello bizantino, è verosimile che il primo nucleo abitativo si stabilì in località Timpe (Rupe), sopra la quale sono ancora visibili pochi ruderi superstiti di una costruzione militare bizantina. Si sa che le popolazioni enotriche, dopo le massicce colonizzazioni greche delle nostre coste e dell’immediato entroterra, si stabilirono sui massicci interni e, a Belcastro, l’acrocoro delle Timpe, con i suoi 562 metri di altezza e le sue pareti scoscese, costituiva una vera difesa naturale ai possibili attacchi dei coloni greci, sempre più avidi di terre.

Assestatasi, poi, la supremazia delle colonie greche sul territorio costiero del Marchesato, gli abitanti di Belcastro, dalla cima del colle Timpe  - dove, secondo le rivelazioni del Barrio, fu costruito un tempio dedicato a Castore e Polluce -,  si trasferirono alle sue pendici, costruendo le loro capanne nell’attuale rione di Castellaci.

Dopo la caduta dell’Impero romano (476) Belcastro, come molti altri centri calabresi, patì duramente la guerra greco-gotica (535-554), che tanti lutti e rovine causò nella nostra regione[3]. Il paese risorse sotto l’impero bizantino, tant’è che, intorno all’anno 886, fu elevato a sede vescovile.

E’ verosimile che, con l’innalzamento a seggio vescovile, il vecchio agglomerato urbano del rione Castel- laci si ingrandì con gli attuali rioni di Fornara e Fra-le-mura che, in effetti, oltre a costituire un unicum architettonico, sono la parte più antica del paese.

Belcastro, al pari di molti centri del catan-zarese e del Marchesato di Crotone, patì l’occu-pazione araba (907-936), ma fu il primo centro che si sollevò contro gli occupanti, dando l’avvio alla grande rivolta che cacciò definitivamente gli arabi dalla Regione (936). Di conseguenza è verosimile pensare che, dovendo fare da guida

alla grande sommossa, la sua

popolazione sia stata necessariamente di una certa consistenza numerica.

Il primo agglomerato urbano del paese sul colle Timpe, con in alto il castello bizantino-normanno (A) ed in basso i rioni di Fralemura, Castellaci e Fornara (B).

Con l’avvento dei normanni le cronache riferiscono che il duca di Calabria Roberto d’Altavilla, detto il Guiscardo, per controllare meglio la ribelle Santa Severina (1075), fece innalzare tre castelli con i quali intendeva bloccare gli eventuali movimenti del nipote e ribelle Abelardo. Un castello fu affidato a Ugo Fallucca, un altro a Rinaldo di Simula ed il terzo a Erberto (fratello di Ugo) e a Tostino il Bardo (fratello di Rinaldo)[4].

L’identificazione delle località non è specificata, se non di una, Rocca Fallucca che le fonti e gli storici indicano nelle immediate vicinanze di Rocca de Cathantiaco (Catanzaro)[5] e che dal cognome di questa famiglia (Faloch, italianizzato in Fallucca) prese il nome: le altre due località sono rimaste sconosciute; però, dato che la loro funzione era quella di fungere da blocco intorno a Santaseverina, esse dovevano trovarsi necessariamente nei dintorni della città assediata.

In quell’epoca i luoghi con difese murarie più vicini a Santaseverina erano Capo Tacina[6] (nei pressi di Roccabernarda) e Belcastro e, quindi, solo queste due località avrebbero potuto contrastare le eventuali azioni di Abelardo: il castello di Capo Tacina, oltre a controllare agevolmente le mosse del ribelle Abelardo, sbarrava il passo verso nord, in direzione della Puglia, i cui feudatari erano ancora insofferenti verso gli Altavilla; Belcastro, situata fra la città ribelle e Rocca Fallucca, oltre ad essere punto di collegamento con quest’ultima città dove risiedeva Ugo Fallucca, impediva eventuali movimenti verso sud, dal momento che la strada passava nella sottostante vallata[7]. Conseguentemente, i due castelli non menzionati dovevano essere necessariamente, l'uno, Capo Tacina-Roccabernarda, adesso completamente distrutto ma più volte citato dalle cronache fino al 1444[8] e, l'altro, Belcastro, ancora esistente.

Da una citazione dello scrittore cropanese G. Fiore, vissuto nel secolo XVI, si viene a sapere che Belcastro, intorno al 1200, fu uno dei primi luoghi calabresi nei quali si verificarono massicci insediamenti giudaici. Poiché gli ebrei non si insediavano nei centri abitati veri e propri ma in luoghi appartati, a Belcastro andarono a popolare l’attuale rione Grecìa che allora si trovava fuori le mura dell’abitato[9].

Ma uno dei periodi che segnarono fortemente l’urbanistica del paese fu la prima metà del 1300. Il conte Tommaso II d’Aquino, succeduto alla conduzione paterna del feudo il 19 giugno 1293, fu il primo a dare una grande svolta alla sua struttura urbanistica del paese, rifondandolo quasi completamente.

Per prima cosa fece cambiare il nome del paese, che fino allora era stato Geneocastrum  - cioè Vecchia città -,  in Bellocastrum, Bella città (1331). Poi, circondando di mura la poderosa torre normanna edificata da Roberto il Guiscardo, costruì un vero e proprio castello e fece edificare anche la nuova chiesa episcopale sul sito attuale, dove prima esisteva il vecchio convento bizantino dedicato a S. Michele Arcangelo.

Il nuovo castello, a forma di triangolo, era caratterizzato da torri angolari, con al centro il poderoso mastio a tre piani a forma quadrata; la parte sottostante la torre centrale era costituita dall’ampio cortile e dagli alloggiamenti militari, addossati intorno alle mura, delle quali tuttora permane uno spezzone di parete. Il castello aveva due entrate: a quella principale, sul lato est, si accedeva dall’attuale Salita Castello, mentre a quella secondaria, posta sul lato ovest, si accedeva dalla vecchia Via Grecìa.

Con la costruzione del castello e della nuova chiesa vescovile, la vita civile ed ecclesiastica della comunità  - che fino allora si era svolta all’interno dei tre vecchi rioni sopraccitati -  si spostò quindi alla parte opposta, facendo sorgere attorno ai due nuovi ed importanti edifici altri rioni.

Infatti, mentre la vecchia urbanistica del paese, come si è visto prima, era arroccata ai piedi del colle Timpe, parte della popolazione si trasferì nel rione Grecìa, andando ad infoltire la comunità ebrea e parte andò a popolare l’attuale rione Castello, mentre altri ancora si stabilirono nel rione S. Nicola dove, nella vicina contrada Santo, si trovava già l’omonimo convento dedicato, appunto, a S. Nicola di Miria.

Tutto ciò, ovviamente, mutò radicalmente la fisionomia urbana del paese che, ormai, si presentava con due agglomerati, nettamente divisi tra di loro: da un lato la parte antica del paese con i rioni di Castellaci, Fra le mura e Fornara, sormontati dal vecchio castello bizantino; dall’altro i nuovi rioni, dominati dal castello d'Aquino e dalla nuova chiesa vescovile. L’attuale parte centrale del paese, da Via Làmia alla piazzetta Margherita, divideva i due borghi ed era adibita a coltivazione.

Sotto la dinastia aragonese (1437-1500), divenuto feudatario del paese nel 1441 (e di molte altre località) il marchese Antonio Centelles, appartenente ad una vecchia e nobile famiglia sicula-catalana, nel riorganizzare i suoi possedimenti, ampliò il castello d'Aquino (settore H), restaurò il vecchio castello bizantino, che prese il nome di Castellaccio[10], e cinse con mura i nuovi rioni sorti all’epoca di Tommaso II d'Aquino, vale a dire il rione Grecìa e parte della via S. Nicola (la parte terminale di quest’ultima era salvaguardata dall’altura scoscesa del luogo).

La nuova cinta muraria andava dall’attuale rione Torre Maestra (Turra Mastra) fino al rione Le Murate (Muratu); da qui saliva fino all'attuale Via Làmia dove si congiungeva con le mura di Via San Nicola.

L’elevata e scoscesa posizione del paese, l’esistenza dei due castelli[11] e la costruzione della grande cinta muraria, fecero assumere a Belcastro le caratteristiche di una vera e propria città-fortezza, quasi inespugnabile, che invogliò le famiglie che vivevano isolatamente nelle campagne a trasferirsi al riparo dell’abitato; il Centelles, inoltre, vi fece affluire dai suoi numerosi feudi altre famiglie che andarono ad ingrossare la popolazione belcastrese. Ma il dinamismo governativo del Centelles fu interrotto, nella seconda metà del 1400, dalle sue ribellioni verso la corona la quale, nel giro di pochi anni, gli tolse definitivamente tutti i suoi possedimenti.

In quel periodo si verificò anche una folta immigrazione di popolazioni albanesi le quali, non volendo sottostare all’invasione turca, si trasferirono nel vicino Regno di Napoli. Ciò fece sì che il rione Grecìa, che fino allora aveva occupato la parte iniziale dell’attuale strada, si espanse sempre più fino ad arrivare nella sua attuale lunghezza.

L’evento sismico del 1645, oltre alle numerose vittime (61), provocò il dissesto edilizio del paese, oltre a causare il totale crollo del castello che lo rese inabitabile.

Nell’opera di ricostruzione, il duca Francesco II Sersale, reputando inutile la riedificazione del castello, decise di costruire la sua nuova dimora nella parte pianeggiante del paese, cioè nel luogo dove tuttora sorge Palazzo Poerio[12]; in ciò fu indotto anche dalla nuova moda architettonica secentesca di costruire le dimore signorili su terreni pianeggianti, anziché scoscesi e scomodi castelli, la cui funzione di rocca difensiva era divenuta ormai inutile.

   Con i ruderi del castello fu costruito il nuovo palazzo ducale ed una tradizione orale tramanda che il portale, la merlatura ed il balcone rinascimentale che dà sulla piazza Poerio sono manufatti del distrutto castello.

Lo spostamento del palazzo feudale e la natura pianeggiante del suolo fecero sì che i due agglomerati urbani del paese -fino allora divisi dalla pur poco estesa campagna- si congiungessero con nuovi caseggiati, dando così corpo ad un’unica struttura urbanistica e, conseguentemente, il fulcro dell’attività socio-economica del paese divenne, appunto, piazza Poerio, attorno alla quale incominciarono a sorgere altre costruzioni e poco più sotto il rione Borgo con le sue grandi case appartenenti alle famiglie Ciacci, Gimigliano, Fiorino, ecc.

La nascita del nuovo rione fu importante in quanto fece estendere l’edilizia del paese, non più arroccata nei vecchi ed angusti rioni, verso il basso dell'abitato, cioè su terreni meno impervi dove, nel corso del secolo XIX, si costituì il rione Fontanella. Dal secondo dopoguerra, con la crescita demografica, sorsero altri quartieri che costituiscono, si può dire, la parte nuova del paese dagli anni Cinquanta ad oggi (Via Nuova, Annunziata, Caria, ecc.).

BELCASTRO DAL 1800 AL 1950

 


[2] Molti vocaboli dialettali sono di chiara derivazione osca.

[3] È da questo periodo, fino a dopo l’occupazione araba, che molte città della Calabria furono completamente distrutte e definitivamente scomparse, delle quali ancora oggi non si conosce l’esatta ubicazione, sebbene si abbiano concrete testimonianze storiche quali monete e citazioni di scrittori dell’epoca.

[4] MALATERRA, III, V., p. 59.

[5] Ormai, quasi tutti gli storici, propendono per Tiriolo che è appunto prospiciente a Catanzaro.

[6] Il kastellion di Capo Tacina delle fonti bizantine si trovava nei pressi di Roccabernarda e la sua esistenza durò fino al 1444, quando Alfonso il Magnanimo, sceso in Calabria per domare la prima rivolta di Antonio Centelles, lo fece radere al suolo. I luoghi abitati dell’intera zona erano, partendo da nord verso sud, Cerenzia, Umbriatico, Santaseverina, Crotone, Isola C.R che non aveva difese murarie, Belcastro, Squillace, Catanzaro e Tiriolo. 

[7] Il tragitto della strada ionica lambiva la costa da Taranto a Crotone; da qui, a causa della malaria, si inoltrava verso l’interno in direzione di Scandale, procedeva verso la vallata del fiume Tacina fino alla località Sofome da dove entrava nel vallone del fiume Sant’Antonio. Poi, fiancheggiando il fiume Umbro appena sotto Belcastro, raggiungeva le località Carvani (da ‘carovane’, ovvero, tragitto delle carovane) e Furca (Forca), dove la strada si biforcava in due direttrici. Una, appena sopracosta, continuava verso Squillace-Gerace-Locri-Reggio; l’altra diramazione, sempre dalla località Furca, saliva verso Cropani e, facendo riferimento alle vecchie “trazzere”, si inoltrava nel massiccio silano fino a raggiungere Rogliano e Cosenza, dove si congiungeva anch’essa con la Via Popilia.

[8] Il castello di Capo Tacina doveva essere un’antica fortificazione bizantina: molto probabilmente era una struttura difensiva del vecchio limes di Santaseverina, all'epoca di Giustiniano.

[9] I rioni, o ghetti, abitati da ebrei venivano indicati con i nomi di Giudecca o Grecìa.

[10] Da qui il nome del sottostante rione.

[11] Secondo una tradizione locale, le due cinte murarie erano collegate fra loro da un passaggio segreto.

[12] Si vuole sottolineare  - nella speranza di una giusta correzione -  che questo edificio è erroneamente detto palazzo Cirillo o palazzo Poerio: la sua denominazione esatta dovrebbe essere palazzo Sersale, dato che fu appunto Francesco II Sersale a costruirlo.

28 luglio 2003

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