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di Raffaele Piccolo

L’EX CATTEDRALE DI S. MICHELE ARCANGELO

(II Parte)

 

Tracciata brevemente la storia dell’ex chiesa cattedrale, cerchiamo di descrivere adesso lo stato architettonico ed interno della chiesa.

Sebbene la diocesi di Belcastro sia stata una delle prime ad abbracciare il rito latino agli inizi del secolo XIII[1], l’impianto basilicale è rivolto verso Oriente, secondo il rito greco[2], e ciò dimostra che all’epoca dell’edificazione della chiesa (1330 c.) le usanze e i costumi bizantini erano ancora vivi nel paese, come testimoniano  - oltre l’orientamento dell’edificio -  anche e le figure degli angeli profondamente scolpiti nelle vele dei due portali minori che si aprono sul sagrato della chiesa[3]. Infatti, il Fiore, vissuto nella seconda metà del 1600, riporta che “audita missam latinam, accessimus missam graecam”, il che significa che ancora nel 1600, oltre al rito latino, a Belcastro persisteva ancora quello greco.

Ovviamente, l’attuale struttura edilizia della chiesa non è quella del 1331, per via dei numerosi rifacimenti lungo l’arco dei secoli.

Una pallida idea del primitivo impianto la si può dedurre dalla recente scoperta, durante l’ultimo restauro, di due monofore medievali[4], allocate appena sopra il portale cinquecentesco dell’ex sagrestia, che danno grosso modo l’idea dell’originaria altezza della chiesa, molto più bassa dell’attuale. Ovviamente, anche la lunghezza dell’edificio non doveva corrispondere a quella odierna, in quanto sarebbe stata una costruzione abbastanza sproporzionata nelle misure[5].

D’altra parte, il rinvenimento nella parete della navata destra, di alcune cornici di finestre di vario stile e di diversa altezza sono il segno tangibile che l’edificio fu varie volte modificato ed ampliato fino a quello attuale che risale appunto al Cinque-Seicento.

Architettonicamente la cattedrale è a tre navate, delle quali quella centrale è grande una volta e mezzo quelle laterali, mentre il transetto, perfettamente in linea con le navate, risulta leggermente staccato dalle pareti delle navate e appena più alto di esse.

La prospettiva della facciata, a doppio timpano che richiama la struttura interna, risale ai secoli XVI-XVII e, pur avendo subito successivi rifacimenti, si rifà al romanico; in essa si aprono tre portali tufacei risalenti alla stessa epoca, scolpiti da maestranze locali. Le tre entrate, delle quali quella centrale è di dimensione più grande, presentano lo stesso apparato architettonico e decorativo, il cui schema si rifà a quello classico, con i tre archi a tutto sesto sui quali poggiano i rispettivi timpani spezzati.

I plinti[6] delle paraste[7], che fiancheggiano gli stipiti degli archi, sono scolpiti alla base con motivi geometrici semplici, mentre nella loro parte intermedia vi sono motivi floreali undati. Le paraste che si ergono sui plinti sono fortemente scanalate, mentre i capitelli corinzi risultano anch’essi decisamente intagliati. Nelle vele degli archi vi sono dei piccoli angeli in cui stile richiama, appunto, quello bizantino. Una fascia in tufo, che collega i vari plinti, è scolpita con intrecci di vimini, tralci lavorati, e piccole maschere, alla maniera bizantina.

L’accesso principale della chiesa è mediato da un’unica scalinata che corre l’ungo tutta la facciata[8]. Un accesso secondario, di fattura cinque-secentesca, si trova nella navata destra, proprio sotto il “passetto”[9] sopraelevato che costituiva il passaggio dalla curia vescovile   - che comprendeva anche il palazzo del vescovo  - alla cattedrale. Anche qui, durante l’ultimo restauro, sono venuti alla luce gli stipiti di un’entrata più antica, la cui forma è tipicamente medievale[10].

Alla sinistra della facciata, poco staccato dalla chiesa, si impone il robusto campanile a pianta quadrangolare che si erge su tre livelli, di cui quello terminale  - completamente rifatto nel 1952-’53 -  è a forma ottagonale, originariamente cuspidato[11].

Nella parete esterna della navata destra sono pure affiorate cornici monofore risalenti a varie epoche e ad altezze differenti, anche queste testimonianza dei vari rifacimenti dell’edificio.

Internamente la cattedrale, come si è detto, si presenta con tre ampie navate i cui spazi divisori, da quello centrale, sono costituiti da quattro ampie arcate per lato, anch’esse a tutto sesto, impostate su robusti pilastri rettangolari e realizzati con cantoni di pietra calcarea di media pezzatura.

Da una relazione del 1758[12] veniamo a sapere che il soffitto della navata centrale, illuminata da tre finestre per lato, era coperto a cassettoni[13]. Essa è delimitata dall’arco trionfale fatto costruire dal vescovo Schipani (1591-1595)[14] ed è illuminata da quattro finestre per lato, segno che l’aggiunta della quarta finestra laterale avvenne durante il restauro effettuato sotto il vescovo Greco (1791), a seguito del terremoto del 1783. Nell’ultimo restauro (1990), è stato eliminato il vecchio soffitto, facendo venire alla luce le capriate lignee della copertura, risalenti anch’esse al 1791.

Nell’abside centrale, a soffitto piatto, si trova il coro capitolare in legno lavorato, commissionato ad artigiani locali dal vescovo Gerolamo Ricciulli nel 1627[15]; essa è delimitata dall’arco di monsignor Schipani. Il sottostante altare maggiore, eliminato durante l’ultima riforma liturgica, era dedicato inizialmente a s. Michele Arcangelo, come risulta da una relazione di monsignor De Napoli, dove è riferito che “in media Ala[16] est ereptus Altare Maius sub vacabulo Sancti Michaelis Arcangeli”. Perciò, l’altare maggiore non era dedicato alla Vergine Immacolata   - come si è pensato finora -  ma appunto a s. Michele[17]. Esso misurava undici palmi di lunghezza e quattro e mezzo di altezza ed il vescovo fece erigere ai suoi lati due colonne cementizie dipinte con grande cura; inoltre lo adornò con quattro antialtari[18] damascati di colori diversi e di altri finimenti in oro e seta. Sull’altare collocò i candelabri indorati che il vescovo definisce eleganti e di grande bellezza: essi erano cesellati con ventiquattro ramoscelli anch’essi dorati e con dei fiorellini nella loro parte inferiore. Acquistò anche un piccolo vaso ed un messale per la celebrazione del pontificale, apparecchiando l’altare a festa con la dotazione di quattordici nitide tovaglie[19]. Per i vari rifacimenti della chiesa, anche l’altare subì varie modifiche ed anche la sua intitolazione fu mutata in quella della Vergine Immacolata[20], per lo spostamento di quello dedicato a s. Michele nell’attuale ed omonima cappella. Al fianco sinistro dell’altare maggiore si trova il “sedile” del sindaco e degli eletti, anch’esso opera di artigiani belcastresi, collocato nel 1632 sotto il presulato del vescovo Bartolomeo Gizio[21]. Sotto il pavimento della navata si trovavano le sepolture degli ecclesiastici e del ceto nobiliare, come attestano alcune relazioni e le due lapide marmoree murate ai lati del portale maggiore, ma fino agli anni Cinquanta collocate sul pavimento.

Le navate laterali, oggi prive di angoli di luci, un tempo avevano anch’esse le finestre[22], ed il primitivo soffitto ligneo è stato sostituito da uno piatto ed in muratura[23].

Nella navata di destra, subito dopo l’ingresso secondario, al tempo del vescovo De Napoli vi erano gli altari del ss. Sangue di Cristo[24], dell’Immacolata e di s. Antonio da Padova. Gli altari, in seguito, mutarono dedica e furono intitolati al Cristo risorto, la cui statua in ciliegio si trova adesso sotto l’arco maggiore della chiesa, della Addolorata, mentre sul terzo altare, era collocata una grande tela raffigurante la Madonna come protettrice della battaglia di Lepanto[25], oggi posta nella parete di fondo del coro.

 Nelle pareti dell'abside, sempre nel 1990, è venuta alla luce la griglia architettonica dell’ambiente costituita dai piedritti e dai finti archi che sostengono il tamburo della volta. Quest’ultima, fino a pochi anni fa, era affrescata con le figure dei quattro Evangelisti che, forse ritenute poco artistiche, sono state eliminate ed al loro posto disegnati degli anonimi medaglioni.

All’interno si trova la cappella del ss. Sacramento con il bell’altare marmoreo scolpito ed intarsiato secondo lo stile barocco napoletano. L’opera fu fatta costruire nel 1774 dal cantore della cattedrale Giuseppe Fragale, su incarico del vescovo Tommaso Fabiani[26].

La descrizione di questa cappella, che le relazioni vescovili indicano rifatta diverse volte, si trova in quella più volte citata di monsignore De Napoli (1 dicembre 1645) il quale, a seguito del terremoto del 1638, riferiva che la volta era stata costruita con pietre del luogo, piccole e lucide e con grande maestria[27]. La cappella, inoltre, aveva anche un giuspatronato di cui il più antico risulta quello della famiglia Amone, estintasi prima del 1600. Ad essa seguì la famiglia D’Orso con un reddito annuo di ducati 30[28]. In questa navata, come scriveva il vescovo De Napoli, vi erano le sepolture comuni[29].

Nella navata sinistra  - iniziando anche qui dal portale d’ingresso  - vi erano gli altari di s. Anna, s. Tommaso (ancora esistente) e s. Francesco di Assisi[30].

Ovviamente, la collocazione e i titoli degli altari non furono sempre quelli indicati nella relazione citata, ma furono diversi nelle varie epoche, specialmente nella chiesa di Belcastro più volte restaurata per le frequenti calamità naturali abbattutesi sull’edificio.

La scoperta delle due grandi nicchie ricavate nelle due navate, durante il restauro del 1990[31], sono la testimonianza di quanto affermiamo. Infatti, l’attuale altare di s. Tommaso nasconde per un bel pò l’affresco della navata di sinistra, raffigurante s. Nicola, per cui è da presumere che il vecchio altare di s. Tommaso fosse in altro posto, mentre in quello attuale vi fosse quello dedicato a s. Nicola. Così pure, il vescovo Giovan Antonio de Paola di Catanzaro (1577- 1591) aveva innalzato, nel 1583, un suo altare del quale non conosciamo il titolo e, da una relazione del 1659 del vescovo Carlo Sgombrino[32], abbiamo conoscenza che nella cattedrale vi era anche l’altare della Madonna di Trapani, innalzato presumibilmente dal vescovo messinese Filippo Curio Crinò (1629-1630) o dal palermitano Francesco de Napoli (1639-1652)[33]. Altri altari di cui si ha memoria in questa navata furono quelli di s. Filomena e s. Antonio[34] non più esistenti.

Nell’abside della navata vi è la cappella di s. Michele arcangelo, nel cui “sacellum” si trova una bella statua del santo; vi è collocato anche il fonte battesimale, ricavato dalla magella del pozzo del castello, a forma esagonale, di epoca quattrocentesca, sulla quale sono scolpiti la facciata del castello e alcuni archi[35]. Vi sono collocate inoltre varie statue del Settecento e dell’Ottocento.

Nella chiesa vi erano più patronati laici, retti dalle famiglie più in vista del paese. Oltre a quello del ss. Sacramento che, come detto era il più antico, da una relazione del 1659 del vescovo Carlo Sgombrino[36], veniamo a sapere che vi erano anche quelli del ss. Sangue di Cristo, retto dalla famiglia Ballatore con annui ducati 20; di s. Paolo con 15 ducati e di s. Gregorio con 25. I redditi degli ultimi due patronati erano assegnati rispettivamente alle chiese di s. Sofia e s. Iacopo[37].

Nel 1695 fu riattivata nella cattedrale anche la confraternita laica del ss. Rosario che, negli anni precedenti, aveva avuto la sua sede naturale nel convento di s. Domenico, prima che fosse sciolta.

Nell’aprile 1725 veniva fondata la cappellania di s. Antonio di Padova sotto il giuspatronato della famiglia Gargano.

 


[1] Alcuni ne fissano la data al 1214.

[2] Verso la chiesa di Costantinopoli.

[3] Alcuni atti pubblicati dal Pratesi risalenti al secolo XIII sono redatti in lingua bizantina: cfr. A. PRATESI, Carte latine di antiche abbazie calabresi provenienti dall’Archivio Aldobrandini, Città del Vaticano 1958, doc. 105, pp. 256-257; doc. 144, p. 337 e doc. 165, pp. 380-382.

[4] Certamente del tempo di Tommaso II d'Aquino.

[5] La stessa chiesa arcivescovile di Santa Severina  - come del resto le altre ex diocesi suffraganee -  anche oggi presentano strutture edilizie di dimensione inferiore a quella di Belcastro.

[6] Basi delle paraste.

[7] I pilastri che fiancheggiano gli archi.

[8] La scalinata fu rifatta durante il restauro del 1952-’53. Quella precedente era delimitata, nella sua parte centrale, da una balaustra e permetteva, quindi, l’accesso dalle parti laterali.

[9] Il “passetto” o passaggio sopraelevato era sostenuto ad un arco, tuttora esistente e comunemente chiamato “arco della chiesa”.

[10] La forma della parte di stipite affiorata lascia intravedere un arco acuto.

[11] Bisogna dire che l’opera di rifacimento di questa parte del campanile è stata eseguita in maniera molto maldestra.

[12] ASV, SCC, Relationes ad Limina, Belcastro, a. 1758.

[13] Inizialmente il soffitto lasciava intravedere certamente la trabeazione del tetto, secondo le norme dello stile romanico.

[14] Al centro dell’arco è scolpito il proprio stemma vescovile.

[15] ASV, SCC, Relationes ad Limina, Belcastro, a. 1627.

[16] Navata centrale.

[17] Il suo spostamento nella navata laterale sinistra avvenne, perciò, dopo il 1645.

[18] Pannello decorativo posto nella parte anteriore dell’altare, nel rispetto dei quattro colori liturgici fondamentali.

[19] ASV, SCC, Relationes ad Limina, Belcastro, a. 1645.

[20] L’anno ed il vescovo che compì la trasformazione ci sono sconosciuti.

[21] ASV, SCC, Relationes ad Limina, Belcastro, a. 1632. Sia il coro che il sedile degli eletti ci sono pervenuti quasi integri; un restauro accurato eviterebbe l’insidia dei tarli che, fortunatamente, ancora non sono riusciti ad intaccare.

[22] Oltre alle due monofore medievali della navata sinistra, in quella  di destra ne sono affiorate tre.

[23] Anch’esse un tempo erano costruite a capriata lignea. Una loro ricostruzione renderebbe più suggestivo l’interno dell’edificio.

[24] Durante alcuni recenti lavori di restauro, è venuto alla luce la vecchia rappresentazione di quest’altare che era un affresco murale arcuato, incassato nella parete, raffigurante la Crocifissione. Il lavoro maldestro di persone poco qualificate e soprattutto la scarsa attenzione delle autorità locali e provinciali ha fatto sì che l’opera andasse distrutta completamente, salvandosi soltanto qualche piccolissimo pezzo dell’affresco che lascia intravedere, nel suo sfondo, una croce.

[25] In questo quadro, che simboleggia la vittoria cristiana su quella turca, il nemico musulmano è  effigiato con la figura del demonio, sulla cui testa la Madonna poggia il piede. La tela, risalente ai primi anni del barocco, riveste soltanto un valore storico, ma non artistico.

[26] In basso all’altare vi è la seguente scritta: “sump. ven. cappella sub presulato ill.mi et r.mi d.ni ep.i d. thomae fabiani studio cura laboreque r.mi d.ni d. ioseph fragale cantor ac proc. m. maij ad. mdcclxxiv”. La cappella veniva anche chiamata della ss. Eucarestia.

[27] ASV, SCC, Relationes ad Limina, Belcastro, a. 1645.

[28] Id., a. 1645.

[29] Id., a. 1645. Per sepolture comuni bisogna intendere quelle del ceto medio, poiché da alcuni lavori di scavo effettuati dall’arciprete Stanizzi, negli anni Sessanta, per la costruzione di un magazzino accanto la casa canonica  - adesso distrutta -  furono rinvenute delle fosse comuni dove, probabilmente, venivano sepolti gli appartenenti al ceto meno abbiente.

[30] A. Pesavento, La Cattedrale …, cit., p. 8.

[31] Tali lavori sono stati eseguiti in maniera maldestra ed incompetente, tant’è che uno dei due affreschi è completamente rovinato, dimostrando ancora una volta la noncuranza delle autorità soprattutto locali e provinciali per opere così rare e così preziose per un paese dove le poche opere artistiche e monumentali presenti dovrebbero costituire il bene più prezioso della comunità, proprio perché non ve ne sono molte.

[32] ASV, SCC, Relationes ad Limina, Belcastro, a. 1659

[33] Siamo portati a considerare questi due vescovi perché il culto della Madonna di Trapani, tuttora molto vivo in Sicilia, non è praticato in altre chiese delle nostre zone e non lo fu neanche in passato.

[34] Questo altare, probabilmente, fu eretto dal vescovo Giovan Antonio di Paola (1577 - 1591), in quanto il papa Gregorio XIII concesse nel 1583 un privilegio ad un suo altare, come si rileva da un’iscrizione, adesso murata sulla parete antistante la cappella del ss. Sacramento, ma che prima del restauro degli anni Cinquanta si trovava murata nella parte finale della navata opposta.

[35] Durante il trasporto  - per la verità avvenuto abusivamente negli anni Settanta -  il manufatto che era in un unico blocco, si è spezzato in due parti. Il vecchio fonte battesimale era racchiuso in un baldacchino ligneo e posto vicino l’entrata laterale sinistra.

[36] ASV, SCC, Relationes ad Limina, Belcastro, a. 1659.

[37] Id., a. 1659.

 

19 settembre 2003

 

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