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di Raffaele Piccolo

CRONOSTASSI DEI VESCOVI DELL’EX DIOCESI DI BELCASTRO
 

La chiesa bizantina, persa la metropolia di Siracusa (878) a seguito della conquista musulmana, per bilanciare il numero dei suoi vescovi con quelli romani1 innalzò la metropolia di Santa Severina, dalla quale dipendevano le sue diocesi che erano Umbriatico, Cerenzia, Isola, Belcastro, San Leone (distrutta dai musulmani di Calabria intorno al secolo X), Gallipoli di Puglia2 ed in seguito Strongoli.

La diocesi vescovile di Belcastro (allora Paleocatro) fu eretta, quindi, intorno all’880.

Con la conquista normanna della Calabria (1060), la religione di rito latino sopravanzò quella di rito greco, ma c’è da aggiungere che nelle nostre contrade, oltre al perdurare della parlata greca, anche il rito bizantino continuò a persistere, tanto che il Fiore riferisce che fino al secolo XVI a Belcastro permanevano ancora, anche se in minima parte, chiese di rito greco3.

Bisogna premettere che nella diocesi di Belcastro - come in quasi tutte quelle del Meridione d’Italia ed in particolare della Calabria dove il “sistema” feudale si conservò più a lungo fin quasi la sua eversione - il potere ecclesiastico e quello civile spesso entravano in contrasto sia per controversie sociali sia soprattutto per quelle economiche, quest’ultime rappresentate per lo più da entrate derivanti dall’agricoltura e dai terreni a pascolo.

I vescovi delle piccole diocesi calabresi, dopo averne preso possesso, spesso non dimoravano in esse ma ne affidavano la conduzione al decano e al capitolo della cattedrale, composto in gran parte da preti locali i quali, per non inimicarsi il feudatario del luogo, conducevano la gestione della mensa vescovile in maniera blanda, lasciando al feudatario la possibilità di appropriarsi di beni e terreni ecclesiastici. La rivendicazione di questi beni da parte di qualche vescovo dava luogo alle controversie tra la mensa vescovile e quella civile.

Comunque, il primo vescovo di Belcastro del quale si ha notizia è il beato POLICRONIO, vissuto nella prima metà dell’anno Mille, che fu un monaco greco di grandi virtù e di riconosciuta autorità. Consacrò sacerdote il beato Luca, monaco di Simeri, discepolo di s. Bartolomeo e, poi, settimo egumeno dell’abbazia di Grottaferrata (1060-1070). Policronio fu molto caro a Ruggero I d’Altavilla e a suo figlio Ruggero II. Infatti, il vescovo, trasferitosi all’episcopio di Cerenzia, con il consenso di Costantino, arcivescovo di Santaseverina, fondò nel 1099 il convento di s. Maria d’Altilia che i due sovrani d’Altavilla dotarono di molte donazioni. Non abbiamo notizie degli altri vescovi che seguirono a Policronio fino al 1112. In quest’anno riscontriamo il vescovo POLICRETO o Policleto, anche’esso di origine greca. Fu il vescovo che concesse l’erezione del capitolo diocesano nel 1112. Nel 1121, fu accanto al papa Callisto II, nel suo viaggio in Calabria nel tentativo di pacificare il duca Guglielmo d’Altavilla con il conte di Sicilia Ruggero II; fu anche presente, il 28 settembre dello stesso anno, alla consacrazione della cattedrale di Catanzaro e, nel gennaio seguente, al sinodo di Crotone presenziato da Callisto II che si era ancora trattenuto nella regione. Non sappiamo quando cessò il suo presulato e i nomi dei vescovi che lo seguirono. Nel 1215 riscontriamo vescovo di Belcastro BERNARDO che fu certamente di origine latina. Nel marzo 1215 acquistò, per conto dell’abate Giovanni, priore della Sambucina, alcune terre nelle pertinenze di Bisignano, di proprietà di Gaytigrima Criti, sposatasi a Belcastro. Nell’anno 1222 partecipò alla consacrazione del nuovo duomo di Cosenza fatta dal cardinale Niccolò Chiaromonte, Vescovo di Tuscolo e Delegato Apostolico. Alla cerimonia era presente l’imperatore Federico II di Svevia. Personaggio di grande considerazione, fu spesso incaricato dal papa Onorio III di risolvere questioni ecclesiastiche riguardanti la Calabria4. È probabile, dati i suoi rapporti con Onorio III, che sia stato lui ad ottenere la delega per battezzare S. Tommaso. Nel 1235 troviamo come vescovo MARCO il quale, il 6 luglio 1235 compare come testimone in uno scritto di oblazione e transazione “pro anima”, redatto dal notaio Giovanni a favore del monastero di S. Angelo del Frigillo di Mesoraca. Non sappiamo quando morì ne chi gli succedette al seggio vescovile. Nel 1283 abbiamo il vescovo GIOVANNI del quale non abbiamo altre notizie. Si riscontra, poi, GREGORIO (1333-1348) che prima della nomina a vescovo era stato consigliere del re Roberto d’Angiò. Dopo un anno di vacanza, retta probabilmente dal decano Filippo Vaccarino, salì al soglio episcopale NICOLA (1349-1355) proveniente dalla chiesa di Bitonto (BA), del quale conosciamo soltanto l’anno della sua morte. Dopo di lui venne VENTURINO (1348-1370) della chiesa di Agropoli (SA). Gli subentrò Giovanni (1370-1399), proveniente dalla chiesa di Lacedonia in provincia di Benevento. Seguì nello stesso anno, proveniente da Bitonto, RICCARDO DI OLIBANO (attuale Olevano su Tusciano, in provincia di Salerno) che rimase a Belcastro fino ai primi del 1403 per poi essere elevato ad arcivescovo di Matera, dove rimase per altri tre anni. A Riccardo de Olibano successe LUCA (1403-1414), proveniente dalla chiesa di Policastro Bussentino in provincia di Salerno. Dal 1414 al 1415 il seggio rimase vacante e fu retto dal decano Simeone Grandello. Seguirono lo squillacese ROBERTO (1416-1417) e, poi, GIOVANNI OPIZZO (1418) dei visconti di Fucecchio (FI) e proveniente dalla chiesa di Santa Severina, del quale non conosciamo la fine del suo episcopato e chi gli successe. Nel 1474, rinveniamo il domenicano RAIMONDO DE POMO senza conoscerne, però, la durata del suo presulato. Nel 1512 troviamo il nobile spagnolo HINIGO D’AVALOS, verosimilmente parente della contessa di Belcastro Costanza d’Avalos d’Aquino nonché appartenente ad una delle casate più illustri ed influenti del regno. Questo vescovo tenne la diocesi di Belcastro fino al 1517. Gli successe il nobile tavernese RAIMONDO POERIO5, dell’Ordine dei Frati Predicatori ed anche valente zoologo. Restò alla guida del seggio belcastrese un solo anno, dopo il quale rinunciò in favore del nipote LEONARDO LEVATO 6 (1419-1533) che prima della sua elezione era stato decano del capitolo della cattedrale. Molto versato nelle discipline teologiche, era stato consacrato vescovo il 23 agosto 1518 e prese possesso del seggio il 2 marzo dell’anno successivo, ma fu subito contrastato da Alvise d’Aquino, conte di Castiglione e parente di Costanza d’Avalos. Il conte, che aveva il feudo in fitto, entrò subito in urto con il nuovo vescovo per aver usurpato diversi terreni della mensa vescovile ed inoltre perseguitava con ogni mezzo il prelato il quale, per evitare i soprusi del conte, decise di trasferirsi in un convento a Roma. Pacificatosi dopo qualche con Alvise d’Aquino, ritornò al seggio vescovile che resse saggiamente fino al 1533, anno in cui morì compianto da tutti. Sotto il suo presulato (1532) si verificò un terremoto o un incendio7 che danneggiò molto la cattedrale, tanto che il Russo riporta che la chiesa era “penitus collapsa” (internamente danneggiata). Dal 1533 al 1542 seguì una lunga vacanza che probabilmente fu dovuta all’impraticabilità dell’edificio. Il periodo della vacanza fu retto, in ordine di tempo, dai decani don Matteo Tranfo, don Tommaso Careri, don Giovanni Lenzo e don Andrea de Bobus. Poi, fu eletto il frate domenicano romano GIACOMO GIACOMELLI (5 maggio 1542-dicembre 1542) che fino allora era stato canonico di s. Apollinare in Roma. Laureatosi in medicina, nel 1523 era stato eletto medico del conclave durante il quale fu eletto papa Clemente VII. Fu, inoltre, lettore di Teologia e scrittore di diversi saggi teologici, fra cui il De justitia Christi. Su incarico papale, fu anche uno degli organizzatori per l’accoglienza dei prelati al concilio di Trento (1545-1547) del quale fu anche eletto commissario, rivestendo una parte importante dell’evento. Durante la pausa del concilio, nel dicembre 1542, si dimise dal seggio vescovile per meglio adempiere agli incarichi vaticani8. Seguirono quasi dieci anni di vacanza, durante i quali si alternarono i decani della cattedrale dei quali abbiamo soltanto il nome di Andrea de Bobus. Fu nominato vescovo di Belcastro CESARE GIACOMELLI (1 aprile 1553- 1577), nipote dell’ex vescovo Giacomo. Prima della sua nomina era stato canonico di s. Maria Maggiore in Roma e consacrato vescovo il 23 gennaio 1553. Cultore delle lettere fu docente di Filosofia all’università La Sapienza di Roma, dove insegnò Teologia a s. Filippo Neri. Prese anch’egli parte al concilio di Trento e, al pari di suo zio, fu uno dei protagonisti. Si dimise da seggio belcastrese nei primi mesi 1577 e subito dopo gli successe il catanzarese GIOVAN ANTONIO DE PAOLA (10 maggio 1577-1591) di Catanzaro, nato intorno al 1545. Avanzato negli anni, cercò senza riuscirvi di essere trasferito nella sua città natale, come dimostra una lettera del 4 dicembre del 1581 scritta dal sindaco della città al cardinale Sirleto a Roma9. Nello stesso anno gli successe ORAZIO SCHIPANI (1591-1595) di Taverna. Il nuovo vescovo apparteneva ad una delle più ragguardevoli e titolate famiglie di Taverna10. Prima della sua elezione a vescovo, era stato chierico nella chiesa cattedrale di Catanzaro, a seguito della morte di Ferrante Faragò. Poi divenne segretario personale di Gian Antonio Facchinetti vescovo di Nicastro11, eletto papa col nome di Innocenzo IX il 29 ottobre 1591. Il nuovo papa nominò subito lo Schipani suo familiare e vescovo di Belcastro e, sicuramente, gli avrebbe dato la porpora cardinalizia se non fosse sopraggiunta improvvisamente la morte di Innocenzo IX, appena due mesi dopo la sua elezione (30 dicembre 1591). Orazio Schipani, anziché restare alla “Corte” di Roma, preferì assolvere il proprio apostolato recandosi a Belcastro. Il 4 aprile 1592, assieme all’arcivescovo di Cosenza e al vescovo di Nicastro, partecipò alla consacrazione di Francesco Monaco, vescovo di Martirano. Da Roma monsignor Schipani aveva portato alcune reliquie, provenienti dalla basilica di vaticana e consegnategli a Roma dal duca di Mantova Vincenzo I Gonzaga, su mandato del cardinale di s. Maria in Cosmedin, Ascanio Colonna12. Ma appena 4 anni dopo la sua nomina a vescovo di Belcastro, morì a causa della sua salute cagionevole e fu sepolto alla destra dell’altare maggiore della cattedrale. Fu lodato da tutti per virtù e sapere. Dopo qualche anno suo cugino Mario Schipani, famoso protomedico del tempo ed erudito13, ne traslò la salma a Napoli, presso la Chiesa degli Agostiniani Scalzi, nella cappella di famiglia da lui eretta sotto il titolo di San Francesco di Paola, dedicandogli questa lapide: D.O.M. HORATIO SCHIPANO BELLICASTRENSI EPISCOPO IOANNI ANTONIO FACCHINETTO SANCTORUM QUA TUOR CARDINALI A SECRETIS VIRO IN AMICO OFFICIOSISSIMO MORUM SUAVITATE ET IN REBUS AGENDIS SUMMA DEXTERITATE CONSPICUO OMNIBUS ROMANAE AULAE PRINCIPIBUS APPRIME CHARO ET QUOD MAGIS MIRERE SINGULARI ANIMI MODERATIONE ET IN [D.O.M. (a Dio Ottimo Massimo). Ad Orazio Schipano vescovo di Belcastro, caro a Giovanni Antonio Facchinetto, cardinale a secretis dei Quattro Santi affettuosissimo verso gli amici e a tutti i Principi della Chiesa, insigne per dolcezza di costumi ed abilità nelle incombenze, e cosa più mirabile di singolare moderazione d’animo e capacità di sopportare le avversità, che si sarebbe detto entro sessanta giorni elevato al massimo pontificato, e come rapito in alto dal suolo già lo vide, ma non ritenendo di dover restare più a lungo nella incertezze della Corte (ndr. Papale), la abbandonò per reggere la Chiesa che gli era stata assegnata e lì serenamente chiuse la sua vita. Mario Schipano pose all’ottimo cugino]. Ad Orazio Schipani seguì mons. ALESSANDRO PAPATODARO (1495- 1597) di Francavilla, in provincia di Brindisi14. Nato intorno al 1560, fu dotto teologo e valente predicatore. All’inizio del suo presulato furono trovati nell’archivio vescovile di Belcastro alcuni antichi documenti comprovanti la nascita di s. Tommaso d’Aquino a Belcastro che, agli inizi del Novecento, diedero vita all’accesa disputa fra Roccasecca e la cittadina calabrese per i natali del santo. Dopo quasi un anno di vacanza retta dal decano della cattedrale Vincenzo Sammarco, fu eletto vescovo GIOVAN FRANCESCO BURGARDO15 (1598), proveniente dalla chiesa di L’Aquila il quale, dopo neanche un anno lasciò Belcastro per altra sede. Seguì un altro anno di vacanza del seggio vescovile, retta ancora dal decano Vincenzo Sammarco, dopo il quale fu eletto vescovo mons. ANTONIO LAURO (13 settembre 1598-19 febbraio 1608), appartenente ad una delle famiglie gentilizie di Tropea che annoverava diversi religiosi. L’anno seguente gli successe lo spagnolo PIETRO MATTEO DE MATTA E HARO (1610-28 febbraio 1611) proveniente dalla chiesa di Salamina dove era stato chierico regolare teatino e che, dopo appena un anno, fu trasferito alla diocesi di Capaccio. Nello stesso anno seguì il napoletano GREGORIO DE SANCTIS (1611-1612), già vescovo di Salamina, dopo il quale venne il salernitano FULVIO TESORIERE (1612-1616). Gli successe il frate cappuccino GERONIMO RICCIULLI (1617-1626) di Rogliano il quale, il 7 settembre 1623, consacrò la chiesa del convento dei cappuccini di Catanzaro sotto il titolo di s. Maria degli Angeli. Fu gran lettore di canoni a Roma e nelle Accademie della capitale. Divenuto anche vescovo emerito, sia per la sua competenza giuridica16 sia per la sua giovane età incominciò a rivendicare alcune usurpazioni terriere che i feudatari avevano compiuto fino allora per la lunga assenza dei vescovi precedenti da Belcastro. Nominato arcivescovo di Cosenza nel 1626 lasciò il vescovado di Belcastro per prendere possesso dell’arcidiocesi cosentina. Il capitolo belcastrese, per le sue benemerenze, gli eresse una lapide di gratitudine. Infatti, dalle sue Relationes, apprendiamo che anche con proprie spese restaurò le pareti, il tetto, il pavimento e la scalinata di accesso alla cattedrale. Fece inoltre costruire il coro ligneo, il sacello di s. Michele e dotò la chiesa di suppellettili. Gli subentrò il nipote ANTONIO RICCIULLI (1626-1632) il quale era molto versato nelle discipline giuridiche. Infatti, prima di essere nominato vescovo era stato priore del convento di s. Domenico e professore di diritto canonico e diritto civile presso l’università La Sapienza di Roma. Per le sue capacità, fu anche vice gerente di Roma quando era ancora abbastanza giovane. Fra le sue opere, riportiamo: Tractatus de jure personarum extra Ecclesiae gremium exstentium (Roma, 1622), opera molto citata dai suoi contemporanei e dai posteri; Tractatus de personae quae in statu reprobu versantur (Mollo, Napoli 1641); Synodus diocesano ab Antonio Ricciullo, archiepiscopo cosentino celebrata anno Domini 1642 (Neapoli, typis Camilli Cavalli, 1642); Locubrationum Ecclesiasticorum libri sex (Cavallo, Napoli 1643); De jure personarum extra Ecclesiae gremium existentium (Moscardi, Roma 1651). Lasciò nel 1632 la diocesi di Belcastro per trasferirsi a quelle di Umbriatico e Caserta (1639) e poi ancora, nel 1642, a Cosenza come arcivescovo17. Ad Antonio Ricciulli successe il messinese FILIPPO CURIO CRINÒ (1632-1633) che dimorò nella diocesi belcastrese appena un anno. Lo seguì il beneventino BARTOLOMEO GIZIO (1634-1636), molto afferrato nella teologia morale, per la quale scrisse De casibus riservatis. In una sua relazione18 si lamentava che la cattedrale, a causa dei grandi massi caduti durante i terremoti del 1626 e 1632 e delle macerie delle case, era impraticabile19; inoltre, aprì un contenzioso con la mensa vescovile di Catanzaro che pretendeva il pagamento di alcune decime non dovute e con il barone catanzarese Cesare Marincola che si dimostrava restio a pagare le decime sul terreno di Magliacane. Nel 1636 fu trasferito a Volturara Irpina in provincia di Avellino. Dal 1636 al 1639 a Belcastro non furono nominati vescovi e questa vacanza fu retta dal decano Filippo Vaccaro20. Nel 1639 fu nominato il palermitano FRANCESCO DE NAPOLI (1639-1652), frate teatino. Sotto il suo presulato imperversò il terremoto del 1645 che distrusse quasi per intero il paese e causando molte vittime. Per i danni subiti, fu costretto a chiudere al culto la cattedrale, come riferirà in una relazione il vescovo Carlo Gargano21. Monsignor De Napoli fece ricostruire la volta del coro, crollato quasi completamente durante il terremoto del 1645, lo dotò di statue e rosoni alle pareti ed aprì nella parete di fondo una grande finestra per dare più luce alla cattedrale22. Dopo un anno di vacanza, retta dal decano Giovan Battista Priamo, il vaticano nominò vescovo di Belcastro CARLO SCOMBRINO (1654-1672) di Airola, in provincia di Benevento. Prima di essere nominato vescovo era lettore a La Sapienza e, dopo quasi vent’anni di presulato, fu trasferito a Catanzaro. Sotto la sua reggenza, a Belcastro si verificarono eventi disastrosi, come le “male annate penuriose”, che perpetuavano gli effetti del terremoto del 1648 e le pestilenze del 1656 e 1659. Seguì CARLO GARGANO (1672-1681) di Bagnoli che tenne la diocesi per nove anni. Durante il suo vescovato, Belcastro subì nuovamente l’infuriare della peste (1673) che decimò la popolazione23. Anch’egli entrò in urto con la curia civile in quanto il duca Carlo I Caracciolo ed il fratellastro Domenico, fittavolo del feudo, gli impedivano “la coltura dei Beni della Mensa con ordinare ai suoi vassalli che non si servono, non ha mancato macchinare alla vita dell’oratore, contro cui ha concepito odio implacabile per l’immunità e difesa della sua chiesa et ecclesiastici, dei quali si ha per forza presi i frutti dei loro beni in danaro tale che si sono ridotti a scorno del loro carattere andare mendicando”24. Dopo un anno di vacanza, retta dal decano Domenico de Diano25, fu nominato BENEDETTO BARTOLO (1683-1688) di Vizzini, in provincia di Siracusa e trasferito poi alla diocesi di Lacedonia. A Benedetto Bartolo successe il 14 luglio 1688 GIOVAN ALFONSO PETRUCCI (14 luglio 1688- dicembre 1688) di Cutro che tenne il seggio per circa sei mesi e, nello stesso anno, gli successe GIOVANNI EMBLAVITI (dicembre 1688-1723) di Bova, in provincia di Reggio. Morì con fama di dotto e pio prelato. Durante il suo vescovato entrò in urto con il duca Fabio Caracciolo perché questi aveva abusato dei “baronaria onera”, contro i quali il prelato incominciò una vera e propria battaglia per il recupero dei diritti ecclesiastici26. Inoltre, secondo una relazione del successore Michelangelo Gentile27, con i fondi del Monte di Pietà, istituito da Rinaldo de Amone nel secolo precedente, completò il restauro del seminario e del palazzo vescovile, ancora in rovina dal terremoto del 1648 e fece costruire una nuova strada28 che conduceva alla cattedrale, poiché la via Grecia era ancora completamente ostruita dai grandi massi del castello e dalle macerie delle case che costringevano i fedeli ad un transito pericoloso. Inoltre, dalla chiesa di s. Maria della Sanità, anch’essa in stato di abbandono per i danni subiti, fece trasportare il grande quadro della Vergine Maria collocandolo sull’altare maggiore. Morì nel 1723 e nello stesso anno fu nominato il beneventino MICHELANGELO GENTILE (1723-1729) il quale, anch’egli, venne in urto con il barone Alfonso Poerio per la “mala administratione Procuratorum”29. Ma venne in urto anche sia con il capitolo della cattedrale sia con i frati cappuccini del convento di s. Francesco, tanto che si rese necessario un arbitrato del vescovo di Oppido, monsignore Perrimezzi, il quale per appianare le due questioni impiegò ben trenta giorni30. Nonostante il contrasto con il feudatario e le incomprensioni con il clero, con i pochi fondi rimasti nel “Mons Puellarum”, ricostruì la cappella del coro e il campanile della cattedrale. Gli successe GIOVANNI BATTISTA CAPUANI (1730-1751) di Vallata, in provincia di Taranto. Questo vescovo cercò di recuperare alcuni beni della mensa vescovile, osteggiato ancora dal barone Alfonso Poerio che spalleggiava una famiglia belcastrese della quale il vescovo aveva fatto arrestare, dalle guardie ecclesiastiche, un chierico, loro familiare. Per questo contrasto il vescovo lasciò la residenza di Belcastro e andò ad abitare in Andali, cosa che non piacque al clero belcastrese il quale, forse sentendosi abbandonato dal loro vescovo, solidarizzarono con la famiglia del chierico arrestato. Per risolvere la controversia fu incaricato prima il vescovo di Squillace monsignor Marco Antonio Annaffi e poi il suo successore Francesco Saverio Maria de Queralt y Aragon. Risolte le questioni il vescovo ritornò alla propria sede, dove morì nel 1751. Dopo un anno di vacanza, gli successe il salernitano GIACOBBE GUACCI (1752-1755) del quale non abbiamo notizie. Lo seguì TOMMASO FABIANI (14 marzo-1778) di S. Pietro a Madia, minore conventuale della chiesa di Mileto. Il Fabiani cercò di riparare i danni causati dal terremoto del 1738 che avevano ancora una volta arrecato gravi danni alla cattedrale. Ricostruì l’altare maggiore e alzò la volta della cappella, oltre a restaurare nuovamente il coro. Dal 1778 il seggio rimase vacante fino al 1785 e questa lunga vacanza fu retta dal decano Bruno Cirillo, proveniente dalla chiesa di Taverna. Nel corso del 1785 fu nominato FRANCESCO GANINI (1785-1792) di Gioia Tauro il quale presenziò poche volte a Belcastro, sia per gli avvenimenti calamitosi del tempo e la precarietà della chiesa sia anche per la sua scarsa propensione a recarsi a Belcastro. Nel 1972, fu sostituito dal crotonese VINCENZO GRECO (1792-1805) il quale, preso possesso della sede, seguì personalmente l’andamento dei lavori della cattedrale che per molti anni si erano protratti per lungaggini burocratici e scarso impegno delle autorità preposte e finalmente furono portati a termine. Inoltre, l’illuminazione della navata centrale fu migliorata con l’apertura di altre due finestre nelle due pareti in alto, le cabriate del tetto furono coperte da un soffitto ligneo sul quale fu dipinta la vita di s. Tommaso d'Aquino, fu eretto un nuovo altare maggiore, rifinita la cappella del ss. Sacramento, restaurati gli stalli lignei ed eseguite tutte le altre piccole riparazioni atte a rendere pienamente fruibile al culto l’edificio. Ed anche monsignor Greco entrò in urto con il barone Vincenzo Poerio il quale, avendo preso in fitto dalla mensa vescovile alcuni terreni, non intendeva pagarne il canone di locazione. Il prelato lo citò in giudizio ed il barone fu costretto ad assolvere ai suoi debiti31. Alla rinuncia di monsignor Greco seguì una lunga vacanza, retta dal decano della cattedrale Giuseppe Fragale e che si protrasse fino al 1811. Nel 1812 fu nominato Giovan Francesco di Alessandria il quale rimase fino al 1816. In attesta della riforma ecclesiastica, che avrebbe dovuto provvedere anche all’abolizione dei piccoli vescovadi32, la diocesi fu affidata nuovamente al decano Giuseppe Fragale. Con l’entrata in vigore del Concordato, la diocesi di Belcastro, assieme alle altre suffraganee, fu abolita e inglobata nell’arcidiocesi di Santa Severina.

 

1 Il patriarcato di Costantinopoli, forte della potenza dell’impero bizantino di fronte all’impotenza degli Stati della penisola italiana, faceva di tutto per fare eleggere al soglio pontificio un papa di nazionalità greca anziché uno di provenienza occidentale. Conseguentemente, il numero delle diocesi e quindi dei vescovi era di fondamentale importanza per l’elezione dei papi. La chiesa bizantina, al fine di far fronte alla perdita delle diocesi siciliane, creò la metropolia di Santa Severina.

2 Gallipoli, in provincia di Taranto, era la diocesi di rito greco più vicina alla metropolia greca di Santa Severina perché tutta la puglia, eccetto il Salento, avevano abbracciato il rito latino. Per una più dettagliata storia della diocesi di Belcastro vai a I nomi di Belcastro attraverso il suo seggio vescovile.

3 La metropolia di Santa Severina e le sue diocesi passarono al rito latino, secondo alcuni, nel 1214 e, secondo altri, soltanto nel 1269. Per una conoscenza più approfondita sulle chiese di Belcastro, vedi Chiese e conventi a Belcastro.

4 J. L. A. Huillard-Breholles, Historia Diplomatica Federici Secundi, Paris 1852-1861, vol. ii, p. 229 e D. Taccone Gallucci, Regesti dé Romani Pontefici delle Chiese di Calabria, Roma, mdccccii, p. 296.

5 Famiglia di origine normanna, già presente in Calabria nei primi anni del 1200. Possedette diversi feudi, fra cui la baronia di Belcastro ed il ramo più famoso fu quello di Napoli originato da Giuseppe Poerio. Vedi sul sito Le antiche famiglie gentilizie di Belcastro e Genealogie delle famiglie feudatarie.

6 Per le controversi fra mensa vescovile e civile, vedi su questo sito I contrasti tra curia vescovile e civile.

7 Il 12 marzo 1566 coadiuvò il cardinale Scipione Rebiba, patriarca di Costantinopoli, alla consacrazione cardinalizia dell’arcivescovo di Santa Severina Giulio Santoro.

8 Cfr. L. Calabretta, Le diocesi di Squillace e Catanzaro, Pellegrini editore, p. 131. Guglielmo Sirleto era nativo di Stilo. Durante il concilio di Trento, ne quale ebbe una parte preminente, divenne molto amico e collaboratore del cardinale Marcello Cervino, eletto poi papa col nome di Marcello II che lo mise a capo della Biblioteca Apostolica Vaticana. Prese il cappello cardinalizio il 12 marzo 1565.

9 Oltre a godere del titolo di barone della Leporina, territorio marino tra i comuni di Sellia e Cropani, questa famiglia ricoprì importanti cariche governative sin dal primo periodo aragonese.

10 Il Facchinetti non fu eletto pontefice durante il suo episcopato nicastrese (26 gennaio 1560 – 23 settembre 1575), ma ben 16 anni dopo, durante i quali fu prima Consultore del Sant’Uffizio e poi Patriarca latino di Gerusalemme (1575), cardinale (1583) e Inquisitore (1585). Il fatto che dopo ben 16 anni nominò vescovo e suo familiare Orazio Schipani vuol dire che Innocenzo IX ne aveva apprezzato le qualità e lo tenne molto a cuore.

11 Diede alle stampe Le lettere di viaggio di Pielio della Valle e fu il protettore di Mattia Preti, durante il suo periodo napoletano, del quale era anche parente.

12 In altro luogo, errando, abbiamo scritto Francavilla di Oristano.

13 La vacanza del seggio fu retta dal decano Vincenzo Sammarco.

14 Un appartenente di questa famiglia era stato Maestro di Cerimonie delle Cappelle pontificie sotto i pontificati di Sisto IV (1471-1484) e Innocenzo VIII (1484-1492).

15 Era considerato “doctissimus juris consultus”.

16 ASV, SCC, Relationes ad limina, Belcastro, a. 1636.

17 Mentre nei tempi passati era “in media Urbe sita”, era divenuta a causa dei due terremoti “extra Civitate omnino”:cfr. ASV, SCC, Relationes ad limina, Belcastro, a. 1636.

18 F. VON LOBSTEIN, Settecento calabrese, Napoli, 1973, p. 556.

19 ASV, SCC, Relationes ad limina, Belcastro, a. 1673

20 ID., a. 1673: morirono circa trecento persone.

21 ASV, Nunziatura di Napoli, anno 1681, fasc. 93, f. 258.

22 F. VON LOBSTEIN, Settecento calabrese, Napoli, 1973, p. 557.

23 ASV, SCC, Relationes ad limina, Belcastro, a. 1695.

24 ID., a. 1727.

25 L’attuale via Vescovado.

26 ID., a. 1727.

27 ASCz, Regia Udienza, Causa civile tra il Procuratore della mensa vescovile della città di Belcastro e don Vincenzo Poerio dei baroni della medesima città, 1795.

28 Legge del 27 giugno 1818 che sanciva il Concordato tra lo Stato pontificio e il Regno delle due Sicilie, sottoscritto tra il Papa Pio VII e il re Ferdinando I, per l’abolizione dei vescovadi di piccola entità.

24 ottobre 2008

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