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di Raffaele Piccolo

LA CHIESA DI SS. MARIA DELL’ANNUNCIAZIONE, o DELL’ANNUNZIATA

 

Una targa posta tra i capitelli del secondo registro dell’ala destra dell’altare maggiore della chiesa reca la seguente scritta scolpita: de roblano faciebat an[no] mdcx.

Ciò significa che l’altare trionfale della chiesa fu scolpito nel 1610 dal mastro scalpellino Antonio da Rogliano. Del resto, i motivi architettonici di ciò che è rimasto dell’edificio, quale il grande rosone e i disegni scolpiti sull’arco esterno in pietra marmorea, risentono appunto dello stile secentesco. Per cui, tutto farebbe pensare che la costruzione della chiesa, iniziata ai primi del 1600, sia stata portata a termine nel 1610.

In effetti, non fu così.

Le prime notizie certe della chiesa della “divinae Mariae Annunciationis”, volgarmente detta anche dell’Annunziata, risalgono al 25 novembre 1603, quando il vescovo pro tempore Antonio Lauro (1599-1609) nella sua relazione vescovile, riferiva che “Civitas haec [Belcastro] habet duas Confraternitates laicorum, una sub vacabulo divinae Mariae Annunciationis, alteram sub vacabulo Pietatis”. Il prelato aggiungeva ancora che, annesso alla chiesa, vi era anche un ospizio per i pellegrini. Il vescovo Antonio Ricciullo (1626-1629), infine, nel suo rapporto del 3 dicembre 1627, aggiungeva che la chiesa era retta da un canonico prebendato. Inoltre, sia dalle relazioni vescovili sia dai registri notarili di Belcastro veniamo a conoscenza che la chiesa aveva diversi censi e, perfino un “Mons maritaggij” per le fanciulle indigenti. La messa veniva celebrata giornalmente, a differenza di altre chiese dove avveniva soltanto la domenica e negli altri giorni di festa.

Da queste prime scarne indicazioni possiamo dedurre che la chiesa dell’Annunziata  - dopo quella della cattedrale -  era la più importante della diocesi, sia per la grandezza del fabbricato sia per la sua consistenza economica.

La tradizione, però, riferisce che il luogo ove sorge l’edificio (o meglio i suoi resti) sia stato un “luogo sacro” e, molto verosimilmente, ciò potrebbe corrispondere al vero, dal momento che a poca distanza (rione Blasco) si trovano anche i ruderi del convento di s. Francesco e, dalla parte opposta, il cimitero, ambedue luoghi di venerazione.

La concentrazione di queste tre strutture in una zona più o meno ristretta avvalorerebbe la tesi della preesistenza  del “luogo sacro”, probabilmente databile ad epoche molto remote.

Ma, ritornando alla datazione della costruzione della chiesa, dobbiamo ribadire che essa non risale al 1610,  come si è creduto fino ad ora, ma ancor prima, se  - com’è vero -  nel 1603 la chiesa era una delle più importanti della diocesi. Quindi, dobbiamo pensare che nel primo decennio del secolo XVII la chiesa fu restaurata ed ampliata, o addirittura rifatta ex novo.

Detto ciò, cerchiamo adesso di poter stabilire la data della sua fondazione, o quanto meno scoprire notizie anteriori alla sua riedificazione.

Di una chiesa “sub titulo S. Annuntiate” si parla in una lettera che il papa Martino V (1417-1431) inviò il 5 settembre 1426 al vescovo di Belcastro Giovanni Opizzo, nella quale comunicava che Simonetta Colonna, nipote del papa e moglie del defunto conte di Belcastro Pietro Paolo de Anrdeis, aveva la facoltà di concedere la detta chiesa ai frati francescani dell’ordine dei minimi di Belcastro. È probabile che, poiché esistevano due conventi francescani  - l’uno nel rione Blasco e l’altro, ormai completamente scomparso, nella via Fornara -  quello cui era assegnata la donazione fosse appunto il convento del rione Blasco, vicinissimo alla chiesa dell’Annunziata.

Da questa lettera, perciò, veniamo a sapere anche la distinzione dei due conventi, giacchè nelle relazioni vescovili che, pur puntualmente li citano, non è mai indicata l’ubicazione esatta dei due conventi che, ripetiamo, uno era sotto la regola di s. Francesco d’Assise (Via Fornara) e l’altro sotto quella di s. Francesco di Paola (rione Blasco).

Ma la cosa importante è che, dalla lettera papale, si scopre che la chiesa dell’Annunziata esisteva già nel 1426. Del resto, l’alto campanile che sovrasta la chiesa indica chiaramente una costruzione quattrocentesca.

Ritornando a tempi più moderni, vale a dire al 1610, l’edificio era a tre navate con più altari laterali, come si può notare dall’unico pezzo di navata ancora superstite.

Come detto prima, la chiesa era retta da un canonico con prebenda ed aveva un reddito abbastanza sostenuto, se rapportato a quello delle altre sette chiese in funzione.

Da una relazione del vescovo Francesco de Napoli (1639-1652), datata 1 dicembre 1645, anno in cui i redditi decrebbero vertiginosamente per il verificarsi di un tremendo terremoto a Belcastro, le entrate della chiesa ammontavano a ducati annui 94, mentre il reddito medio delle altre sei chiese  - esclusa la cattedrale che produceva ovviamente quello maggiore (duc. 510) -  era di ducati 27.5. Tale differenza era dovuta anche alle operazioni finanziarie del “Mons maritaggij”, istituito da Giovan Battista d’Orso, fratello del più famoso Lucio, che operava anche nella compravendita di censi.

Oltre alle operazioni finanziarie del “Monte”, le entrate erano generalmente così distribuite nel corso dell’anno: duc.15 dalla prebenda canonicale, duc. 55 dalle offerte dei fedeli, duc. 15 da un jus patronatus, del quale ci sono rimaste i nomi delle due famiglie detentrici che lo ressero agli inizi del 1600: prima la famiglia Tacina e poi la Sammarco. Dopo la prima metà del 1600, sebbene l’economia del paese andasse sempre più decadendo per via delle molte calamità naturali, il patrimonio della chiesa dell’Annunziata si mantenne quasi sempre stabile. Infatti, una relazione del vescovo Carlo Sgombrino (1652-1671), datata 1659, ne denunciava un reddito di duc. 85, mentre le altre chiese accusavano vistosi cali economici. Questo buon andamento amministrativo era evidenziato anche dall’aumento dei patronati: mentre agli inizi del Seicento abbiamo visto esservi un unico patronato, nel 1659 vi erano quelli della famiglia Sammarco, sotto il titolo di s. Vincenzo, che rendeva duc. 30; quello della famiglia Tacina, dedicato alla ss. Visitazione, che produceva duc. 12; ed infine il patronato di s. Maria di Trapani che fruttava duc. 39.

Un fatto che desta molta curiosità è l’intitolazione di quest’ultimo patronato che, penso, sia stato l’unico della zona, giacchè questo tipo di dedicazione è assente in tutte le zone del circondario. Ciò perché, forse, proprio in quel periodo, alla diocesi di Belcastro si avvicendarono due vescovi della Sicilia, dove il culto della Madonna di Trapani è ancora oggi molto vivo: Francesco de Napoli di Palermo e Benedetto Bartolo di Vizzini (1683-1685), in provincia di Siracusa; uno dei due fu sicuramente il benefattore del patronato.

 La chiesa aveva anche una confraternita laica (congrega), detta appunto della ss. Annunziata, i cui fedeli vestivano nelle processioni un saio e un pileo bianco con la mozzetta di vario colore. Questa congrega aveva un reddito annuo di altri duc. 15.

Nel 1677 la confraternita laica, assieme a quella della Madonna della pietà, sopravviveva ancora, come riferiva il vescovo Carlo Gargano nella sua relazione di quell’anno; ma già nel 1692 il vescovo Giovanni Emblaviti (1688-1722), nel descrivere le chiese del paese, la citava soltanto; segno che, ormai, il fervore religioso ed amministrativo, che l’avevano contraddistinta nei secoli passati rispetto alle altre chiese di Belcastro, erano anch’essi decaduti assieme all’andamento socioeconomico generale del paese che, già dalla prima metà del 1600, aveva imboccato inesorabilmente la strada della decadenza.

L’incuria del tempo e, cosa più grave, la trascuratezza degli uomini hanno fatto di quel complesso chiesastico  - che per moltissime generazioni ha influenzato la vita del paese anche con le sue attività finanziarie -  un ammasso di rovine dalle quali si è mantenuto, quasi integro, il bell’altare trionfale che occupava un tempo l’abside della chiesa. Di questa chiesa si conservano ancora le belle statue marmoree dell’Angelo annunciatore, di S. Anna e di Dio padre – le prime due a grandezza naturale -, collocate oggi nella chiesa della Pietà.

Ma, ancora oggi, mentre il manufatto è oggetto di studio per la sua rarità, non si è ancora fatto nulla per salvare il salvabile, sì da poterlo rendere fruibile alle persone e, perché no, renderlo ancora utile al bene del paese! 

 18 novembre 2003

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