PIETRO PAOLO DE ANDREIS:
CONTE DI BELCASTRO E CAPITANO DI VENTURA
Un personaggio molto importante, agli inizi del
1400, fu Pietro Paolo de Andreis, detto Pieretto o Braga.
Originario di Ivrea, dopo aver costituito una
compagnia d’armi, si pose al servizio dello Stato Pontificio che lo inviò a
presidiare la città di Viterbo, dove raggiunse le più alte
cariche militari.
Con lo scoppio della guerra di successione al
Regno di Napoli, fra gli angioini di Provenza e quelli di Durazzo, si mise al
servizio di quest’ultimi e, nel 1396, fu inviato in Calabria dal re Carlo di
Durazzo con il compito di combattere il ribelle Nicolò Ruffo, conte di
Catanzaro. Egli aveva sposato Martuscella Caracciolo, appartenente ad una delle
più titolate famiglie del regno di Napoli. Egli guerreggiò per quattro anni
contro la potente famiglia dei Ruffo, alleata dell’altrettanta potente famiglia
dei Sanseverino che, da sole, possedevano oltre la metà della regione. Il 2
giugno 1400 fu nominato giustiziere di Val di Crati e Terra Giordana al posto di
Nicolò Ruffo che, sconfitto dalle forze durazzesche fu costretto a riparare in
Francia assieme ai Sanseverino, i quali ultimi, con Enrico, erano anche conti di
Belcastro.
Nel 1402 fu inviato in Dalmazia per predisporre i
preparativi atti a ricevere il re di Napoli Carlo in visita in quel territorio.
Morto Carlo, il figlio Ladislao, agli inizi del
1404 confermava Pietro Paolo de Andreis giustiziere di Val di Crati e Terra
Giordana e lo insigniva anche della contea di Belcastro, col compito di ridurre
all’obbedienza la baronia di Barbaro che era stata tagliata fuori dai
combattimenti e ancora manteneva issate le insegne angioine; espugnazione che
avvenne l’anno seguente.
Nell’ottobre 1404, fu inviato a Roma per comporre
le fazioni avverse e dare una nuova costituzione alla città. Entrato per la
porta di San Giovanni in Laterano e superato ponte Milvio, occupò Castel
Sant’Angelo e subito dopo, i cittadini romani furono costretti a consegnargli la
città sul Campidoglio.
Nel novembre dello stesso anno, sempre a Roma,
rappresentò il re il re Ladislao all’incoronazione in San Pietro di Innocenzo
VII, affiancando il papa nella cavalcata solenne da San Pietro a San Giovanni in
Laterano. Nel mese di dicembre, per i suoi meriti, il pontefice lo nominò
rettore della Campania Marittima.
Nell’agosto 1405, con il conte da Carrara fu
chiamato dai Colonna a riconquistare Roma, caduta nel frattempo in mano alla
famiglia degli Orsini. Con Gentile da Monterano (300 cavalli) entrò nel Borgo
Leonino, occupando il portico di San Pietro, ma fu respinto al ponte di Castel
Sant’Angelo. Alla fine del mese fu costretto a ritirarsi nel Regno di Napoli per
l’energica azione dei soldati pontifici comandati da Paolo Orsini, Ceccolino dei
Michelotti e Mostarda da Forlì che lo sconfissero ai Prati di Nerone.
Ma nel giugno del 1406 ritornò nella Campagna
romana per il riaccendersi delle lotte fra gli Orsini e i Colonna. Pietro Paolo
de Andreis si diresse a Marino feudo degli Orsini devastandone il contado
circostante, per cui Paolo Orsini - in guerra con i Colonna -
fu costretto a chiedere una tregua di 11 giorni, stipulata a Tor di Mezza.
Nel mese di agosto entrava in Roma, dopo la firma
della pace con i Colonna imposta da Pietro Paolo. Nella città presenziò nella
chiesa di Santo Spirito al battesimo di un figlio dell’Orsini.
Nell’aprile 1408 attaccò nuovamente Roma al
comando di 12000/15000 cavalli ed 8000 fanti, per l’insediamento dell’antipapa
Alessandro V ed il riaccendersi delle lotte cittadine. Espugnata Ostia,
entrò nella capitale e pose il campo a San Paolo fuori le Mura e, subito dopo,
assalì porta San Paolo. Con il suo amico e compagno Conte di Carrara si scontrò
nuovamente con l'Orsini vicino Trastevere; e dopo qualche giorno entrò in Roma,
dove giunse Ladislao e con il quale presenziò a una cerimonia svoltasi a San
Paolo fuori le Mura.
Rimasto a Roma per presidiarla, nel corso
dell’estate, fu sostituito da Ciucio da Paterno e, mentre si trovava ancoraa
Roma con Ottino Caracciolo, conte di Nicastro, fu avvicinato da un condottiero
di Braccio di Montone, Guglielmo Lancellotti che voleva attrarlo nella compagnia
di ventura del Montone, suo avversario. Nel mese di settembre si portò, invece,
con 6000 uomini all’attacco di Braccio da Montone e lo inseguì fino alle Marche,
quando questi abbandonò Todi per passare in questa regione. Nel mese di
settembre costrinse il Montone a chiudersi in Jesi, ponendolo sotto assedio.
Nei primi mesi del 1409 incoraggiò il primo
ripopolamento del casale di Andalò (Andali) con gruppi di famiglie albanesi,
delle quali alcune si stabilirono a Belcastro.
Ma già in giugno era di nuovo fuori del Regno ad
occupare la città di Cortona, in Toscana, a seguito di un tumulto, catturando in
feudatario della città Luigi Casali ed il commissario fiorentino Jacopo
Gianfigliazzi, oltre ad infliggere pesanti perdite al nemico (300 morti).
Nell’estate fu nominato governatore di Perugina e, nell’ottobre, respinse un
assalto portato dall’Orsini e da Malatesta Malatesta. Con la famiglia dei
Colonna depredò le terre degli Orsini nella Campagna romana e, subito dopo, si
mise alla difesa di Roma con Bertoldo Orsini. Fatta la rassegna dei suoi uomini
nel rione Ponte, con Nicola Colonna e Betto da Lipari uscì da porta Settimiana e
penetrò nel portico di San Pietro, ma fu obbligato da Paolo Orsini a
fortificarsi in Santo Spirito.
Nel mese di dicembre fece bruciare la porta dietro
l’ospedale di Roma, distruggendo così completamente il portico di San Pietro e
attuò un’incursione verso Monticelli a sostegno dei colonnesi in Tivoli. Gli
ultimi giorni dell’anno il Malatesta si acquartierò a Sant’ Agnese e la notte
stessa l’Orsini irruppe nel Borgo Leonino, per cui Pietro Paolo fu disfatto
vicino a porta Settimiana lungo la strada che conduce a Trastevere: sfuggì alla
cattura riparando in una vigna e da qui in una piccola torre grazie ad una fune
lanciatagli da una finestra.
Nel giugno 1413 occupò nuovamente Roma e vi rimase
come vicario regio. Nel novembre 1413 fu chiamato a Napoli dove, il 6 agosto
1414, Ladislao si spegneva immaturamente, lasciando la corona a sua sorella
Giovanna II che “per essersi di folle amore lasciata signoreggiare … di guerre e
di miserie riempì il suo reame”.
Da un privilegio riportato da O. Dito e concesso
nel 1417 da Giovanna II ai cittadini di Catanzaro si apprende che la città,
subito dopo la fuga di Nicolò Ruffo, era stata occupata dal conte di Belcastro
Pietro Paolo de Andreis che si mise a vessare la cittadinanza con esosi
balzelli.
Nel documento gli abitanti di Catanzaro
avanzarono all’aquilano Antomizio de Camponeschi, luogotenente del Regno,
richieste di franchigie e privilegi per "li danne
importabile et estorsione ultra modum et numerum collecte et altri doni iniusti
li quali avimo substenuti per lo tempo passato essendo submissi subditi et
subgati a lo dominio potestate quasi tirranice de lo preterito prossimo segniore
Conte de Bellocastre tam brevi tempore per li quali semo reducti et venuti in
extrema paupertate".
Pietro Paolo de Andreis, che sotto il governo di
Ladislao abbiamo visto come uno dei suoi più validi collaboratori, disgustato
dalla politica scandalosa di Giovanna sia perché la regina non gli aveva
permesso l’occupazione di Catanzaro e sia perché sua moglie Martuscella era
imparentata con la casa dei Ruffo, avendo sposato in prime nozze Folco Ruffo di
Sinopoli,
abbandonò il partito durazzesco in favore di quello angioino che, forte anche
dell’appoggio delle truppe del condottiero Muzio Attendolo, aveva posto
addirittura l’assedio alla città di Napoli. II. Con Giulio Cesare da Capua e
Giovan Piero Origlia, nel 1417, accolse a Manfredonia Giacomo di Borbone, conte
delle Marche, che doveva sposarsi con Giovanna d’Angiò. Morì nel 1417, forse
avvelenato per ordine dello stesso Borbone.
La conte di Belcastro rimase a sua moglie
Martuscella Caracciolo.
16 luglio 2003 |