UN ANTICO PORTALE
SCONOSCIUTO
un’idea a prima vista … assurda
Sebbene l’edilizia antica di
Belcastro, nella sua maggior parte, sia stata costituita da case di
appena due o tre stanze, non mancarono anche grandi e belle dimore,
come quelle attuali, dei Pisani, dei Ciacci, dei Gimigliano, dei
Moraca, dei Fiorino e così via, ma che un tempo furono le dimore
delle famiglie agiate del paese, come i Gironda, i Tacina, i D’Orso,
gli Anania, i Diano, i Galati, i Gargano, ecc.
Dimore, un tempo, rallegrate dalle
grida giocose dei bambini; dai discorsi accesi o smorzati o
interessati degli uomini d’affari; dai chiacchiericci, dai brusii o
dalle complicità delle giovani sulle loro amiche frivole o avvedute,
dai litigi o dagli amori delle mogli e dei mariti.
Molte di queste abitazioni, dove
quotidianamente si svolgeva il “vivere” dei loro proprietari e dove
spesso veniva decisa la vita politica e amministrativa del paese,
oggi sono rimasti abbandonati.
Per l’inesorabile legge del tempo che
modifica tutte le cose, sono divenuti muti; privi dei loro
schiamazzi, dei bisbigli, dei bisticci, dei discorsi salottieri: il
trascorrere del tempo, le metamorfosi familiari e quelle del vivere
quotidiano li hanno condotti inevitabilmente e lentamente alla loro
morte. Disabitati da molti anni, sono ormai cadenti; anzi la maggior
parte, in alcune loro parti, sono già semplici macerie. Mentre un
tempo erano ricche e comode dimore, adesso, costituiscono anche un
pericolo per la popolazione.
Ironia della sorte, però, queste
costruzioni, potrebbero svolgere una loro utile funzione al paese,
come lo furono, per un certo verso nei tempi passati, ai loro
antichi proprietari e ritornare, quindi, a rivivere: a sentire
nuovamente ragionamenti, tenerezze, allegria, lamenti, vocii.
Infatti, una delle direttive che
l’attuale Amministrazione si è data è lo sviluppo delle potenzialità
turistiche di Belcastro, questi antichi caseggiati,
inaspettatamente, potrebbero concorrere, e non poco, a tale
sviluppo.
Presumo che nei programmi vi sia anche
quello del recupero del centro storico e che uno dei suoi punti
fondamentali riguardi il completamento della piazza Poerio che,
secondo me, dovrebbe essere il biglietto da visita del paese; per
cui immagino una piazza arredata nella maniera più consona al suo
aspetto storico-architettonico.
A mio giudizio, che per molti
risulterà azzardato, alcuni “pezzi” dei vecchi edifici abbandonati
potrebbero dare un volto nuovo a tale recupero edilizio.
La piazza, come sappiamo, è
caratterizzata dal palazzo Poerio e dalla chiesetta di s. Rocco che
attirano subito l’occhio del visitatore. Le abitazioni che la
circondano, però, nel corso degli anni, sono stati rimaneggiati,
secondo l’uso dei tempi, nella loro parte esterna; le modalità del
restauro vorrebbero che tutta la piazza - e quindi anche le
case che le stanno intorno - rispecchi il restauro di palazzo
Poerio e di s. Rocco, vale a dire, dovrebbero presentare un intonaco
più o meno identico a quello dei due monumenti. Sarebbe questo il
“completamento” della piazza.
Il rifacimento delle facciate di
queste case può rientrare benissimo nel piano di recupero del centro
storico, già approvato nel PIT Valle del Crocchio; quindi, l’idea
“azzardata”, sopra accennata, non è poi così balzana: facendo
rientrare nel progetto del PIT il totale completamento della piazza
- cosa possibilissima - l’idea “azzardata” diventa
realizzabile, sì da darle il suo giusto ed integrale stile
architettonico.
Questo “perfezionamento” - se
così vogliamo chiamarlo - si potrebbe realizzare utilizzando,
dove possibile, anche e soprattutto i “pezzi” cui si è accennato
sopra. Ad esempio, si potrebbe adornare una finestra, un balcone,
un’entrata, ecc., con i pezzi asportati da questi palazzi -
non più voluti dai loro proprietari e destinati all’inevitabile
crollo - ricollocandoli nei punti più opportuni della piazza:
se una delle due porte di casa Pisani che danno sulla piazza, tanto
per continuare con l’esempio, anziché avere l’entrata che ha
attualmente, avesse un bel portale antico, sarebbe tutta un’altra
vista e darebbe un altro tono a tutto l’insieme della piazza stessa.
Se le finestre delle case che si affacciano sulla piazza facessero
mostra di stipiti antichi in pietra, al posto dei semplici mattoni
intonacati - e per giunta di vari colori -, renderebbero alla
piazza il suo aspetto più consono. E così potrebbe essere per una
strada, una casa, ecc.
Provate ad immaginare le entrate e
relative aperture degli edifici che danno su piazza Poerio ornati
con portoni o stipiti in pietra antica e vedrete l’aspetto che
prenderebbe tutto il complesso.
Non è solo immaginazione, ma è
possibilità, cioè una cosa perfettamente realizzabile: basta volerlo
e saperlo fare.
Girando per le vecchie strade di
Belcastro ci si renderebbe subito conto della gran quantità di
materiale che si potrebbe recuperare e riutilizzarlo a tal fine: se
ai “pezzi” delle case, poi, aggiungessimo anche quelli delle chiese,
anch’esse semplici ruderi destinati a diventare macerie, (Maddalena,
Sanità, S. Francesco, ecc.), ci sarebbe veramente da abbellire un
intero percorso.
A primo acchito - ripeto -
si potrebbe pensare a un’idea insolita, irrealizzabile o molto
complicata, ma - ripeto - con progetti finalizzati ciò
potrebbe essere possibile, come del resto è avvenuto in altre parti:
molti paesi della Toscana sono stati ricostruiti proprio in tal
modo: anche lì le facciate delle abitazioni, anni fa, erano
intonacate come quelle di Belcastro; ma con piani finalizzati, sono
state riportate nella loro originaria muratura, cioè con l’intonaco
asportato e con aggiunte - in questo caso per Belcastro il
rifacimento degli ingressi e delle finestre - là dove è stato
ritenuto possibile e migliorativo. Quindi, un’idea che a prima vista
sembra strana, ma che analizzandola bene è fattibilissima, in quanto
può essere prevista nei piani di ristrutturazione del centro
storico. La spesa sarebbe modesta e la possibilità reale. Certo,
sono lavori che prevedono tempi lunghi; ma, accanto alle
programmazioni a tempi brevi, vi sono anche quelle a tempi lunghi,
come questa. L’importante è prevederla e cercare di realizzarla,
senza aspettare non so cosa.
IL PORTALE.... SCONOSCIUTO
Quanto si è detto finora è in
funzione del motivo per
cui viene fatto quest’intervento sul Forum: recuperare quanto è più
possibile per poi riutilizzarlo.
Subito dopo aver imboccato la Via
Murate, si presenta un vecchio caseggiato fatiscente, ma che un
tempo fu certamente uno dei più belli ed importanti palazzi di
Belcastro, data la sua ampiezza e il tipo di costruzione. Esso è
contrassegnato da un bel portale arcuato, risalente al
Cinque-Seicento e nei muri portanti dell’edificio vi sono, inoltre,
alcuni blocchi di pietra lavorata e scolpita, ricavati certamente da
costruzioni più antiche.
È il cosiddetto “Palazzo Moraca”,
forse per via degli ultimi abitatori, che furono appunto i Moraca di
Cerva.
Sappiamo, però, che la famiglia Moraca
non era belcastrese, ma originaria del Cosentino che incominciò ad
avere i primi contatti con il territorio belcastrese sul finire del
1600, quando cioè, dal loro paese, nel periodo invernale si
spostavano verso il feudo di Belcastro, dove prendevano in fitto
dalla mensa vescovile i terreni per il pascolo del loro bestiame.
Nei primi decenni del 1700 si stabilirono definitivamente nel paese
di Cerva, fondato (1704) dai baroni Poerio di Belcastro. Ben presto
la famiglia divenne la più facoltosa del nuovo paese e, col tempo,
acquistarono alcuni appezzamenti di terreni anche nel territorio
belcastrese, come il fondo seminativo Carvani e gli uliveti
Cocozze e Sopra Caria. In virtù di queste loro
proprietà a Belcastro i Moraca erano soliti trascorrervi parte
dell’autunno e tutto l’inverno, specialmente durante la raccolta
delle olive e, quindi, acquistarono l’edificio sopra indicato che
era appartenuto sicuramente, per via dei suoi ornamenti
architettonici e della sua grandezza, ad una delle famiglie
più benestanti del paese. Ultimo inquilino, comunque, fu don Ugo
Moraca che, sposatosi con donna Caterina Pisani, lasciò l’abitazione
per trasferirsi in casa Pisani, sulla piazza Poerio.
Il palazzo Moraca, dopo l’ultimo
conflitto mondiale, fu dato in fitto al Comune che lo utilizzò con
alcune classi della scuola elementare. Con la costruzione del nuovo
edificio scolastico negli anni Sessanta, il palazzo Moraca rimase
disabitato e, con il tempo, andò in rovina fino al suo stato
odierno. L’attuale proprietario, Francesco Moraca, figlio di Ugo,
prima di trasferirsi a Siena, constatando la pericolosità interna
dell’edificio, fece murare le due entrate; per cui l’accesso al
caseggiato è tuttora impedito.
Oggi l’edificio, abbandonato da quasi
mezzo secolo, è completamente in rovina ed anche il suo portale,
opera di maestranze belcastresi e risalente ai secoli XVI-XVII,
incomincia a risentire del trascorrere del tempo e dei danni
atmosferici (in alcune parti i blocchi incominciano a “sfarinarsi”);
così pure le sottomensole, uniche a Belcastro - dopo quelle di
palazzo Poerio - rischiano di cadere sulla strada e
frantumarsi nella loro caduta.
Comunque, sul piano terra, oltre i
locali delle provviste, vi è anche un frantoio in pietra, le cui
macine e tutta l’attrezzatura sono ancora certamente nel posto. Il
suo recupero, visto che a Belcastro si intende allestire un museo
contadino, sarebbe più che opportuno.
In alto, sulla facciata d’entrata,
spiccano le sottomensole di balcone della stessa epoca del portale,
oltre a stipiti di finestre in pietra intagliata. Il loro recupero e
relativa conservazione è quanto mai opportuna, come pure per i
blocchi scolpiti.
L’interno dell’edificio è
caratterizzato da cortile interno dal quale alcune scale in pietra,
oggi in gran parte crollate, immettevano nelle stanze degli alloggi
e dei servizi.
PER UNA CITTÀ D’ARTE E DI CULTURA
Ritornando all’inizio del discorso, la
riutilizzazione di alcuni “pezzi” di questo edificio (portale,
sottomensole, stipiti di balconi e finestre, scalini, ecc,) potrebbe
tornare utile al progetto sopra esposto. Ovviamente, la loro
asportazione, visto che gli agenti atmosferici li stanno deturpando,
prima si esegue e meglio è: custoditi al chiuso, possono essere
utilizzati al momento opportuno.
Non si tratta di appropriarsi di un
qualche cosa (l’avvocato Moraca, da me interpellato, si è dimostrato
favorevole a tale idea, purchè salvaguardato da eventuali
responsabilità), ma di recuperare un’opera artigianale di una certa
fattura, ridandole vita con il suo riutilizzo, anziché lasciarla
perire, come è avvenuto per un’infinità di tante altre cose, grazie
all’incuria e all’indifferenza degli uomini.
Una città d’arte e di cultura non
nasce da sola, ma si “costruisce”, incominciando a preservare ciò
che si va depauperando e ciò che serve a farle assumere l’aspetto
urbano e le caratteristiche appropriate ad un luogo inteso in tal
senso. Belcastro è un paese che, rispetto agli altri circonvicini,
possiede beni architettonici di un certo stile, ma questi -
specialmente nel loro stato attuale - non bastano a fargli
riconoscere l’appellativo di città d’arte e di cultura (l’Annunziata
sta andato in rovina; i lavori della Pietà non finiscono mai e due
belle statue in marmo sono in balia della polvere e dei calcinacci;
Palazzo Poerio finalmente è quasi completato, ma i restauri sono
stati fatti in maniera obbrobriosa, specialmente nel piano
superiore; anche il castello è stato restaurato male: è stato
privato dei suoi merli e le ricostruzioni delle finestre -
completamente sballate - sembrano quelle dei castelli
fiabeschi; al cattivo restauro non è sfuggita neanche l’ex
cattedrale). Ma se Belcastro - a parte Santa Severina -
è l’unico centro della zona ad avere un discreto patrimonio
architettonico che potrebbe avere un certo richiamo turistico,
dobbiamo anche dire che in Calabria vi sono moltissimi paesi che più
o meno hanno gli stessi edifici di Belcastro, ma non sono
considerati centri d’arte e di cultura: per diventarlo c’è tutto un
processo di avvio, realizzazione e gestione che richiede, oltre che
tempo, soprattutto l’agire in tale direzione. Occorre cioè un
progetto finalizzato, a largo respiro che, passo dopo passo, possa
realizzare ciò che si è prefisso, vale a dire la “costruzione” di
una città d’arte e di cultura. Senza progetto è come se si vivesse
alla giornata o si brancolasse nel buio e nella confusione. Ed
allora ecco il bisogno, oltre al progetto, di incrementare il
patrimonio architettonico del paese con altre iniziative meno
complesse ma fattibili, come l’arricchimento della piazza Poerio, la
costruzione di un percorso turistico-architettonico, la costituzione
di associazioni culturali, ecc., le cui caratteristiche farebbero di
Belcastro veramente una città d’arte.
Alcuni paesi viciniori a Belcastro si
sono dati l’appellativo di città d’arte e di cultura. Ora, senza
voler togliere loro nulla, io penso che per essere classificati in
tal senso bisogna che tale appellativo sia riconosciuto dagli altri
e non dall’amministrazione comunale del luogo. Qualsiasi
amministrazione, a questo punto, può darsi la denominazione che
vuole; il problema sorge se gli altri la riconoscono e, per
riconoscerla, ci vogliono prima di ogni cosa gli elementi, cioè le
opere d’arte, i monumenti, le manifestazioni artistiche e culturali,
le associazioni, ecc, seguite, poi, dalle relative manifestazioni
culturali, artistiche, folkloristiche, ecc. Solo così,
un’amministrazione comunale di un dato comune potrà avere,
giustamente, il riconoscimento di città d’arte, che - ripeto -
non si ottiene dall’oggi al domani, ma dopo tutta una serie di
interventi ed iniziative che richiedono il tempo dovuto.
L’unico paese che nel circondario può
considerarsi città d’arte e di cultura è Santa Severina perché,
oltre i suoi monumenti architettonici (castello; battistero che è
l’unico monumento bizantino a pianta circolare in Italia; chiesetta
bizantino-normanna di Santa Filomena, la seicentesca chiesa
dell'Addolorata, la cattedrale, una piazza che è un salotto
all’aperto, ecc.), ha creato un circuito artistico e culturale che
le hanno permesso tale riconoscimento: infatti, oltre il restauro e
recupero dei suoi beni architettonici, ha associazioni culturali, un
proprio sito Internet ad hoc, un museo diocesano, un altro civico,
le sale del castello ospitano continuamente mostre e convegni,
spettacoli culturali, folkloristici, per non parlare delle
manifestazioni estive, ecc. ecc.
Belcastro ha tutte le potenzialità per
diventare città d’arte e di cultura - come ho detto altre volte – e,
forse, più di Santa Severina, data la sua posizione geografica; però
bisogna che tali potenzialità siano sviluppate, come ha fatto
appunto Santa Severina: elaborare un progetto, recuperare tutto il
materiale che può essere utile, prima che si disperda, e lavorare in
funzione di tale iniziativa fino a portarla a compimento.
Quindi, penso che i beni che ha
Belcastro devono essere valorizzati al meglio e non lasciati in
balia del tempo, come l’affresco di s. Nicola al quale,
probabilmente, non si è data l’importanza che merita, oltre che per
l’opera in se stessa, anche per il programma che si è prefisso
l’Amministrazione e, quindi, per il paese (un’immagine dell’affresco
restaurato, assieme ad altre, pubblicizzate nei dépliant di agenzie
turistiche o di enti statali e regionali farebbero conoscere
l’affresco - e, con esso, Belcastro - ad un’infinità di
turisti dei quali qualcuno si mostrerebbe certamente interessato a
visitare il paese: quindi, ad esempio, non basta dire che s. Nicola
è sotto la tutela dei Beni Culturali; ma bisogna farli intervenire
tempestivamente, perché se l’intervento di questo Ente avviene
quando l’affresco ormai è scomparso, che tutela è ? Per me,
sarebbe tutela alla distruzione anziché alla salvaguardia! E così
per altri beni, come i famosi “pezzi”, dei quali si è parlato prima,
che potrebbero tornare utili al miglioramento di piazza Poerio e dei
suoi edifici, la cui realizzazione non comporta una spesa eccessiva,
ma sopportabilissima. L’attuale Amministrazione - visto che le
precedenti non hanno fatto proprio nulla, e se da esse veramente
vuole distinguersi - dovrebbe fare una sterzata a 360 gradi,
come penso stia facendo, ed operare fattivamente in merito, poiché
l’unico sviluppo di Belcastro è solo in tal senso.
26 settembre 2003
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