L’EX CATTEDRALE DI S. MICHELE ARCANGELO
(II Parte)
Tracciata brevemente la storia dell’ex chiesa
cattedrale, cerchiamo di descrivere adesso lo stato architettonico ed interno
della chiesa.
Sebbene la diocesi di Belcastro sia stata una
delle prime ad abbracciare il rito latino agli inizi del secolo XIII,
l’impianto basilicale è rivolto verso Oriente, secondo il rito greco,
e ciò dimostra che all’epoca dell’edificazione della chiesa (1330 c.) le usanze
e i costumi bizantini erano ancora vivi nel paese, come testimoniano -
oltre l’orientamento dell’edificio - anche e le figure degli angeli
profondamente scolpiti nelle vele dei due portali minori che si aprono sul
sagrato della chiesa.
Infatti, il Fiore, vissuto nella seconda metà del 1600, riporta che “audita
missam latinam, accessimus missam graecam”, il che significa che ancora nel
1600, oltre al rito latino, a Belcastro persisteva ancora quello greco.
Ovviamente, l’attuale struttura edilizia della
chiesa non è quella del 1331, per via dei numerosi rifacimenti lungo l’arco dei
secoli.
Una pallida idea del primitivo impianto la
si può dedurre dalla recente scoperta, durante l’ultimo restauro, di
due monofore medievali,
allocate appena sopra il portale cinquecentesco dell’ex sagrestia, che danno
grosso modo l’idea dell’originaria altezza della chiesa, molto più bassa
dell’attuale. Ovviamente, anche la lunghezza dell’edificio non doveva
corrispondere a quella odierna, in quanto sarebbe stata una costruzione
abbastanza sproporzionata nelle misure.
D’altra parte, il rinvenimento nella parete della
navata destra, di alcune
cornici di finestre
di vario stile e di diversa altezza sono il segno tangibile che l’edificio fu
varie volte modificato ed ampliato fino a quello attuale che risale appunto al
Cinque-Seicento.
Architettonicamente la cattedrale è a tre navate,
delle quali quella centrale è grande una
volta e mezzo quelle laterali, mentre il transetto, perfettamente in linea con
le navate, risulta leggermente staccato dalle pareti delle navate e appena più
alto di esse.
La prospettiva della
facciata, a doppio timpano che richiama la struttura interna, risale ai
secoli XVI-XVII e, pur avendo subito successivi rifacimenti, si rifà al
romanico; in essa si aprono
tre portali tufacei risalenti alla stessa epoca, scolpiti da maestranze
locali. Le tre entrate, delle quali quella centrale è di dimensione più grande,
presentano lo stesso apparato architettonico e decorativo, il cui schema si rifà
a quello classico, con i tre archi a tutto sesto sui quali poggiano i rispettivi
timpani spezzati.
I plinti
delle paraste,
che fiancheggiano gli stipiti degli archi, sono scolpiti alla base con motivi
geometrici semplici, mentre nella loro parte intermedia vi sono motivi floreali
undati. Le paraste che si ergono sui plinti sono fortemente scanalate, mentre i
capitelli corinzi risultano anch’essi decisamente intagliati. Nelle vele degli
archi vi sono dei piccoli angeli in cui stile richiama, appunto, quello
bizantino. Una fascia in tufo, che collega i vari plinti, è scolpita con
intrecci di vimini, tralci lavorati, e piccole maschere, alla maniera bizantina.
L’accesso principale della chiesa è mediato da
un’unica scalinata che corre l’ungo tutta la facciata.
Un accesso secondario, di fattura cinque-secentesca, si trova nella navata
destra, proprio sotto il “passetto”
sopraelevato che costituiva il passaggio dalla curia vescovile - che
comprendeva anche il palazzo del vescovo - alla cattedrale. Anche qui,
durante l’ultimo restauro, sono venuti alla luce gli stipiti di un’entrata più
antica, la cui forma è tipicamente medievale.
Alla sinistra della facciata, poco staccato dalla
chiesa, si impone il robusto campanile a
pianta quadrangolare che si erge su tre livelli, di cui quello terminale -
completamente rifatto nel 1952-’53 - è a forma ottagonale, originariamente
cuspidato.
Nella parete esterna della navata destra sono pure
affiorate cornici monofore risalenti a
varie epoche e ad altezze differenti, anche queste testimonianza dei vari
rifacimenti dell’edificio.
Internamente la cattedrale, come si è detto, si
presenta con tre ampie navate i cui spazi divisori, da quello centrale, sono
costituiti da quattro ampie arcate per
lato, anch’esse a tutto sesto, impostate su robusti pilastri rettangolari e
realizzati con cantoni di pietra calcarea di media pezzatura.
Da una relazione del 1758
veniamo a sapere che il soffitto della navata centrale, illuminata da tre
finestre per lato, era coperto a cassettoni.
Essa è delimitata dall’arco trionfale fatto costruire dal vescovo Schipani
(1591-1595)
ed è illuminata da quattro finestre per lato, segno che l’aggiunta della quarta
finestra laterale avvenne durante il restauro effettuato sotto il vescovo Greco
(1791), a seguito del terremoto del 1783. Nell’ultimo restauro (1990), è stato
eliminato il vecchio soffitto, facendo venire alla luce le capriate lignee della
copertura, risalenti anch’esse al 1791.
Nell’abside centrale, a soffitto piatto, si trova
il coro capitolare in legno lavorato,
commissionato ad artigiani locali dal vescovo Gerolamo Ricciulli nel 1627;
essa è delimitata dall’arco di monsignor Schipani. Il sottostante altare
maggiore, eliminato durante l’ultima riforma liturgica,
era dedicato inizialmente a s. Michele Arcangelo, come risulta da una relazione
di monsignor De Napoli, dove è riferito che “in media Ala
est ereptus Altare Maius sub vacabulo Sancti Michaelis Arcangeli”. Perciò,
l’altare maggiore non era dedicato alla Vergine Immacolata - come si
è pensato finora - ma appunto a s. Michele.
Esso misurava undici palmi di lunghezza e quattro e mezzo di altezza ed il
vescovo fece erigere ai suoi lati due colonne cementizie dipinte con grande
cura; inoltre lo adornò con quattro antialtari
damascati di colori diversi e di altri finimenti in oro e seta. Sull’altare
collocò i candelabri indorati che il vescovo definisce eleganti e di grande
bellezza: essi erano cesellati con ventiquattro ramoscelli anch’essi dorati e
con dei fiorellini nella loro parte inferiore. Acquistò anche un piccolo vaso ed
un messale per la celebrazione del pontificale, apparecchiando l’altare a festa
con la dotazione di quattordici nitide tovaglie.
Per i vari rifacimenti della chiesa, anche l’altare subì varie modifiche ed
anche la sua intitolazione fu mutata in quella della Vergine Immacolata,
per lo spostamento di quello dedicato a s. Michele nell’attuale ed omonima
cappella. Al fianco sinistro dell’altare maggiore si trova il “sedile”
del sindaco e degli eletti, anch’esso opera di artigiani belcastresi, collocato
nel 1632 sotto il presulato del vescovo Bartolomeo Gizio.
Sotto il pavimento della navata si trovavano le sepolture degli ecclesiastici e
del ceto nobiliare, come attestano alcune relazioni e le due
lapide marmoree murate ai lati del portale
maggiore, ma fino agli anni Cinquanta collocate sul pavimento.
Le navate laterali, oggi prive di angoli di luci,
un tempo avevano anch’esse le finestre,
ed il primitivo soffitto ligneo è stato sostituito da uno piatto ed in muratura.
Nella navata di destra, subito dopo l’ingresso
secondario, al tempo del vescovo De Napoli vi erano gli altari del ss. Sangue di
Cristo,
dell’Immacolata e di s. Antonio da
Padova. Gli altari, in seguito, mutarono dedica e furono intitolati al Cristo
risorto, la cui statua in ciliegio si trova adesso sotto l’arco maggiore della
chiesa, della Addolorata, mentre sul terzo altare, era collocata una grande tela
raffigurante la Madonna come protettrice
della battaglia di Lepanto,
oggi posta nella parete di fondo del coro.
Nelle pareti
dell'abside,
sempre nel 1990, è venuta alla luce la
griglia architettonica dell’ambiente costituita dai piedritti e dai finti archi
che sostengono il tamburo della volta. Quest’ultima, fino a pochi anni fa, era
affrescata con le figure dei quattro Evangelisti che, forse ritenute poco
artistiche, sono state eliminate ed al loro posto disegnati degli anonimi
medaglioni.
All’interno si trova la cappella del
ss.
Sacramento con il bell’altare marmoreo scolpito ed intarsiato secondo lo
stile barocco napoletano. L’opera fu fatta costruire nel 1774 dal cantore della
cattedrale Giuseppe Fragale, su incarico del vescovo Tommaso Fabiani.
La descrizione di questa cappella, che le
relazioni vescovili indicano rifatta diverse volte, si trova in quella più volte
citata di monsignore De Napoli (1 dicembre 1645) il quale, a seguito del
terremoto del 1638, riferiva che la volta era stata costruita con pietre del
luogo, piccole e lucide e con grande maestria.
La cappella, inoltre, aveva anche un giuspatronato di cui il più antico risulta
quello della famiglia Amone, estintasi prima del 1600. Ad essa seguì la famiglia
D’Orso con un reddito annuo di ducati 30.
In questa navata, come scriveva il vescovo De Napoli, vi erano le sepolture
comuni.
Nella navata sinistra - iniziando anche qui
dal portale d’ingresso - vi erano gli altari di s. Anna,
s. Tommaso (ancora esistente) e s.
Francesco di Assisi.
Ovviamente, la collocazione e i titoli degli
altari non furono sempre quelli indicati nella relazione citata, ma furono
diversi nelle varie epoche, specialmente nella chiesa di Belcastro più volte
restaurata per le frequenti calamità naturali abbattutesi sull’edificio.
La scoperta delle due grandi nicchie ricavate
nelle due navate, durante il restauro del 1990,
sono la testimonianza di quanto affermiamo. Infatti, l’attuale altare di s.
Tommaso nasconde per un bel pò l’affresco della navata di sinistra, raffigurante
s. Nicola, per cui è da presumere che il vecchio altare di s. Tommaso fosse
in altro posto, mentre in quello attuale vi fosse quello dedicato a s. Nicola.
Così pure, il vescovo Giovan Antonio de Paola di Catanzaro (1577- 1591) aveva
innalzato, nel 1583, un suo altare del quale non conosciamo il titolo e, da una
relazione del 1659 del vescovo Carlo Sgombrino,
abbiamo conoscenza che nella cattedrale vi era anche l’altare della Madonna di
Trapani, innalzato presumibilmente dal vescovo messinese Filippo Curio Crinò
(1629-1630) o dal palermitano Francesco de Napoli (1639-1652).
Altri altari di cui si ha memoria in questa navata furono quelli di s. Filomena
e s. Antonio
non più esistenti.
Nell’abside della navata vi è la cappella di
s.
Michele arcangelo, nel cui “sacellum” si trova una bella statua
del santo; vi è collocato anche il
fonte battesimale, ricavato dalla magella del pozzo del castello,
a forma esagonale, di epoca quattrocentesca, sulla quale sono scolpiti la
facciata del castello e alcuni archi.
Vi sono collocate inoltre varie statue del Settecento e dell’Ottocento.
Nella chiesa vi erano più patronati laici, retti
dalle famiglie più in vista del paese. Oltre a quello del ss. Sacramento che,
come detto era il più antico, da una relazione del 1659 del vescovo Carlo
Sgombrino,
veniamo a sapere che vi erano anche quelli del ss. Sangue di Cristo, retto dalla
famiglia Ballatore con annui ducati 20; di s. Paolo con 15 ducati e di s.
Gregorio con 25. I redditi degli ultimi due patronati erano assegnati
rispettivamente alle chiese di s. Sofia e s. Iacopo.
Nel 1695 fu riattivata nella cattedrale anche la
confraternita laica del ss. Rosario che, negli anni precedenti, aveva avuto la
sua sede naturale nel convento di s. Domenico, prima che fosse sciolta.
Nell’aprile 1725 veniva fondata la cappellania di
s. Antonio di Padova sotto il giuspatronato della famiglia Gargano.
Questo
altare, probabilmente, fu eretto dal vescovo Giovan Antonio di Paola (1577 -
1591), in quanto il papa Gregorio XIII concesse nel 1583 un privilegio ad un
suo altare, come si rileva da un’iscrizione, adesso murata sulla parete
antistante la cappella del ss. Sacramento, ma che prima del restauro degli
anni Cinquanta si trovava murata nella parte finale della navata opposta.
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