LA CHIESA DI SS. MARIA DELL’ANNUNCIAZIONE, o DELL’ANNUNZIATA
Una targa posta tra i capitelli del secondo registro
dell’ala destra dell’altare
maggiore della chiesa reca la seguente scritta scolpita:
de roblano faciebat an[no] mdcx.
Ciò significa che l’altare trionfale della chiesa fu
scolpito nel 1610 dal mastro scalpellino Antonio da Rogliano. Del resto, i
motivi architettonici di ciò che è rimasto dell’edificio, quale il grande
rosone e i disegni scolpiti sull’arco
esterno in pietra marmorea, risentono appunto dello stile secentesco. Per cui,
tutto farebbe pensare che la costruzione della chiesa, iniziata ai primi del
1600, sia stata portata a termine nel 1610.
In effetti, non fu così.
Le prime notizie certe della chiesa della “divinae Mariae
Annunciationis”, volgarmente detta anche dell’Annunziata,
risalgono al 25 novembre 1603, quando il vescovo pro tempore Antonio Lauro
(1599-1609) nella sua relazione
vescovile, riferiva che “Civitas haec [Belcastro] habet duas Confraternitates
laicorum, una sub vacabulo divinae Mariae Annunciationis, alteram sub vacabulo
Pietatis”. Il prelato aggiungeva ancora che, annesso alla chiesa, vi era anche
un ospizio per i pellegrini. Il vescovo Antonio Ricciullo (1626-1629), infine,
nel suo rapporto del 3 dicembre 1627, aggiungeva che la chiesa era retta da un
canonico prebendato. Inoltre, sia dalle relazioni vescovili sia dai registri
notarili di Belcastro veniamo a conoscenza che la chiesa aveva diversi censi e,
perfino un “Mons maritaggij” per le fanciulle indigenti. La messa veniva
celebrata giornalmente, a differenza di altre chiese dove avveniva soltanto la
domenica e negli altri giorni di festa.
Da queste prime scarne indicazioni possiamo dedurre che la
chiesa dell’Annunziata - dopo quella della cattedrale - era
la più importante della diocesi, sia per la grandezza del fabbricato sia per la
sua consistenza economica.
La tradizione, però, riferisce che il luogo ove sorge
l’edificio (o meglio i suoi resti) sia stato un “luogo sacro” e, molto
verosimilmente, ciò potrebbe corrispondere al vero, dal momento che a poca
distanza (rione Blasco) si trovano anche i ruderi del convento di s. Francesco
e, dalla parte opposta, il cimitero, ambedue luoghi di venerazione.
La concentrazione di queste tre strutture in una zona più o
meno ristretta avvalorerebbe la tesi della preesistenza del “luogo sacro”,
probabilmente databile ad epoche molto remote.
Ma, ritornando alla datazione della costruzione della
chiesa, dobbiamo ribadire che essa non risale al 1610, come si è creduto
fino ad ora, ma ancor prima, se - com’è vero - nel 1603 la chiesa
era una delle più importanti della diocesi. Quindi, dobbiamo pensare che nel
primo decennio del secolo XVII la chiesa fu restaurata ed ampliata, o
addirittura rifatta ex novo.
Detto ciò, cerchiamo adesso di poter stabilire la data
della sua fondazione, o quanto meno scoprire notizie anteriori alla sua
riedificazione.
Di una chiesa “sub titulo S. Annuntiate” si parla in una
lettera che il papa Martino V (1417-1431) inviò il 5 settembre 1426 al vescovo
di Belcastro Giovanni Opizzo, nella quale comunicava che Simonetta Colonna,
nipote del papa e moglie del defunto conte di Belcastro Pietro Paolo de Anrdeis,
aveva la facoltà di concedere la detta chiesa ai frati francescani dell’ordine
dei minimi di Belcastro. È probabile che, poiché esistevano due conventi
francescani - l’uno nel rione Blasco e l’altro, ormai completamente
scomparso, nella via Fornara - quello cui era assegnata la donazione fosse
appunto il convento del rione Blasco, vicinissimo alla chiesa dell’Annunziata.
Da questa lettera, perciò, veniamo a sapere anche la
distinzione dei due conventi, giacchè nelle relazioni vescovili che, pur
puntualmente li citano, non è mai indicata l’ubicazione esatta dei due conventi
che, ripetiamo, uno era sotto la regola di s. Francesco d’Assise (Via Fornara) e
l’altro sotto quella di s. Francesco di Paola (rione Blasco).
Ma la cosa importante è che, dalla lettera papale, si
scopre che la chiesa dell’Annunziata esisteva già nel 1426. Del resto,
l’alto
campanile che sovrasta la chiesa indica chiaramente una costruzione
quattrocentesca.
Ritornando a tempi più moderni, vale a dire al 1610,
l’edificio era a tre navate con più altari laterali, come si può notare
dall’unico pezzo di navata ancora superstite.
Come detto prima, la chiesa
era retta da un canonico con prebenda ed aveva un reddito abbastanza sostenuto,
se rapportato a quello delle altre sette chiese in funzione.
Da una relazione del vescovo Francesco de Napoli
(1639-1652), datata 1 dicembre 1645, anno in cui i redditi decrebbero
vertiginosamente per il verificarsi di un tremendo terremoto a Belcastro, le
entrate della chiesa ammontavano a ducati annui 94, mentre il reddito medio
delle altre sei chiese - esclusa la cattedrale che produceva ovviamente
quello maggiore (duc. 510) - era di ducati 27.5. Tale differenza era
dovuta anche alle operazioni finanziarie del “Mons maritaggij”, istituito da
Giovan Battista d’Orso, fratello del più famoso Lucio, che operava anche nella
compravendita di censi.
Oltre alle operazioni finanziarie del “Monte”, le entrate
erano generalmente così distribuite nel corso dell’anno: duc.15 dalla prebenda
canonicale, duc. 55 dalle offerte dei fedeli, duc. 15 da un jus patronatus,
del quale ci sono rimaste i nomi delle due famiglie detentrici che lo ressero
agli inizi del 1600: prima la famiglia Tacina e poi la Sammarco. Dopo la prima
metà del 1600, sebbene l’economia del paese andasse sempre più decadendo per via
delle molte calamità naturali, il patrimonio della chiesa dell’Annunziata
si mantenne quasi sempre stabile. Infatti, una relazione del vescovo Carlo
Sgombrino (1652-1671), datata 1659, ne denunciava un reddito di duc. 85, mentre
le altre chiese accusavano vistosi cali economici. Questo buon andamento
amministrativo era evidenziato anche dall’aumento dei patronati: mentre agli
inizi del Seicento abbiamo visto esservi un unico patronato, nel 1659 vi erano
quelli della famiglia Sammarco, sotto il titolo di s. Vincenzo, che rendeva duc.
30; quello della famiglia Tacina, dedicato alla ss. Visitazione, che produceva
duc. 12; ed infine il patronato di s. Maria di Trapani che fruttava duc. 39.
Un fatto che desta molta curiosità è l’intitolazione di
quest’ultimo patronato che, penso, sia stato l’unico della zona, giacchè questo
tipo di dedicazione è assente in tutte le zone del circondario. Ciò perché,
forse, proprio in quel periodo, alla diocesi di Belcastro si avvicendarono due
vescovi della Sicilia, dove il culto della Madonna di Trapani è ancora oggi
molto vivo: Francesco de Napoli di Palermo e Benedetto Bartolo di Vizzini
(1683-1685), in provincia di Siracusa; uno dei due fu sicuramente il benefattore
del patronato.
La chiesa aveva anche una
confraternita laica (congrega), detta appunto della ss. Annunziata, i cui
fedeli vestivano nelle processioni un saio e un pileo bianco con la mozzetta di
vario colore. Questa congrega aveva un reddito annuo di altri duc. 15.
Nel 1677 la confraternita
laica, assieme a quella della Madonna della pietà, sopravviveva ancora, come
riferiva il vescovo Carlo Gargano nella sua relazione di quell’anno; ma già nel
1692 il vescovo Giovanni Emblaviti (1688-1722), nel descrivere le chiese del
paese, la citava soltanto; segno che, ormai, il fervore religioso ed
amministrativo, che l’avevano contraddistinta nei secoli passati rispetto alle
altre chiese di Belcastro, erano anch’essi decaduti assieme all’andamento
socioeconomico generale del paese che, già dalla prima metà del 1600, aveva
imboccato inesorabilmente la strada della decadenza.
L’incuria del tempo e, cosa più grave, la trascuratezza
degli uomini hanno fatto di quel complesso chiesastico - che per
moltissime generazioni ha influenzato la vita del paese anche con le sue
attività finanziarie - un ammasso di rovine dalle quali si è mantenuto,
quasi integro, il bell’altare trionfale che occupava un tempo l’abside della
chiesa. Di questa chiesa si conservano ancora le belle statue marmoree dell’Angelo
annunciatore, di
S. Anna
e di Dio padre – le prime due a grandezza naturale -, collocate oggi nella
chiesa della Pietà.
Ma, ancora oggi, mentre il manufatto è oggetto di studio
per la sua rarità, non si è ancora fatto nulla per salvare il salvabile, sì da
poterlo rendere fruibile alle persone e, perché no, renderlo ancora utile al
bene del paese!
18
novembre 2003 |