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di Raffaele Piccolo

S. Cataldo o Sinagoga degli Ebrei

 

Questa chiesa, come dice chiaramente il nome, fu il tempio della colonia ebrea, abbastanza numerosa a Belcastro.

Gli ebrei, secondo diverse testimonianze, vennero in Calabria sin dall’epoca romana, come afferma O. Dito, facendo riferimento ad un passo di Strabone[1].

Nelle nostre zone si trovavano certamente prima dell’anno 1000, come si rileva da alcuni documenti risalenti a quell’epoca. Infatti, in una bolla apocrifa del papa Eugenio III, diretta a Luca vescovo di Isola C. R. e datata 30 luglio 1149, ma coeva all’anno di riferimento, è menzionata la chiesa di s. Giovanni ubicata nella parte superiore dei “palacii de Iudeis”[2]. A Santa Severina esisteva il quartiere della “Iudea”, adiacente quello della “Grecìa”; ciò fa pensare ad una loro presenza anteriore al periodo bizantino[3].

A Belcastro esiste tuttora la via Grecìa, ma non vi è la “Iudea” o “Iudecca”  - come veniva chiamato generalmente il quartiere giudaico -  anche se è accertato che vi fu; certamente esistevano nel 1149, giacché Belcastro e Santa Severina, dopo Crotone, erano i due centri più importanti dell’epoca e, quindi, offrivano più possibilità economiche rispetto a Isola C. R..

Non sappiamo però con precisione quando si stabilirono a Belcastro, che fu  - secondo il Fiore -  uno dei primi centri calabresi dove essi si stanziarono.

Comunque, un’ondata massiccia di immigrati ebrei in Calabria si verificò con l’avvento al Regno di Sicilia dell’imperatore Enrico VI di Svevia (1191)[4], padre di Federico II, e di questa immigrazione ne riferisce anche il Fiore che così scrive: “vennero quelli [gli ebrei] la prima volta circa il mille e duecento[5], ed abitarono Corogliano, da dove poi allargati si stabilirono in Cosenza, Belcastro, Taverna Montana[6], Simmari, Tropea, Crotone, Squillace, Reggio; singolarmente in Catanzaro et in sì gran numero che bastarono a popolare contrade intiere”[7].

Era usuale che, in un centro abitato, il quartiere degli ebrei fosse separato dagli altri e, generalmente, sorgesse proprio vicino a quello dei “greci” che ormai costituivano una minoranza, come il caso di Santa Severina. Perciò, il quartiere ebreo di Belcastro doveva essere vicino la via Grecìa o, meglio ancora, attiguo ad essa.

Non siamo in grado, però, di localizzare la chiesa di s. Cataldo che nell’Elenco del Fragale è anche detta “ex sinagoga degli ebrei”. Nulla ci vieta però di ipotizzare una sua ubicazione, tenendo ovviamente presente alcuni particolari fondati sulla struttura edilizia del paese. Sappiamo che la chiesa della Madonna greca era quasi al centro della via Grecìa, la quale non si estendeva in tutta la sua attuale lunghezza[8], ma i suoi limiti erano determinati a nord dall’asperità rocciosa del colle sul quale sorgeva l’abbazia di s. Michele e a sud pressappoco dove attualmente la strada si incrocia con il vicolo di via Murate che immette verso la vecchia abitazione di Aurelia Brescia. Il quartiere giudaico, quindi doveva occupare necessariamente lo spazio che va da questo vicolo all’inizio della via Murate, cioè vicino la casa dei Moraca. Conseguentemente la sua sinagoga doveva trovarsi entro tale limite.

Come i “greci”, anche gli ebrei, riuniti nel loro “ghetto”, costituivano una comunità a parte, regolata da propri ordinamenti che rispecchiavano le loro tradizioni e, quindi diverse da quelli cristiani, come l’osservanza del sabato,  la celebrazione della Pasqua in maniera diversa da quella cattolica, una istruzione propria, spesso impartita nella sinagoga.

Questa diversità e separazione delle due comunità da quella locale non deve far pensare che sia i greci sia gli ebrei fossero dei segregati, ma godevano di attività preminenti sia in campo economico sia in quello commerciale e anzi furono anche favoriti dalle case regnanti, malgrado l’istintiva ostilità dei Cristiani che di tanto in tanto si verificava con atti di violenza, originata più che da motivi religiosi da quelli economici per via dell’esosa pratica dell’usura o del monopolio delle industrie più redditizie che essi detenevano, come la produzione e il commercio della seta, della carta, la pratica della tintoria, e così via.

Gli ebrei dimorarono a Belcastro per lungo tempo, tanto che la Taxatio o Cedula subventionis del 1276 riporta anche la comunità ebraica di Belcastro[9].

Nel 1510 gli ebrei furono espulsi da tutte le parti del Regno, quindi anche da Belcastro, e dobbiamo supporre che la sinagoga fu trasformata in chiesa dedicata a s. Cataldo, come risulta nell’Elenco del Fragale”.

Ma la chiesa non dovette avere vita lunga perché il suo nome non figura in nessuna relazione vescovile, per cui dobbiamo supporne la sua chiusura al culto e l’utilizzazione come abitazione civile o demolita per fare posto ad altre costruzioni.

 


  

[3] Quasi sempre ai vocaboli Grecìa e Iudecca è stato dato il significato di quartiere degli ebrei; però, la contemporaneità a Santa Severina e a Catanzaro dei rioni Grecìa e Iudecca indica chiaramente due zone nettamente separate: probabilmente con il termine Grecìa veniva indicata la zona abitata dagli ultimi o dai discendenti bizantini, mentre con il termine Iudecca si intendeva il rione abitato dai Iudei o Ebrei.

 [5] Si è visto, però, che l’immigrazione della quale parla il Fiore non fu la prima.

 [8] Sarebbe stato un rione molto grande per la popolazione di allora e quindi non avrebbe costituito una minoranza abitativa.

[9] La taxatio elenca le principali comunità giudaiche presenti nella Calabria, fra cui anche Belcastro.

8 gennaio 2004

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