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 di Raffaele Piccolo

UN ANTICO PORTALE SCONOSCIUTO

 

un’idea a prima vista … assurda

Sebbene l’edilizia antica di Belcastro, nella sua maggior parte, sia stata costituita da case di appena due o tre stanze, non mancarono anche grandi e belle dimore, come quelle attuali, dei Pisani, dei Ciacci, dei Gimigliano, dei Moraca, dei Fiorino e così via, ma che un tempo furono le dimore delle famiglie agiate del paese, come i Gironda, i Tacina, i D’Orso, gli Anania, i Diano, i Galati, i Gargano, ecc.

Dimore, un tempo, rallegrate dalle grida giocose dei bambini; dai discorsi accesi o smorzati o interessati degli uomini d’affari; dai chiacchiericci, dai brusii o dalle complicità delle giovani sulle loro amiche frivole o avvedute, dai litigi o dagli amori delle mogli e dei mariti.

Molte di queste abitazioni, dove quotidianamente si svolgeva il “vivere” dei loro proprietari e dove spesso veniva decisa la vita politica e amministrativa del paese, oggi sono rimasti abbandonati.

Per l’inesorabile legge del tempo che modifica tutte le cose, sono divenuti muti; privi dei loro schiamazzi, dei bisbigli, dei bisticci, dei discorsi salottieri: il trascorrere del tempo, le metamorfosi familiari e quelle del vivere quotidiano li hanno condotti inevitabilmente e lentamente alla loro morte. Disabitati da molti anni, sono ormai cadenti; anzi la maggior parte, in alcune loro parti, sono già semplici macerie. Mentre un tempo erano ricche e comode dimore, adesso, costituiscono anche un pericolo per la popolazione.

Ironia della sorte, però, queste costruzioni, potrebbero svolgere una loro utile funzione al paese, come lo furono, per un certo verso nei tempi passati, ai loro antichi proprietari e ritornare, quindi, a rivivere: a sentire nuovamente ragionamenti, tenerezze, allegria, lamenti, vocii.

Infatti, una delle direttive che l’attuale Amministrazione si è data è lo sviluppo delle potenzialità turistiche di Belcastro, questi antichi caseggiati, inaspettatamente, potrebbero concorrere, e non poco, a tale sviluppo.

Presumo che nei programmi vi sia anche quello del recupero del centro storico e che uno dei suoi punti fondamentali riguardi il completamento della piazza Poerio che, secondo me, dovrebbe essere il biglietto da visita del paese; per cui immagino una piazza arredata nella maniera più consona al suo aspetto storico-architettonico.

A mio giudizio, che per molti risulterà azzardato, alcuni “pezzi” dei vecchi edifici abbandonati potrebbero dare un volto nuovo a tale recupero edilizio.

La piazza, come sappiamo, è caratterizzata dal palazzo Poerio e dalla chiesetta di s. Rocco che attirano subito l’occhio del visitatore. Le abitazioni che la circondano, però, nel corso degli anni, sono stati rimaneggiati, secondo l’uso dei tempi, nella loro parte esterna; le modalità del restauro vorrebbero che tutta la piazza  - e quindi anche le case che le stanno intorno -  rispecchi il restauro di palazzo Poerio e di s. Rocco, vale a dire, dovrebbero presentare un intonaco più o meno identico a quello dei due monumenti. Sarebbe questo il “completamento” della piazza.

Il rifacimento delle facciate di queste case può rientrare benissimo nel piano di recupero del centro storico, già approvato nel PIT Valle del Crocchio; quindi, l’idea “azzardata”, sopra accennata, non è poi così balzana: facendo rientrare nel progetto del PIT il totale completamento della piazza  - cosa possibilissima -  l’idea “azzardata” diventa realizzabile, sì da darle il suo giusto ed integrale stile architettonico.

Questo “perfezionamento”  - se così vogliamo chiamarlo -  si potrebbe realizzare utilizzando, dove possibile, anche e soprattutto i “pezzi” cui si è accennato sopra. Ad esempio, si potrebbe adornare una finestra, un balcone, un’entrata, ecc., con i pezzi asportati da questi palazzi  - non più voluti dai loro proprietari e destinati all’inevitabile crollo -  ricollocandoli nei punti più opportuni della piazza: se una delle due porte di casa Pisani che danno sulla piazza, tanto per continuare con l’esempio, anziché avere l’entrata che ha attualmente, avesse un bel portale antico, sarebbe tutta un’altra vista e darebbe un altro tono a tutto l’insieme della piazza stessa. Se le finestre delle case che si affacciano sulla piazza facessero mostra di stipiti antichi in pietra, al posto dei semplici mattoni intonacati  - e per giunta di vari colori -, renderebbero alla piazza il suo aspetto più consono. E così potrebbe essere per una strada, una casa, ecc.

Provate ad immaginare le entrate e relative aperture degli edifici che danno su piazza Poerio ornati con portoni o stipiti in pietra antica e vedrete l’aspetto che prenderebbe tutto il complesso.

Non è solo immaginazione, ma è possibilità, cioè una cosa perfettamente realizzabile: basta volerlo e saperlo fare.

Girando per le vecchie strade di Belcastro ci si renderebbe subito conto della gran quantità di materiale che si potrebbe recuperare e riutilizzarlo a tal fine: se ai “pezzi” delle case, poi, aggiungessimo anche quelli delle chiese, anch’esse semplici ruderi destinati a diventare macerie, (Maddalena, Sanità, S. Francesco, ecc.), ci sarebbe veramente da abbellire un intero percorso.

A primo acchito  - ripeto -  si potrebbe pensare a un’idea insolita, irrealizzabile o molto complicata, ma  - ripeto -  con progetti finalizzati ciò potrebbe essere possibile, come del resto è avvenuto in altre parti: molti paesi della Toscana sono stati ricostruiti proprio in tal modo: anche lì le facciate delle abitazioni, anni fa, erano intonacate come quelle di Belcastro; ma con piani finalizzati, sono state riportate nella loro originaria muratura, cioè con l’intonaco asportato e con aggiunte  - in questo caso per Belcastro il rifacimento degli ingressi e delle finestre -  là dove è stato ritenuto possibile e migliorativo. Quindi, un’idea che a prima vista sembra strana, ma che analizzandola bene è fattibilissima, in quanto può essere prevista nei piani di ristrutturazione del centro storico. La spesa sarebbe modesta e la possibilità reale. Certo, sono lavori che prevedono tempi lunghi; ma, accanto alle programmazioni a tempi brevi, vi sono anche quelle a tempi lunghi, come questa. L’importante è prevederla e cercare di realizzarla, senza aspettare non so cosa.

 

 

IL PORTALE.... SCONOSCIUTO

Quanto si è detto finora è in funzione del motivo per cui viene fatto quest’intervento sul Forum: recuperare quanto è più possibile per poi riutilizzarlo.

Subito dopo aver imboccato la Via Murate, si presenta un vecchio caseggiato fatiscente, ma che un tempo fu certamente uno dei più belli ed importanti palazzi di Belcastro, data la sua ampiezza e il tipo di costruzione. Esso è contrassegnato da un bel portale arcuato, risalente al Cinque-Seicento e nei muri portanti dell’edificio vi sono, inoltre, alcuni blocchi di pietra lavorata e scolpita, ricavati certamente da costruzioni più antiche.

È il cosiddetto “Palazzo Moraca”, forse per via degli ultimi abitatori, che furono appunto i Moraca di Cerva.

Sappiamo, però, che la famiglia Moraca non era belcastrese, ma originaria del Cosentino che incominciò ad avere i primi contatti con il territorio belcastrese sul finire del 1600,  quando cioè, dal loro paese, nel periodo invernale si spostavano verso il feudo di Belcastro, dove prendevano in fitto dalla mensa vescovile i terreni per il pascolo del loro bestiame. Nei primi decenni del 1700 si stabilirono definitivamente nel paese di Cerva, fondato (1704) dai baroni Poerio di Belcastro. Ben presto la famiglia divenne la più facoltosa del nuovo paese e, col tempo, acquistarono alcuni appezzamenti di terreni anche nel territorio belcastrese, come il fondo seminativo Carvani e gli uliveti Cocozze e Sopra Caria. In virtù di queste loro proprietà a Belcastro i Moraca erano soliti trascorrervi parte dell’autunno e tutto l’inverno, specialmente durante la raccolta delle olive e, quindi, acquistarono l’edificio sopra indicato che era appartenuto sicuramente, per via dei suoi ornamenti architettonici e della sua grandezza,  ad una delle famiglie più benestanti del paese. Ultimo inquilino, comunque, fu don Ugo Moraca che, sposatosi con donna Caterina Pisani, lasciò l’abitazione per trasferirsi in casa Pisani, sulla piazza Poerio. 

Il palazzo Moraca, dopo l’ultimo conflitto mondiale, fu dato in fitto al Comune che lo utilizzò con alcune classi della scuola elementare. Con la costruzione del nuovo edificio scolastico negli anni Sessanta, il palazzo Moraca rimase disabitato e, con il tempo, andò in rovina fino al suo stato odierno. L’attuale proprietario, Francesco Moraca, figlio di Ugo, prima di trasferirsi a Siena, constatando la pericolosità interna dell’edificio, fece murare le due entrate; per cui l’accesso al caseggiato è tuttora impedito.

Oggi l’edificio, abbandonato da quasi mezzo secolo, è completamente in rovina ed anche il suo portale, opera di maestranze belcastresi e risalente ai secoli XVI-XVII, incomincia a risentire del trascorrere del tempo e dei danni atmosferici (in alcune parti i blocchi incominciano a “sfarinarsi”); così pure le sottomensole, uniche a Belcastro  - dopo quelle di palazzo Poerio -  rischiano di cadere sulla strada e frantumarsi nella loro caduta.

Comunque, sul piano terra, oltre i locali delle provviste, vi è anche un frantoio in pietra, le cui macine e tutta l’attrezzatura sono ancora certamente nel posto. Il suo recupero, visto che a Belcastro si intende allestire un museo contadino, sarebbe più che opportuno.

In alto, sulla facciata d’entrata, spiccano le sottomensole di balcone della stessa epoca del portale, oltre a stipiti di finestre in pietra intagliata. Il loro recupero e relativa conservazione è quanto mai opportuna, come pure per i blocchi scolpiti.

L’interno dell’edificio è caratterizzato da cortile interno dal quale alcune scale in pietra, oggi in gran parte crollate, immettevano nelle stanze degli alloggi e dei servizi.

 

PER UNA CITTÀ D’ARTE E DI CULTURA

Ritornando all’inizio del discorso, la riutilizzazione di alcuni “pezzi” di questo edificio (portale, sottomensole, stipiti di balconi e finestre, scalini, ecc,) potrebbe tornare utile al progetto sopra esposto. Ovviamente, la loro asportazione, visto che gli agenti atmosferici li stanno deturpando, prima si esegue e meglio è: custoditi al chiuso, possono essere utilizzati al momento opportuno.

Non si tratta di appropriarsi di un qualche cosa (l’avvocato Moraca, da me interpellato, si è dimostrato favorevole a tale idea, purchè salvaguardato da eventuali responsabilità), ma di recuperare un’opera artigianale di una certa fattura, ridandole vita con il suo riutilizzo, anziché lasciarla perire, come è avvenuto per un’infinità di tante altre cose, grazie all’incuria e all’indifferenza degli uomini.

Una città d’arte e di cultura non nasce da sola, ma si “costruisce”, incominciando a preservare ciò che si va depauperando e ciò che serve a farle assumere l’aspetto urbano e le caratteristiche appropriate ad un luogo inteso in tal senso. Belcastro è un paese che, rispetto agli altri circonvicini, possiede beni architettonici di un certo stile, ma questi  - specialmente nel loro stato attuale -  non bastano a fargli riconoscere l’appellativo di città d’arte e di cultura (l’Annunziata sta andato in rovina; i lavori della Pietà non finiscono mai e due belle statue in marmo sono in balia della polvere e dei calcinacci; Palazzo Poerio finalmente è quasi completato, ma i restauri sono stati fatti in maniera obbrobriosa, specialmente nel piano superiore; anche il castello è stato restaurato male: è stato privato dei suoi merli e le ricostruzioni delle finestre  - completamente sballate -  sembrano quelle dei castelli fiabeschi; al cattivo restauro non è sfuggita neanche l’ex cattedrale). Ma se Belcastro  - a parte Santa Severina -  è l’unico centro della zona ad avere un discreto patrimonio architettonico che potrebbe avere un certo richiamo turistico, dobbiamo anche dire che in Calabria vi sono moltissimi paesi che più o meno hanno gli stessi edifici di Belcastro, ma non sono considerati centri d’arte e di cultura: per diventarlo c’è tutto un processo di avvio, realizzazione e gestione che richiede, oltre che tempo, soprattutto l’agire in tale direzione. Occorre cioè un progetto finalizzato, a largo respiro che, passo dopo passo, possa realizzare ciò che si è prefisso, vale a dire la “costruzione” di una città d’arte e di cultura. Senza progetto è come se si vivesse alla giornata o si brancolasse nel buio e nella confusione. Ed allora ecco il bisogno, oltre al progetto, di incrementare il patrimonio architettonico del paese con altre iniziative meno complesse ma fattibili, come l’arricchimento della piazza Poerio, la costruzione di un percorso turistico-architettonico, la costituzione di associazioni culturali, ecc., le cui caratteristiche farebbero di Belcastro veramente una città d’arte.

Alcuni paesi viciniori a Belcastro si sono dati l’appellativo di città d’arte e di cultura. Ora, senza voler togliere loro nulla, io penso che per essere classificati in tal senso bisogna che tale appellativo sia riconosciuto dagli altri e non dall’amministrazione comunale del luogo. Qualsiasi amministrazione, a questo punto, può darsi la denominazione che vuole; il problema sorge se gli altri la riconoscono e, per riconoscerla, ci vogliono prima di ogni cosa gli elementi, cioè le opere d’arte, i monumenti, le manifestazioni artistiche e culturali, le associazioni, ecc, seguite, poi, dalle relative manifestazioni culturali, artistiche, folkloristiche, ecc. Solo così, un’amministrazione comunale di un dato comune potrà avere, giustamente, il riconoscimento di città d’arte, che  - ripeto -  non si ottiene dall’oggi al domani, ma dopo tutta una serie di interventi ed iniziative che richiedono il tempo dovuto.

L’unico paese che nel circondario può considerarsi città d’arte e di cultura è Santa Severina perché, oltre i suoi monumenti architettonici (castello; battistero che è l’unico monumento bizantino a pianta circolare in Italia; chiesetta bizantino-normanna di Santa Filomena, la seicentesca chiesa dell'Addolorata, la cattedrale, una piazza che è un salotto all’aperto, ecc.), ha creato un circuito artistico e culturale che le hanno permesso tale riconoscimento: infatti, oltre il restauro e recupero dei suoi beni architettonici, ha associazioni culturali, un proprio sito Internet ad hoc, un museo diocesano, un altro civico, le sale del castello ospitano continuamente mostre e convegni, spettacoli culturali, folkloristici, per non parlare delle manifestazioni estive, ecc. ecc.

Belcastro ha tutte le potenzialità per diventare città d’arte e di cultura - come ho detto altre volte – e, forse, più di Santa Severina, data la sua posizione geografica; però bisogna che tali potenzialità siano sviluppate, come ha fatto appunto Santa Severina: elaborare un progetto, recuperare tutto il materiale che può essere utile, prima che si disperda, e lavorare in funzione di tale iniziativa fino a portarla a compimento.

Quindi, penso che i beni che ha Belcastro devono essere valorizzati al meglio e non lasciati in balia del tempo, come l’affresco di s. Nicola al quale, probabilmente, non si è data l’importanza che merita, oltre che per l’opera in se stessa, anche per il programma che si è prefisso l’Amministrazione e, quindi, per il paese (un’immagine dell’affresco restaurato, assieme ad altre, pubblicizzate nei dépliant di agenzie turistiche o di enti statali e regionali farebbero conoscere l’affresco  - e, con esso, Belcastro -  ad un’infinità di turisti dei quali qualcuno si mostrerebbe certamente interessato a visitare il paese: quindi, ad esempio, non basta dire che s. Nicola è sotto la tutela dei Beni Culturali; ma bisogna farli intervenire tempestivamente, perché se l’intervento di questo Ente avviene quando l’affresco ormai è scomparso,  che tutela è ? Per me, sarebbe tutela alla distruzione anziché alla salvaguardia! E così per altri beni, come i famosi “pezzi”, dei quali si è parlato prima, che potrebbero tornare utili al miglioramento di piazza Poerio e dei suoi edifici, la cui realizzazione non comporta una spesa eccessiva, ma sopportabilissima. L’attuale Amministrazione  - visto che le precedenti non hanno fatto proprio nulla, e se da esse veramente vuole distinguersi -  dovrebbe fare una sterzata a 360 gradi, come penso stia facendo, ed operare fattivamente in merito, poiché l’unico sviluppo di Belcastro è solo in tal senso.

 26 settembre 2003

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