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di Raffaele Piccolo
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Storia
dell’edilizia belcastrese
Belcastro è uno dei più antichi centri abitati
della Calabria. Le prime testimonianze risalgono all’età del bronzo
e, poi, fu certamente un piccolo centro enotrico,
magnogreco e, ancora, romano.
Dai pochi resti di un castello bizantino, è
verosimile che il primo nucleo abitativo si stabilì in località Timpe
(Rupe), sopra la quale sono ancora visibili pochi ruderi superstiti di
una costruzione militare bizantina. Si sa che le popolazioni enotriche, dopo le
massicce colonizzazioni greche delle nostre coste e dell’immediato entroterra,
si stabilirono sui massicci interni e, a Belcastro, l’acrocoro delle Timpe,
con i suoi 562 metri di altezza e le sue pareti scoscese, costituiva una vera
difesa naturale ai possibili attacchi dei coloni greci, sempre più avidi di
terre.
Assestatasi, poi, la supremazia delle colonie greche sul
territorio costiero del Marchesato, gli abitanti di Belcastro, dalla cima del
colle Timpe - dove, secondo le rivelazioni del Barrio, fu costruito
un tempio dedicato a Castore e Polluce -, si trasferirono alle sue
pendici, costruendo le loro capanne nell’attuale rione di
Castellaci.
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Dopo la caduta dell’Impero romano (476) Belcastro,
come molti altri centri calabresi, patì duramente la guerra greco-gotica
(535-554), che tanti lutti e rovine causò nella nostra regione.
Il paese risorse sotto l’impero bizantino, tant’è che, intorno all’anno 886, fu
elevato a sede vescovile.
E’ verosimile che, con l’innalzamento a seggio
vescovile, il vecchio agglomerato urbano del rione Castel- laci si
ingrandì con gli attuali rioni di Fornara e
Fra-le-mura che, in effetti, oltre a costituire un unicum
architettonico, sono la parte più antica del paese.
Belcastro, al pari di molti centri del catan-zarese e del Marchesato di Crotone,
patì l’occu-pazione araba (907-936), ma fu il primo centro che si sollevò contro
gli occupanti, dando l’avvio alla grande rivolta che cacciò definitivamente gli
arabi dalla Regione (936). Di conseguenza è verosimile pensare che, dovendo fare
da guida
alla grande sommossa, la sua
popolazione sia stata necessariamente di una certa
consistenza numerica.
Il
primo agglomerato urbano del paese sul colle Timpe, con in alto il castello
bizantino-normanno (A)
ed in basso i rioni di Fralemura, Castellaci e Fornara (B). |
Con
l’avvento dei normanni le cronache riferiscono che il duca di Calabria Roberto
d’Altavilla, detto il Guiscardo, per controllare meglio la ribelle Santa
Severina (1075), fece innalzare tre castelli con i quali intendeva bloccare gli
eventuali movimenti del nipote e ribelle Abelardo. Un castello fu affidato a Ugo
Fallucca, un altro a Rinaldo di Simula ed il terzo a Erberto (fratello di Ugo) e
a Tostino il Bardo (fratello di Rinaldo).
L’identificazione delle località non è
specificata, se non di una, Rocca Fallucca che le fonti e gli storici indicano
nelle immediate vicinanze di Rocca de Cathantiaco (Catanzaro)
e che dal cognome di questa famiglia (Faloch, italianizzato in Fallucca) prese
il nome: le altre due località sono rimaste sconosciute; però, dato che la loro
funzione era quella di fungere da blocco intorno a Santaseverina, esse dovevano
trovarsi necessariamente nei dintorni della città assediata.
In quell’epoca i luoghi con difese murarie più
vicini a Santaseverina erano Capo Tacina
(nei pressi di Roccabernarda) e Belcastro e, quindi, solo queste due località
avrebbero potuto contrastare le eventuali azioni di Abelardo: il castello di
Capo Tacina, oltre a controllare agevolmente le mosse del ribelle Abelardo,
sbarrava il passo verso nord, in direzione della Puglia, i cui feudatari erano
ancora insofferenti verso gli Altavilla; Belcastro, situata fra la città ribelle
e Rocca Fallucca, oltre ad essere punto di collegamento con quest’ultima città
dove risiedeva Ugo Fallucca, impediva eventuali movimenti verso sud, dal momento
che la strada passava nella sottostante vallata.
Conseguentemente, i due castelli non menzionati dovevano essere necessariamente,
l'uno, Capo Tacina-Roccabernarda, adesso completamente distrutto ma più volte
citato dalle cronache fino al 1444
e, l'altro, Belcastro, ancora esistente.
Da una citazione dello scrittore cropanese G.
Fiore, vissuto nel secolo XVI, si viene a sapere che Belcastro, intorno al 1200,
fu uno dei primi luoghi calabresi nei quali si verificarono massicci
insediamenti giudaici. Poiché gli ebrei non si insediavano nei centri abitati
veri e propri ma in luoghi appartati, a Belcastro andarono a popolare l’attuale
rione Grecìa che allora si trovava fuori le mura dell’abitato.
Ma uno dei periodi che segnarono fortemente
l’urbanistica del paese fu la prima metà del 1300. Il conte Tommaso II d’Aquino,
succeduto alla conduzione paterna del feudo il 19 giugno 1293, fu il primo a
dare una grande svolta alla sua struttura urbanistica del paese, rifondandolo
quasi completamente.
Per prima cosa fece cambiare il nome del paese,
che fino allora era stato Geneocastrum - cioè Vecchia
città
-, in Bellocastrum, Bella città (1331). Poi, circondando
di mura la poderosa torre normanna edificata da Roberto il Guiscardo, costruì un
vero e proprio castello e fece edificare anche la nuova chiesa episcopale sul
sito attuale, dove prima esisteva il vecchio convento bizantino dedicato a S.
Michele Arcangelo.
Il nuovo castello, a forma di triangolo, era
caratterizzato da torri angolari, con al centro il poderoso mastio a tre piani a
forma quadrata; la parte sottostante la torre centrale era costituita dall’ampio
cortile e dagli alloggiamenti militari, addossati intorno alle mura, delle quali
tuttora permane uno spezzone di parete. Il castello aveva due entrate: a quella
principale, sul lato est, si accedeva dall’attuale Salita Castello, mentre a
quella secondaria, posta sul lato ovest, si accedeva dalla vecchia Via Grecìa.
Con la costruzione del castello e della nuova
chiesa vescovile, la vita civile ed ecclesiastica della comunità - che
fino allora si era svolta all’interno dei tre vecchi rioni sopraccitati -
si spostò quindi alla parte opposta, facendo sorgere attorno ai due nuovi ed
importanti edifici altri rioni.
Infatti, mentre la vecchia urbanistica del paese,
come si è visto prima, era arroccata ai piedi del colle Timpe, parte
della popolazione si trasferì nel rione Grecìa, andando ad infoltire la
comunità ebrea e parte andò a popolare l’attuale rione Castello,
mentre altri ancora si stabilirono nel rione S. Nicola
dove, nella vicina contrada Santo, si trovava già l’omonimo
convento dedicato, appunto, a S. Nicola di Miria.
Tutto ciò, ovviamente, mutò radicalmente la
fisionomia urbana del paese che, ormai, si presentava con due agglomerati,
nettamente divisi tra di loro: da un lato la parte antica del paese con i rioni
di Castellaci, Fra le mura e Fornara, sormontati dal vecchio castello bizantino;
dall’altro i nuovi rioni, dominati dal castello d'Aquino e dalla nuova chiesa
vescovile. L’attuale parte centrale del paese, da Via Làmia alla piazzetta
Margherita, divideva i due borghi ed era adibita a coltivazione.
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Sotto la dinastia aragonese (1437-1500),
divenuto feudatario del paese nel 1441 (e di molte altre località) il marchese
Antonio Centelles, appartenente ad una vecchia e nobile famiglia
sicula-catalana, nel riorganizzare i suoi possedimenti, ampliò il castello
d'Aquino (settore H), restaurò il vecchio castello bizantino, che prese il nome
di
Castellaccio,
e cinse con mura i nuovi rioni sorti all’epoca di Tommaso II d'Aquino, vale a
dire il rione Grecìa e parte della via S. Nicola (la parte terminale di
quest’ultima era salvaguardata dall’altura scoscesa del luogo).
La nuova cinta muraria andava dall’attuale rione
Torre Maestra (Turra Mastra) fino al rione Le Murate (Muratu); da
qui saliva fino all'attuale Via Làmia dove si congiungeva con le mura di Via San
Nicola.
L’elevata e scoscesa posizione del paese,
l’esistenza dei due castelli
e la costruzione della grande cinta muraria, fecero assumere a Belcastro le
caratteristiche di una vera e propria città-fortezza, quasi inespugnabile, che
invogliò le famiglie che vivevano isolatamente nelle campagne a trasferirsi al
riparo dell’abitato; il Centelles, inoltre, vi fece affluire dai suoi numerosi
feudi altre famiglie che andarono ad ingrossare la popolazione belcastrese. Ma
il dinamismo governativo del Centelles fu interrotto, nella seconda metà del
1400, dalle sue ribellioni verso la corona la quale, nel giro di pochi anni, gli
tolse definitivamente tutti i suoi possedimenti.
In quel periodo si verificò anche una folta
immigrazione di popolazioni albanesi le quali, non volendo sottostare
all’invasione turca, si trasferirono nel vicino Regno di Napoli. Ciò fece sì che
il rione Grecìa, che fino allora aveva occupato la parte iniziale dell’attuale
strada, si espanse sempre più fino ad arrivare nella sua attuale lunghezza.
L’evento
sismico del 1645, oltre alle numerose vittime (61), provocò il dissesto edilizio
del paese, oltre a causare il totale crollo del castello che lo rese
inabitabile.
Nell’opera
di ricostruzione, il duca Francesco II Sersale, reputando inutile la
riedificazione del castello, decise di costruire la sua nuova dimora nella parte
pianeggiante del paese, cioè nel luogo dove tuttora sorge Palazzo Poerio;
in ciò fu indotto anche dalla nuova moda architettonica secentesca di costruire
le dimore signorili su terreni pianeggianti, anziché scoscesi e scomodi
castelli, la cui funzione di rocca difensiva era divenuta ormai inutile.
Con i ruderi del castello fu costruito il nuovo palazzo ducale ed una tradizione
orale tramanda che il portale, la merlatura ed il balcone rinascimentale che dà
sulla piazza Poerio sono manufatti del distrutto castello.
Lo spostamento del palazzo feudale e la natura
pianeggiante del suolo fecero sì che i due agglomerati urbani del paese -fino
allora divisi dalla pur poco estesa campagna- si congiungessero con nuovi
caseggiati, dando così corpo ad un’unica struttura urbanistica e,
conseguentemente, il fulcro dell’attività socio-economica del paese divenne,
appunto, piazza Poerio, attorno alla quale incominciarono a sorgere altre
costruzioni e poco più sotto il rione Borgo con le sue grandi case
appartenenti alle famiglie Ciacci, Gimigliano, Fiorino, ecc. |
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La
nascita del nuovo rione fu importante in quanto fece estendere l’edilizia del
paese, non più arroccata nei vecchi ed angusti rioni, verso il basso
dell'abitato, cioè su terreni meno impervi dove, nel corso del secolo XIX, si
costituì il rione Fontanella. Dal secondo dopoguerra, con la crescita
demografica, sorsero altri quartieri che costituiscono, si può dire, la parte
nuova del paese dagli anni Cinquanta ad oggi (Via Nuova, Annunziata, Caria,
ecc.). |
BELCASTRO DAL 1800 AL 1950 |
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28
luglio 2003 |
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