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INAUGURAZIONE DELLA CHIESA DELL'ANNUNZIATA

di Emilio Grimaldi

 

Belcastro, 1610. Belcastro, 2010. Belcastro, 400 anni dopo. Esattamente quattrocento anni dopo.

 

La Chiesa della “Divinae Mariae Annunciationis”, volgarmente detta dell’Annunziata, riflette il suo antico splendore. Il terremoto del 1783 la distrusse quasi completamente. Ridusse in ruderi le tre navate centrali. Da quell’ecatombe si salvarono solo l’abside e il campanile. Il restauro conservativo ha conservato ciò che è rimasto. Non ha potuto fare di più. Ma dopo l’abbandono dei secoli a venire allo scoccare del IV è tornata un po’ di luce nella Chiesa. Luminoso, come solo le opere di un certo pregio sanno essere, l’altare scolpito dal maestro scalpellino Antonio da Rogliano agli inizi del ‘600. Maestoso il campanile in stile romanico. Confortante la reggenza del Mastio dei Conti d’Aquino su a monte, dominante gran parte del Marchesato di Crotone.

“E’ un bene non solo per Belcastro, ma per tutto il Sud d’Italia.” Dice il sindaco, Ivan Ciacci, durante la cerimonia di inaugurazione. Potrebbe essere provincialismo, ma non lo è. Per Bruno Mussari, originario di Marcedusa, paese limitrofo, e progettista dell’opera insieme ad Annunziata Maria Oteri e Fabio Todesco dell’Università degli studi Mediterranea di Reggio Calabria, si tratta di un “Unicum”. Qualcosa di unico. “Uno dei più belli della Calabria per la perfezione dei dettagli, l’equilibrio delle forme e degli spazi”. Sotto l’aspetto storico ed architettonico. E poi è “unico” anche sotto il profilo sociale e più strettamente religioso. “Mi sa dire come sia potuto succedere che un paese, importante, certo, ma pur sempre piccolo rispetto alle grande città, sia riuscito, grazie solo alle maestranze locali, a dotarsi di un’opera così perfetta?” chiede. “Davvero, qualcosa di incomparabile”, aggiunge.
Il 1610 è la data dell’ultimazione della Chiesa. Secondo l’arrangiamento più grande e più adatto alle esigenze della viva comunità di Belcastro di allora. Un ospizio nella parte bassa della città e diversi censi. Una chiesa ricca, dunque. Che non badava a spese quando c’era da ornare ed onorare un luogo sacro. Dove gli stessi artisti trovavano rifugio solo nelle trascendentali sfere della religione rivelata. Ma non vi sono dubbi circa la sua esistenza anche due secoli prima.
La prima notizia sull’Annunziata si ha da una lettera del 1426 che papa Martino V inviò al vescovo di Belcastro, Giovanni Opizzo, nella quale dava facoltà a Simonetta Colonna, sua nipote e contessa di Belcastro dopo la morte di Pietro Paolo de Andreis, di concedere la Chiesa ai frati francescani dell’ordine dei minimi del paese, che vivevano in un convento poco distante. Se non bastano i documenti c’è il campanile, il Campanaro, come viene oggi chiamato, che riesce a convincere anche i più diffidenti. Lo stile romanico rimanda inconfondibilmente al Medioevo.
Con il terremoto del 1783 la Chiesa, già provata dal disfacimento, si avvia al declino. Al costante abbandono dei conti, dei vescovi, dei baroni, dei podestà, dei sindaci e dei suoi stessi abitanti che si sono succeduti. Per quasi tre secoli. All’alba del IV il risveglio.
La storia dell’uomo con le sue ceneri non può mai essere seppellita per sempre. Prima o poi risorge a nuova vita. È storia.
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29 settembre 2010

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