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di Raffaele Piccolo

PIETRO PAOLO DE ANDREIS:

CONTE DI BELCASTRO E CAPITANO DI VENTURA 

 

Un personaggio molto importante, agli inizi del 1400, fu Pietro Paolo de Andreis, detto Pieretto o Braga.

Originario di Ivrea, dopo aver costituito una compagnia d’armi, si pose al servizio dello Stato Pontificio che lo inviò a presidiare la città di Viterbo, dove raggiunse le più alte cariche militari.

Con lo scoppio della guerra di successione al Regno di Napoli, fra gli angioini di Provenza e quelli di Durazzo, si mise al servizio di quest’ultimi e, nel 1396, fu inviato in Calabria dal re Carlo di Durazzo con il compito di combattere il ribelle Nicolò Ruffo, conte di Catanzaro. Egli aveva sposato Martuscella Caracciolo, appartenente ad una delle più titolate famiglie del regno di Napoli. Egli guerreggiò per quattro anni contro la potente famiglia dei Ruffo, alleata dell’altrettanta potente famiglia dei Sanseverino che, da sole, possedevano oltre la metà della regione. Il 2 giugno 1400 fu nominato giustiziere di Val di Crati e Terra Giordana al posto di Nicolò Ruffo che, sconfitto dalle forze durazzesche fu costretto a riparare in Francia assieme ai Sanseverino, i quali ultimi, con Enrico, erano anche conti di Belcastro.

Nel 1402 fu inviato in Dalmazia per predisporre i preparativi atti a ricevere il re di Napoli Carlo in visita in quel territorio.

Morto Carlo, il figlio Ladislao, agli inizi del 1404 confermava Pietro Paolo de Andreis giustiziere di Val di Crati e Terra Giordana e lo insigniva anche della contea di Belcastro, col compito di ridurre all’obbedienza la baronia di Barbaro che era stata tagliata fuori dai combattimenti e ancora manteneva issate le insegne angioine; espugnazione che avvenne l’anno seguente.

 Nell’ottobre 1404, fu inviato a Roma per comporre le fazioni avverse e dare una nuova costituzione alla città. Entrato per la porta di San Giovanni in Laterano e superato ponte Milvio, occupò Castel Sant’Angelo e subito dopo, i cittadini romani furono costretti a consegnargli la città sul Campidoglio.

Nel novembre dello stesso anno, sempre a Roma, rappresentò il re il re Ladislao all’incoronazione in San Pietro di Innocenzo VII, affiancando il papa nella cavalcata solenne da San Pietro a San Giovanni in Laterano. Nel mese di dicembre, per i suoi meriti, il pontefice lo nominò rettore della Campania Marittima.

Nell’agosto 1405, con il conte da Carrara fu chiamato dai Colonna a riconquistare Roma, caduta nel frattempo in mano alla famiglia degli Orsini. Con Gentile da Monterano (300 cavalli) entrò nel Borgo Leonino, occupando il portico di San Pietro, ma fu respinto al ponte di Castel Sant’Angelo. Alla fine del mese fu costretto a ritirarsi nel Regno di Napoli per l’energica azione dei soldati pontifici comandati da Paolo Orsini, Ceccolino dei Michelotti e Mostarda da Forlì che lo sconfissero ai Prati di Nerone.

Ma nel giugno del 1406 ritornò nella Campagna romana per il riaccendersi delle lotte fra gli Orsini e i Colonna. Pietro Paolo de Andreis si diresse a Marino feudo degli Orsini devastandone il contado circostante, per cui Paolo Orsini   - in guerra con i Colonna -  fu costretto a chiedere una tregua di 11 giorni, stipulata a Tor di Mezza.

Nel mese di agosto entrava in Roma, dopo la firma della pace con i Colonna imposta da Pietro Paolo. Nella città presenziò nella chiesa di Santo Spirito al battesimo di un figlio dell’Orsini.

Nell’aprile 1408 attaccò nuovamente Roma al comando di 12000/15000 cavalli ed 8000 fanti, per l’insediamento dell’antipapa Alessandro V ed il riaccendersi delle lotte cittadine. Espugnata Ostia,  entrò nella capitale e pose il campo a San Paolo fuori le Mura e, subito dopo, assalì porta San Paolo. Con il suo amico e compagno Conte di Carrara si scontrò nuovamente con l'Orsini vicino Trastevere; e dopo qualche giorno entrò in Roma, dove giunse Ladislao e con il quale presenziò a una cerimonia svoltasi a San Paolo fuori le Mura.

Rimasto a Roma per presidiarla, nel corso dell’estate, fu sostituito da Ciucio da Paterno e, mentre si trovava ancoraa Roma con Ottino Caracciolo, conte di Nicastro, fu avvicinato da un condottiero di Braccio di Montone, Guglielmo Lancellotti che voleva attrarlo nella compagnia di ventura del Montone, suo avversario. Nel mese di settembre si portò, invece, con 6000 uomini all’attacco di Braccio da Montone e lo inseguì fino alle Marche, quando questi abbandonò Todi per passare in questa regione. Nel mese di settembre costrinse il Montone a chiudersi in Jesi, ponendolo sotto assedio.

Nei primi mesi del 1409 incoraggiò il primo ripopolamento del casale di Andalò (Andali) con gruppi di famiglie albanesi, delle quali alcune si stabilirono a Belcastro.

Ma già in giugno era di nuovo fuori del Regno ad occupare la città di Cortona, in Toscana, a seguito di un tumulto, catturando in feudatario della città Luigi Casali ed il commissario fiorentino Jacopo Gianfigliazzi, oltre ad infliggere pesanti perdite al nemico (300 morti). Nell’estate fu nominato governatore di Perugina e, nell’ottobre, respinse un assalto portato dall’Orsini e da Malatesta Malatesta.  Con la famiglia dei Colonna depredò le terre degli Orsini nella Campagna romana e, subito dopo, si mise alla difesa di Roma con Bertoldo Orsini. Fatta la rassegna dei suoi uomini nel rione Ponte, con Nicola Colonna e Betto da Lipari uscì da porta Settimiana e penetrò nel portico di San Pietro, ma fu obbligato da Paolo Orsini a fortificarsi in Santo Spirito.

Nel mese di dicembre fece bruciare la porta dietro l’ospedale di Roma, distruggendo così completamente il portico di San Pietro e attuò un’incursione verso Monticelli a sostegno dei colonnesi in Tivoli. Gli ultimi giorni dell’anno il Malatesta si acquartierò a Sant’ Agnese e la notte stessa l’Orsini irruppe nel Borgo Leonino, per cui Pietro Paolo fu disfatto vicino a porta Settimiana lungo la strada che conduce a Trastevere: sfuggì alla cattura riparando in una vigna e da qui in una piccola torre grazie ad una fune lanciatagli da una finestra.

Nel giugno 1413 occupò nuovamente Roma e vi rimase come vicario regio. Nel novembre 1413 fu chiamato a Napoli dove, il 6 agosto 1414, Ladislao si spegneva immaturamente, lasciando la corona a sua sorella Giovanna II che “per essersi di folle amore lasciata signoreggiare … di guerre e di miserie riempì il suo reame”.

Da un privilegio riportato da O. Dito e concesso nel 1417 da Giovanna II ai cittadini di Catanzaro si apprende che la città, subito dopo la fuga di Nicolò Ruffo, era stata occupata dal conte di Belcastro Pietro Paolo de Andreis che si mise a vessare la cittadinanza con esosi balzelli.

Nel documento gli abitanti  di Catanzaro avanzarono all’aquilano Antomizio de Camponeschi, luogotenente del Regno, richieste di franchigie e privilegi per "li danne importabile et estorsione ultra modum et numerum collecte et altri doni iniusti li quali avimo substenuti per lo tempo passato essendo submissi subditi et subgati a lo dominio potestate quasi tirranice de lo preterito prossimo segniore Conte de Bellocastre tam brevi tempore per li quali semo reducti et venuti in extrema paupertate".

Pietro Paolo de Andreis, che sotto il governo di Ladislao abbiamo visto come uno dei suoi più validi collaboratori, disgustato dalla politica scandalosa di Giovanna sia perché la regina non gli aveva permesso l’occupazione di Catanzaro e sia perché sua moglie Martuscella era imparentata con la casa dei Ruffo, avendo sposato in prime nozze Folco Ruffo di Sinopoli[2], abbandonò il partito durazzesco in favore di quello angioino che, forte anche dell’appoggio delle truppe del condottiero Muzio Attendolo, aveva posto addirittura l’assedio alla città di Napoli. II. Con Giulio Cesare da Capua e Giovan Piero Origlia, nel 1417, accolse a Manfredonia Giacomo di Borbone, conte delle Marche, che doveva sposarsi con Giovanna d’Angiò. Morì nel 1417, forse avvelenato per ordine dello stesso Borbone.

La conte di Belcastro rimase a sua moglie Martuscella Caracciolo.


[2] Era morto nel 1392.

16 luglio 2003

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